2020-06-12
Il Recovery metterà la nostra difesa in mano straniera
Il piano Ue è sempre più in alto mare. E il nodo delle condizioni non è ancora sciolto, con pesanti rischi per molti settori strategici.Sembrava partita col vento in poppa la proposta del Recovery fund presentata meno di un mese fa dal presidente francese Macron e dalla cancelliera tedesca Merkel e successivamente elaborata e fatta propria dalla Commissione come «Next generation Eu». Invece, nell'Ecofin dell'altro giorno sono stati numerosi i Paesi che hanno puntato i paletti: quelli del Nord Europa che hanno chiesto una stretta condizionalità per gli aiuti da fornire, tutti rigorosamente a prestito, alcuni Paesi dell'Est che hanno visto ridimensionata la centralità del bilancio Ue a loro favore e, infine, sorpresa delle sorprese, la Germania che ha sollecitato una rimodulazione del piano europeo per ricondurlo alla proposta originaria Macron-Merkel, incluso il ridimensionamento dai 750 miliardi previsti dalla Commissione agli originali 500 della proposta franco-tedesca. Alla fine si troverà una quadra ma la strada, come sempre nei negoziati internazionali, rimane in salita.Eppure, sullo sfondo del dibattito degli aiuti europei ancora da destinare all'Italia, emergono alcuni aspetti dalle implicazioni potenzialmente significative ed eventi dalla singolare tempistica che puntano a uno scenario poco rassicurante. Una dimensione sinora sottaciuta a proposito del dibattito sul Recovery fund è che le analisi si sono concentrate sugli effetti distributivi considerati staticamente: quanto ciascun Paese riceverà, nel complesso, dall'iniziativa al netto dei contributi versati e come sarà composto il presunto mix tra prestiti e risorse a fondo perduto che, nella proposta della Commissione, sono in rapporto di 1 a 2. Un aspetto, quindi, importante che occorrerà monitorare è il profilo temporale con cui si materializzeranno, tempo per tempo, i flussi a nostro favore relativamente ad altri paesi. Questo non è triviale perché, date le risorse in gioco, che siano complessivamente 500 o 750 miliardi, la Commissione dovrà necessariamente diluire nel tempo l'approvvigionamento sui mercati per non saturarli. Ne consegue che il pecking order con cui, sempre tempo per tempo, saranno distribuite è in grado di esercitare un impatto non trascurabile sulla cassa degli Stati maggiormente colpiti dalla pandemia, tra cui l'Italia, sempre più prostrati dalle sue conseguenze sull'economia. Non a caso il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire in una recente intervista alludeva all'esigenza della Francia di approvvigionarsi subito e per quanto possibile appena i fondi si renderanno disponibili e invitava cortesemente l'Italia ad avvalersi del Mes nel frattempo. Se così fosse, il legittimo dibattito sull'opportunità o meno di ricorrervi - acceso da tempo sia tra le forze di maggioranza che di opposizione - verrebbe «sterilizzato» dinanzi alla necessità finanziaria del momento - un momento che non sarà troppo lontano da oggi.Un'altra dimensione ugualmente rilevante riguarda, poi, i presidii di condizionalità associati agli aiuti: per chiarire, la condizionalità non è da respingere per principio, ma la sua accettazione deve essere necessariamente concordata con - e condivisa dal - Paese che intende conformarsi ad essa. Su questo c'è già una pletora di analisi rassicuranti sul Recovery fund che parrebbero smantellare ogni dubbio residuo. Il punto che ha in comune questa già enorme letteratura è che la (presunta scarna) condizionalità del Recovery fund aiuterà l'Italia a riconvertirsi alla green economy e a modernizzarsi in senso digitale.In realtà, a leggere l'originario comunicato della cancelleria di Berlino - su cui il ministro delle Finanze tedesco ha inteso richiamare proprio l'altro giorno la Commissione perché non se ne discosti - si parla di un «rafforzamento» delle procedure di screening di investitori esteri in settori strategici. Il punto è che questi settori sono intimamente connessi alla sicurezza nazionale e, quindi, il principio, se diventasse clausola, rischierebbe di creare un corto circuito. Se Leonardo dovesse decidere un aumento di capitale per facilitare l'ingresso di un partner finanziario e magari strategico, dovrebbe quindi la Ue autorizzarne l'ingresso come oggi già accade, mutatis mutandis, per il sistema bancario? Questo verrà presumibilmente chiarito quando la struttura normativa e istituzionale del Recovery fund verrà finalizzata. Ma a preoccupare non è tanto la condizionalità di cui recano traccia, oggi, i comunicati