2020-01-29
«Il referendum pensiona le Camere. Folle che decidano chi issare al Colle»
L'ex ministro Giulio Tremonti: «Con il taglio dei parlamentari si creerebbe un mostro giuridico. Non può essere un Parlamento azzoppato a eleggere l'erede di Mattarella solo perché il Pd vuole lo status quo. Servono elezioni immediate».«Nel Palazzo si vive un'atmosfera di stile albanese». Giulio Tremonti ha appena ascoltato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, chiedere in televisione ai partiti di maggioranza l'agenda fino al 2023. Ha sentito Nicola Zingaretti teorizzare che il governo arriverà a scadenza. Ha memoria del dictum di Matteo Renzi: «Sarà questo parlamento a eleggere il prossimo capo dello Stato nel 2022». Sembra che la rianimazione emiliana rafforzi il governo e lo spinga verso il traguardo naturale. Tremonti non è convinto, c'è qualcosa che non quadra, soprattutto dopo la decisione di indire il referendum sul taglio dei parlamentari. Vede in questa ossessiva volontà di congelare per tre anni la vita politica del Paese una contraddizione costituzionale che di fatto crea una sospensione democratica. «Dicono: facciamo una doppietta, duriamo tre anni ed eleggiamo il nuovo con il vecchio. Ma non è possibile, è un mostro costituzionale. Se fai il referendum, poi devi andare a votare». A lei sembra tutto chiaro, visibile all'orizzonte. Con atmosfera Albanese si riferisce ai film del comico?«Qualunquemente rappresenta molto bene il presente. In realtà mi riferivo alla vecchia Albania, chi governa mi ricorda molto un capolavoro di Ismail Kadaré, Il generale dell'armata morta. Ecco, il nostro Parlamento somiglia a quell'immagine. Da lì dobbiamo partire e provare a ragionare con un foglio e una matita».Pronti, cosa scriviamo?«Tracciamo una linea orizzontale sulla quale mettiamo due punti con due date: 29 marzo 2020, giorno del referendum per il taglio dei parlamentari, e 3 febbraio 2022, la scadenza naturale del mandato presidenziale. In mezzo ci sono due anni, che non solo sono un tempo molto lungo, ma con queste accelerazioni di sistema possono rappresentare un tempo drammatico e ad alta intensità politica».Ci spieghi il passaggio.«Tutto avviene con una velocità impressionante. È un'epoca così. Nel 1796 all'Assemblea nazionale un deputato disse: “Sono passati sei anni ma è come se fossero passati sei secoli". C'era stata la Rivoluzione francese».Quale sarebbe il messaggio?«Il Palazzo ci sta trasmettendo l'idea che in questi due anni ci devono essere, insieme, un governo capace di governare e un Parlamento capace di eleggere il nuovo presidente della Repubblica. E questo dopo avere indetto un radicale referendum costituzionale. Perché non si tratta di una normale consultazione popolare sulla materia elettorale, ma sulla struttura del Parlamento nel suo insieme, sull'intero corpo politico. Non solo, come minimo ci sarà la rideterminazione dei collegi per definire chi vota per chi. E probabilmente anche una nuova legge elettorale».Questo cosa comporta?«Tutto è partito dalla piazza, come sempre nelle operazioni tribunizie. Ha preso forma spettacolare e ludica contro la Casta: ricorda quel taglio davanti al Parlamento dello striscione con le poltrone disegnate sopra? Si inseguiva un effetto di catarsi e di rigenerazione. Artefici e vittime del loro destino, ci sono riusciti. Il Parlamento sarà totalmente diverso e non solo per i numeri, da 945 a 600».Cosa vede oltre i numeri?«Qualcosa di definitivo, di epocale, che rappresenta una discontinuità forte con il passato. È una crasi evidente nella sostanza e perfino nella forma. Questo non è un voto per il Parlamento, ma sul Parlamento. Ne esce un corpo politico totalmente diverso da prima».Professore, ci spiega dove vuole arrivare?