Dopo l’esitazione iniziale e non poche contraddizioni nelle prime ore dell’invasione russa in Ucraina, gli Stati Uniti e la Ue stanno procedendo nella direzione che, se sostenuta nei prossimi giorni, rischia di erigere un argine virtuale attorno al sistema bancario e finanziario russo, condannandolo all’implosione.
Centrale in questo approccio ibrido dell’Occidente è l’utilizzo strategico, e non statico, delle sanzioni che, attraverso la modulazione dinamica della loro intensità e del raggio di estensione nella loro applicazione, mira a generare aspettative destabilizzanti nei confronti di tutti coloro che operano in contropartita del sistema bancario e finanziario russo con l’obiettivo di scatenare vendite indiscriminate di titoli russi sui mercati finanziari internazionali e, idealmente, la corsa dei depositanti russi agli sportelli bancari. Dal punto di vista sostanziale, equivarrebbe a un attacco mortale inferto al cuore di questo Paese, pur senza sparare un colpo. Ma quali sono esattamente i benefici, gli strumenti e gli obiettivi di questa risposta ibrida? Procediamo con ordine.
Il beneficio è quello di preservare l’approvvigionamento di risorse energetiche dalla Russia, a meno di una sua risposta contro-sanzionatoria verso l’Occidente, isolando in modo chirurgico i canali di pagamento necessari per alimentare tale fabbisogno.
La strategia scelta dal G7 e alla quale anche le autorità europee stanno dando seguito in queste stesse ore prevede, in campo finanziario, l’esclusione per alcune istituzioni russe dai mercati finanziari internazionali e dal sistema di messaggistica internazionale Swift utilizzato per i bonifici bancari, il congelamento delle riserve internazionali detenute dalla banca centrale russa presso banche centrali occidentali e altri provvedimenti mirati.
Trattandosi di un approccio strategico, esso per sua natura tende ad essere selettivo, si espone alla critica di essere parziale ed incompleto, e rischia di essere meno efficace di un embargo generalizzato. Il blocco di alcuni operatori russi da Swift non implica, come erroneamente sostenuto da alcuni, che le entità russe il cui accesso è stato ristretto non potranno onorare i pagamenti dovuti. Lo potranno sempre fare, ma utilizzando altre tecnologie, obsolete e con maggiori costi di transazione.
Tuttavia, diventare il bersaglio di attacchi sanzionatori concentrici e mirati, come quelli su Sberbank, la banca di importanza sistemica in Russia, ha l’effetto di isolarla immediatamente dai mercati finanziari, dal momento che le entità con cui dovrebbe operare ne scontano già le potenziali difficoltà. In seguito a pesanti fuoriuscite di liquidità, la Bce ha già valutato che alcune consociate europee di Sverbank sono a rischio fallimento.
Non bisogna neanche sottovalutare lo stigma reputazionale che ne consegue dal mantenere posizioni aperte con questa ed altre entità. Non è un caso che le maggiori banche internazionali sono da giorni impegnate a chiudere le posizioni aperte con intermediari finanziari russi, anticipando la probabile escalation delle sanzioni certo, ma anche nell’intento di mitigare lo stigma reputazionale che altrimenti ne deriverebbe. Le maggiori società petrolifere europee hanno già annunciato, o stanno considerando, la dismissione di tutte le loro attività in Russia. Come immediata conseguenza, importanti aziende russe in questo settore hanno visto dimezzare la loro capitalizzazione presso la borsa di Londra nel giro di poche ore. A Mosca, le autorità regolamentari hanno sospeso gli scambi su titoli quotati da lunedì. A breve, i rating delle società russe verranno aggiornati e declassati a livello di «spazzatura».
Il congelamento delle riserve internazionali della banca centrale russa sta determinando la scarsezza di valuta pregiata in Russia, tradizionale bene rifugio per le élite di questo Paese. Non è sorprendente che il rublo sia collassato nel cambio contro il dollaro: le sanzioni imposte alla Banca centrale, peraltro, le riducono la capacità di intervento a sostegno della propria valuta, accentuandone le aspettative di deprezzamento. Gli operatori sui mercati che garantiscono la liquidità su un titolo quotato, i cosiddetti market maker, stanno praticando condizioni estremamente penalizzanti mentre in Russia le file ai bancomat diventano più lunghe e il contante scarseggia, anche non si registrano fenomeni di panico.
L’obiettivo è di generare la fondata percezione di un sistema finanziario sotto assedio e, dunque, in difficoltà, minandone la fiducia ultima dei suoi depositanti, costringendoli auspicabilmente a un ritiro in massa dei loro depositi. È, questa, un’opzione «nucleare» cui nessun governo potrebbe sopravvivere, neanche la dittatura di Vladimir Putin. Vedremo se, nei prossimi giorni, l’Occidente avrà la forza di serrare la tenaglia, come Putin sta già facendo con i suoi militari sul campo in Ucraina.