e, domani, la governance del Recovery fund, quanto piuttosto intese sotterranee che possano aver trovato spazio in queste settimane nelle trattative bilaterali. Non a caso un attento osservatore come il professor Carlo Pelanda ritiene che la partita avviata da Leonardo Del Vecchio per assumere il controllo di Mediobanca possa rientrare in un accordo più ampio tra Roma e Parigi che preveda partite compensative da offrire alla Francia per il suo appoggio al Recovery fund. Come è noto, il presidente esecutivo di EssilorLuxottica, che vanta significative ramificazioni industriali e finanziarie oltralpe, punta a rafforzare direttamente il suo ruolo nella compagine sociale di Mediobanca e indirettamente nelle Assicurazioni Generali, bastione del risparmio gestito in Italia, già partecipata da Mediobanca e da lui stesso. Stupisce il tempismo di un'altra iniziativa annunciata, anch'essa, pochi giorni fa con protagonisti diversi ma trama non troppo discosta secondo cui Borsa Italiana verrebbe dismessa dal London Stock Exchange e acquistata da un cartello italo-francese che vedrebbe i transalpini in posizione di comando. L'acquisizione riguarderebbe, peraltro, anche la strategica Mts, la piattaforma di scambio all'ingrosso dei titoli di stato italiani. Rimane, poi, da verificare se il progetto strategico che prevede la fusione tra Unicredit e Société générale possa subire un impulso decisivo a breve, quali siano gli equilibri finali della fusione Fca-Psa (Peugeot) e le prospettive per l'eventuale integrazione italo-francese di Fincantieri. Tutto chiaro?
Ecco #DimmiLaVerità del 31 ottobre 2025. Ospite il senatore di FdI Guido Castelli. L'argomento del giorno è: " I dettagli della ricostruzione post terremoto in Italia Centrale"
Foto Pluralia
La XVIII edizione del Forum Economico Eurasiatico di Verona si terrà il 30 e 31 ottobre 2025 al Çırağan Palace di Istanbul. Tema: «Nuova energia per nuove realtà economiche». Attesi relatori internazionali per rafforzare la cooperazione tra Europa ed Eurasia.
Il Forum Economico Eurasiatico di Verona si sposta quest’anno a Istanbul, dove il 30 e 31 ottobre 2025 si terrà la sua diciottesima edizione al Çırağan Palace. L’evento, promosso dall’Associazione Conoscere Eurasia in collaborazione con la Roscongress Foundation, avrà come tema Nuova energia per nuove realtà economiche e riunirà rappresentanti del mondo politico, economico e imprenditoriale da decine di Paesi.
Dopo quattordici edizioni a Verona e tre tappe internazionali — a Baku, Samarcanda e Ras al-Khaimah — il Forum prosegue il suo percorso itinerante, scegliendo la Turchia come nuova sede di confronto tra Europa e spazio eurasiatico. L’obiettivo è favorire il dialogo e le opportunità di business in un contesto geopolitico sempre più complesso, rafforzando la cooperazione tra Occidente e Grande Eurasia.
Tra le novità di questa edizione, un’area collettiva dedicata alle imprese, pensata come piattaforma di incontro tra aziende italiane, turche e russe. Lo spazio offrirà l’occasione di presentare progetti, valorizzare il made in Italy, il made in Turkey e il made in Russia, e creare nuove partnership strategiche.
La Turchia, ponte tra Est e Ovest
Con un PIL di circa 1.320 miliardi di dollari nel 2024 e una crescita stimata al +3,1% nel 2025, la Turchia è oggi la 17ª economia mondiale e membro del G20 e dell’OCSE. Il Paese ha acquisito un ruolo crescente nella sicurezza e nell’economia globale, anche grazie alla sua industria della difesa e alla posizione strategica nel Mar Nero.
I rapporti con l’Italia restano solidi: nel 2024 l’interscambio commerciale tra i due Paesi ha toccato 29,7 miliardi di euro, con un saldo positivo per l’Italia di oltre 5,5 miliardi. L’Italia è il quarto mercato di destinazione per l’export turco e il decimo mercato di sbocco per quello italiano, con oltre 430 imprese italiane già attive in Turchia.
Nove sessioni per raccontare la nuova economia globale
Il programma del Forum si aprirà con una sessione dedicata al ruolo della Turchia nell’economia mondiale e proseguirà con nove panel tematici: energia e sostenibilità, cambiamento globale, rilancio del manifatturiero, trasporti e logistica, turismo, finanza e innovazione digitale, produzione alimentare e crescita sostenibile.
I lavori si svolgeranno in italiano, inglese, russo e turco, con partecipazione gratuita previa registrazione su forumverona.com, dove sarà disponibile anche la diretta streaming. Il percorso di avvicinamento all’evento sarà raccontato dal magazine Pluralia.
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