«La conseguenza di tutto ciò è la trasformazione di un numero elevatissimo di parlamentari in fantasmi, in morti viventi. Molti hanno perso il passato, quasi nessuno avrà un futuro. È probabile che molti, sopravvivendo in un habitat artificiale, voteranno di tutto. E non parlo solo di quelli che non ci saranno più, ma anche di quelli destinati a rimanere. La rottura di continuità li espone a una patologica dipendenza dalle pressioni. A quel punto la politica verrà sacrificata sull'altare degli interessi personali. È inevitabile».Conseguenza finale e a questo punto intuibile?«Un Parlamento delegittimato dagli italiani, che nel frattempo hanno mandato in soffitta il vecchio sistema, non può eleggere il nuovo presidente della Repubblica; prima è necessario eleggere un nuovo Parlamento. Il capo dello Stato è una figura sempre più centrale nel nostro ordinamento, con una cifra istituzionale assoluta, e proprio perché così importante non può essere eletto da un Parlamento mandato in pensione dal referendum».Il centrosinistra al governo non la pensa proprio così.«L'idea di controllare per un tempo così lungo la vecchia maggioranza è una tentata astuzia. E quale maggioranza, visto che è molto probabile che ci siano passaggi last minute? Soprattutto, la base dei delegati regionali sarà completamente cambiata. Non si può pensare di eleggere il presidente, figura sempre più crescente nel ruolo nazionale e internazionale, con un Parlamento lesionato dal referendum, che non rappresenta più la volontà del Paese e neppure il nuovo dettato costituzionale».Sarebbe un pessimo messaggio, contro la volontà dei cittadini?«Dando per scontato che la consultazione sia un plebiscito, direi di sì. Si fa tutto questo casino per cambiare il Parlamento nei numeri e nelle regole, e poi si tiene tutto congelato per due anni così da eleggere il capo dello Stato con vecchi numeri e vecchie regole. Non ha alcun senso. C'è un altro rischio, ancora più grande, praticamente un'assurdità».Quale sarebbe?«Quello di avere, in proiezione, per nove anni un presidente eletto da un Parlamento morto. E tutto questo perché la sinistra deve, nella migliore delle ipotesi, preparare il Fronte popolare. C'è qualcosa di molto impressionista in tutto questo. Se fai il referendum, poi la priorità assoluta è votare. Non puoi congelare tutto in attesa che il vecchio elegga il nuovo. Tra l'altro in tempi in cui la mutatio rerum è intensissima».Eppure dopo le elezioni regionali in Emilia Romagna c'è una gran voglia di status quo.«Vedo ipocrisia. Nel Palazzo lo hanno detto tutti anche prima delle elezioni: neppure un risultato negativo sarebbe stato sufficiente per mandare il Paese al voto. Ma non è che un risultato positivo è automaticamente sufficiente per non mandarlo».Trova altre contraddizioni in questa fase politica?«Sì, tra l'altro strutturali. Quella più evidente è la presenza di un governo che non ha un programma votato ma in divenire; hanno invertito il rapporto fra mezzo e fine. In democrazia prima si condivide un programma, poi si governa. Il Palazzo si è inventato un governo e ora cerca di mettere insieme un programma».L'immobilismo è la cifra del momento. Ha senso in un mondo che corre?«Ha presente Amleto? Time is out of joint. Viviamo tempi di grande confusione. Lui, che pure era dubbioso, almeno aveva capito lo spirito del tempo nel quale si trovava. E qui, dalla Libia ai virus come cigni neri, stiamo passando dal vecchio global order a un nuovo global disorder».Avete voluto la globalizzazione? Lei aveva previsto il terremoto, perfino uno storico come Valerio Massimo Manfredi recentemente le ha dato ragione.«Anche i mondi ritenuti eterni prima o poi cadono. Oggi avviene tutto con una velocità impressionante e noi dovremmo stare fermi ad aspettare che un Parlamento vecchio elegga un presidente nuovo per fare lo sgambetto a una parte politica? Lo sgambetto, in realtà, verrebbe fatto agli italiani».