@domeniclombardi
Una settimana di fuoco, questa, per le Banche centrali con la Federal reserve che, nella riunione terminata ieri, ha annunciato di ridurre ulteriormente il programma di acquisti netti di attività finanziarie per i prossimi mesi sino a smantellarlo in anticipo rispetto allo scadenzario in precedenza formulato, con i mercati che già scontano numerosi rialzi dei tassi per il prossimo biennio. A pesare sulle decisioni vi è il riconoscimento, ora esplicito, di una maggiore persistenza del rialzo dei prezzi rispetto alle prime valutazioni. Proprio a novembre, si è registrato negli Stati Uniti un aumento record negli ultimi 40 anni con una variazione annua equivalente al 6,8%.
Anche nell’Eurozona i prezzi hanno subito un rialzo significativo nei mesi passati, portandosi ben al di sopra delle previsioni formulate dalla Bce appena lo scorso settembre. Solo nel mese di novembre, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo è salito, sulla base di indicazioni preliminari, a quasi il 5%, in crescente aumento rispetto ai mesi precedenti.
È questo il contesto in cui si svolgerà la riunione di oggi del consiglio direttivo della Bce, fornendo più di un appiglio ai falchi perché richiedano alla presidente Christine Lagarde di ricalibrare la postura iper espansiva dell’Eurotower - postura di cui l’Italia ha beneficiato in misura significativa nel mezzo della pandemia. Del resto, la Lagarde si era già lasciata sfuggire nel corso della conferenza stampa di fine ottobre che il programma di emergenza pandemico Pepp sarebbe cessato a fine marzo.
Da allora, sebbene siano passate solo poche settimane, si sono materializzati almeno due elementi nuovi. Da un lato, si va consolidando una dinamica dei prezzi al rialzo più persistente del previsto che spinge la Bce a una risposta in senso restrittivo per ossequio al suo mandato. Lo capiremo meglio quando nelle prossime ore verrà diffusa la batteria delle nuove previsioni macroeconomiche sino al 2024.
È probabile che le proiezioni sull’inflazione verranno ritoccate al rialzo per i prossimi mesi, ma occorrerà osservare se esse convergeranno appena sotto il 2% entro la fine dell’orizzonte di riferimento, così da dar forza a quanti richiedono un atteggiamento attendista volto a scongiurare un aumento dei tassi di riferimento che, nell’Eurozona, rimangono negativi.
D’altro lato, si va delineando con maggiore nettezza il quadro non proprio rassicurante sulle prospettive della pandemia per la stagione invernale in seguito alla diffusione della variante Omicron. È indicativo che il Consiglio dei ministri ha deciso la proroga dello stato di emergenza e introdotto nuove restrizioni per chi entra in Italia. Del resto, in Europa la situazione dei contagi rimane critica.
In ogni caso, sarebbe riduttivo appiattire il risultato della riunione odierna alla eventuale dismissione del Pepp, che i mercati hanno già cominciato a scontare da settimane facendo registrare un incremento nello spread dei titoli di Stato italiani con quelli tedeschi. Sono, in particolare, tre i parametri da osservare quando la Lagarde parlerà alla stampa nelle prossime ore in relazione alla dimensione e allo scadenzamento dei futuri interventi non convenzionali, nonché all’ampiezza della discrezionalità che il consiglio avocherà a sé.
La cessazione del Pepp, qualora venisse confermata, dovrebbe essere compensata, in parte, da acquisti netti di titoli fatti sotto l’egida di altri programmi non convenzionali. Quanto sarà l’ammontare di tali acquisti aggiuntivi e la loro durata è una variabile particolarmente rilevante. Infine, è probabile che la discrezionalità che il consiglio direttivo avocherà a sé sarà significativa rinunciando quanto più possibile a vincolarsi nelle prossime scelte, facendo leva proprio sull’evoluzione della pandemia che ancora impone rilevanti margini di incertezza.
Se quello delineato sopra rimane lo scenario più probabile cui la stessa Bce ha alluso nelle sue precedenti comunicazioni, non è da escludere qualche sorpresa all’ultimo minuto, se dovesse prevalere un orientamento più attendista in linea con l’attuale evoluzione del quadro epidemiologico. Peraltro, la stessa conferenza stampa si svolgerà nel rispetto dei protocolli Covid, proprio a simboleggiare che siamo ancora lontani dall’aver superato il guado.
La pausa estiva rischia di celare una dinamica importante nell'evoluzione della finanza pubblica dall'inizio dell'emergenza pandemica. Il saldo di Tesoreria - cioè il saldo del conto corrente che lo Stato detiene presso la Banca d'Italia con cui gestisce gli incassi e i pagamenti - è positivo per oltre 70 miliardi. Nei mesi del lockdown, tale saldo si è accresciuto di ben il 55%, essendo il 28 febbraio pari a 45 miliardi. Naturalmente, il saldo deve essere positivo, altrimenti si ricadrebbe nella monetizzazione del disavanzo, vietata per legge. Quello che rileva, tuttavia, è la sua entità oltre alla recente impennata.
Questi dati riflettono, ovviamente, elementi stagionali come le scadenze di emissioni di titoli di Stato che drenano cassa, così come di nuovi collocamenti che l'accrescono. Ma il calendario delle redemption e dei collocamenti nel primo semestre dell'anno non ha presentato delle significative anomalie rispetto all'anno precedente.
Vi sono, poi, le scadenze fiscali. Alcuni mesi, come quello di giugno, sono periodi in cui le casse erariali normalmente beneficiano di pingui entrate, ma nel caso in esame il governo ha rinviato alcune importanti scadenze fiscali previste per quel mese. Ne consegue che il saldo sarebbe stato più elevato a parità di altre condizioni, non più basso.
Il livello del saldo appare, quindi, significativo. Ne segue che abbiamo una buona, grande notizia: alla data del 3 luglio scorso cui si riferiscono i dati recentemente pubblicati dalla Bce, vi sono 70 miliardi che, per la parte eccedente il livello fisiologico, giacciono inutilizzati nel conto corrente che lo Stato detiene presso la Banca centrale. Il livello del saldo è di 25 miliardi in più rispetto a fine febbraio, 56 in più rispetto a inizio anno, e, infine, 22,5 in più rispetto al 28 giugno dello scorso anno, la data più vicina per la quale il confronto è possibile nel 2019.
Si tratta di risorse prontamente disponibili poiché giacenti sul conto corrente degli italiani, per definizione disponibili a vista, a differenza di quelle erogabili da qualsiasi prestatore terzo, come il Mes. Con questo, non si intende affermare che il tesoretto consista di 70 miliardi, dal momento che uno Stato, a maggior ragione se altamente indebitato, ha bisogno di detenere disponibilità liquide. Il punto è, semmai, che una discreta parte di quel saldo, eccedente il livello fisiologico, poteva - e ancora potrebbe - essere destinato a un uso più produttivo, data l'emergenza economica che attanaglia il Paese.
A maggior ragione poiché l'Italia paga, nell'immediato, un tasso negativo su quel deposito, anche se successivamente rimborsato dalla Banca d'Italia per il tramite della distribuzione dei suoi utili. Ecco che chi sottolinea il vantaggio finanziario del prestito Mes, dovrebbe ancor più sostenere di utilizzare subito le risorse eccedenti che giacciono sul conto corrente di Tesoreria: nel primo caso si pagherebbe un tasso positivo ma quasi nullo; nel secondo, le risorse proprie giacenti inutilizzate presso la Banca d'Italia sono soggette, nell'immediato, a un tasso addirittura oneroso.
L'altro aspetto, non meno sorprendente, è che si tratta di un fenomeno, nel complesso, comune al resto dell'Eurozona, il cui saldo attivo complessivo è più che raddoppiato dai 297 miliardi del 28 febbraio ai 703 miliardi del 3 luglio. L'incremento mette in evidenza due elementi preoccupanti: il primo è che i governi dell'Eurozona, impegnati nel mettere a punto i programmi da implementare nei prossimi anni - come il Recovery fund - hanno nel frattempo accumulato risorse inutilizzate sui propri conti.
Il secondo è l'impatto sulle politiche espansive della Bce: da un lato quest'ultima si proietta sempre più alla frontiera del proprio mandato, dall'altro i governi ne mitigano fortemente gli effetti espansivi trattenendo preziosa liquidità per la parte eccedente il livello fisiologico dei propri saldi.
Dall'inizio della pandemia, nel periodo da marzo a giugno, la Bce ha acquistato 366 miliardi di asset nell'ambito del programma non convenzionale Pepp per fronteggiare gli effetti deflazionistici del Covid-19. Ebbene, tale sforzo è stato vanificato dall'accrescimento che si è registrato nel saldo di Tesoreria dell'Eurozona dall'inizio del Pepp, pari a 406 miliardi.
Naturalmente, su questo incremento avranno contribuito dei fattori idiosincratici che meritano un approfondimento, ma rimane la conclusione che lo sforzo della Bce di iniettare maggiore liquidità nel sistema durante la pandemia appare sterilizzato dalla liquidità che i governi le restituiscono sotto forma di maggiori saldi nei rispettivi depositi di conto corrente.
Nelle more di un dibattito che dovrebbe essere al più presto avviato, è ragionevole ipotizzare che ragioni precauzionali abbiano contribuito al fenomeno in questione. Tuttavia, l'economia dei governi non è meramente riducibile a quella di un'unità familiare. In periodi di grave crisi è fondamentale che agli stanziamenti contabili corrisponda un aumento della velocità con cui le risorse vengono messe in circolo. Questo è ancor più cruciale per un Paese come l'Italia, la cui pubblica amministrazione ha il record di peggior pagatore della Ue. Per fronteggiare gli effetti della crisi finanziaria del 2007-09, l'amministrazione americana dimezzò i tempi di pagamento della pubblica amministrazione esattamente con questo intento. È ora che anche in Italia si estenda l'attenzione dalla quantità delle risorse tecnicamente stanziate alla velocità con cui tali risorse vengono immesse nel sistema.
@domeniclombardi





