
Roberto Battiston da presidente dell'Asi assegnò lavori alla Serms, di cui era socio. Nicola Zingaretti lo candida nel Pd definendolo «un grande scienziato internazionale». Ma il fisico ci ha lasciato un costosissimo patto con la Cina che sa di conflitto d'interessi.Martedì 16 aprile, Roma, sede della Stampa estera, Nicola Zingaretti presenta ufficialmente ai corrispondenti dei media stranieri il programma del suo «nuovo» Pd per le europee del 26 maggio. Quando gli chiedono se è vero che sta ripescando una serie di vecchi arnesi rottamati da Matteo Renzi, il presidente della Regione Lazio risponde: «Non è vero, abbiamo in lista gente come Battiston, scienziato di fama internazionale, fatto fuori dall'Asi da questo governo». Escludendo che si tratti del roccioso difensore dell'Arezzo degli anni Settanta, dovrebbe essere Roberto Battiston, il fisico trentino, marito della nipote di Romano Prodi, che il ministro dell'Istruzione, Marco Bussetti, ha silurato dalla presidenza dell'Agenzia spaziale dopo il goffo tentativo del predecessore, Valeria Fedeli, di confermarlo un attimo prima di riconsegnare ai commessi le chiavi dell'ufficio. Un novello martire dell'oscurantismo gialloblù che il Pd ha prontamente riciclato come fosse Galileoe che invece, semmai, è il nuovo Marco Polo. Nel senso che, non solo ha aperto la strada alla collaborazione con la Cina sui satelliti, ma lo ha fatto coinvolgendo anche una società umbra della quale era consigliere e socio fino a meno di due anni fa. In un conflitto d'interessi che sembra luminoso come la cometa di Halley. Lo scorso 9 aprile questo giornale aveva raccontato di come fosse sotto esame, tanto a Palazzo Chigi quanto al Miur, la prosecuzione dell'accordo tra Asi e governo cinese per la sperimentazione dell'uso di satelliti allo scopo di prevedere una serie di eventi catastrofici, a cominciare dai terremoti. Un tema, quello dei terremoti, dove dopo l'Aquila e Amatrice c'è grande sensibilità anche in tema di stanziamenti pubblici. E nel 2014, l'allora presidente Battiston, laurea in fisica alla Normale di Pisa, prima cattedra a Perugia e poi trasferimento nella natia Trento, firma il patto con i colleghi di Pechino. La fiche che l'Italia decide di puntare sul programma antisismico con gli amici cinesi, per la verità molto discusso perché privo fino ad allora di evidenze scientifiche e rifiutato da mezza Europa perché inutilmente costoso, vale 8,5 milioni solo per cominciare. Un primo protocollo viene firmato il 25 settembre 2013 dall'allora presidente, Enrico Saggese, che il 7 febbraio 2014 si dimetterà, travolto dallo scandalo delle tangenti sugli appalti e di una gestione delle relazioni esterne all'insegna della massima generosità. Quel giorno, a Pechino, con Saggese la star italiana è Battiston, presidente dell'Istituto di fisica nucleare (Infn), che gli subentra a maggio, con il governo Renzi ma con una fondamentale propulsione lettian-prodiana. L'apertura alla Cina viene ampliata, nel biennio 2014-2015, con la firma di una serie di accordi con l'agenzia spaziale di Pechino e l'Istituto cinese sui terremoti, con in testa il programma Cses (China Seism-Electromagnetic Satellite). Il programma Cses prevede la realizzazione di un sistema di monitoraggio delle perturbazioni dei campi elettromagnetici, del plasma e delle particelle nella ionosfera. Il primo satellite è stato lanciato nel febbraio 2018, mentre il secondo dovrebbe andare in orbita nel 2021. In totale, i cinesi hanno un piano da almeno dodici lanci, tuttavia l'Italia al momento si è impegnata solo per i primi due. Il costo della nostra partecipazione è di 8,5 milioni per il triennio 2019-2021, sostenuti dall'Asi, che ha coinvolto anche alcune università, l'Istituto nazionale di astrofisica e quello di geofisica e vulcanologia (Ingv), nonché l'Infn. Tra gli enti chiamati a partecipare anche il Serms, una srl ternana che è il braccio operativo dell'università di Perugia, fondata dallo stesso Battiston nel 1994 e nella quale ora si scopre che l'ex presidente aveva un interesse diretto.Serms, in base alle risultanze della Camera di commercio di Perugia, oggi è una società a responsabilità limitata con sede a Foligno, costituita il 16 luglio del 2004 e rappresentata legalmente da Antonio Baldaccini. Al 31 dicembre scorso, aveva cinque addetti e un capitale sociale di 15.625 euro, interamente versato, mentre l'oggetto sociale indica la certificazione di qualità e la ricerca tecnologica, in particolare nei test sui materiali. Fin qui nulla di strano, ma se si guarda il libro soci al 23 giugno 2017, ecco spuntare Roberto Battiston con una quota dell'11,8%, al fianco di altre tre persone fisiche (con identico peso) e maggioranza assoluta in mano a Umbragroup Spa. Battiston è uno dei soci fondatori del Serms e ne è stato consigliere di amministrazione dal maggio del 2004 al 31 novembre 2015, quando si dimette dalla carica che gli era stata rinnovata nel maggio 2010 e che aveva durata illimitata. Ricapitolando le date, a maggio 2014 Battiston diventa presidente dell'Asi, amplia e conclude gli accordi con lo Stato cinese, con il cappello di presidente dell'Agenzia nazionale assegna lavori ad alcuni enti e società tra cui il Serms di Foligno, nella quale ha il buon gusto di lasciare la carica di ad (restando socio) solo a fine 2015. Se si tiene presente che la gestione commissariale dell'Asi, prima di passare la mano al nuovo presidente, Giorgio Saccoccia, ha mandato alla Corte dei conti un ampio dossier di possibili violazioni perché sia valutato l'eventuale danno erariale, e se si ricorda che sono in corso inchieste penali sul Cira di Capua (controllato da Asi), si capisce quanto sia stato coraggioso il capo dello Stato, Sergio Mattarella, a nominare Battiston cavaliere della Repubblica sulle ali della «cacciata». Per non parlare del povero Zingaretti, al quale hanno appioppato il Nipoton come campione del nuovo che avanza.
Gertrude O'Brady.Il chiosco, s.d./LaM, Musée d’art moderne, d’art contemporain et d’art brut de Lille Métropole, Villeneuve d’Ascq© Philip Bernard
Dal Cubismo all’Art Brut, a Palazzo Zabarella di Padova in mostra (sino al 25 gennaio 2026) oltre 60 opere di 30 diversi artisti delle avanguardie del primo e del secondo dopoguerra, tutti provenienti dal LaM di Lille. Fra capolavori noti e meno conosciuti, anche cinque dipinti di Pablo Picasso e sei straordinarie tele di Amedeo Modigliani.
Susanna Tamaro (Getty Images)
La scrittrice Susanna Tamaro: «La società dimentica che la vita non ci appartiene, ma la morte non si affronta con le carte bollate. La lotta con il destino è essenziale perché dalla fragilità dell’esistenza è impossibile scappare».
Il punto di vista di Susanna Tamaro sul tempo presente è sempre originale. Nell’ultimo saggio, intitolato La via del cuore. Per ritrovare senso nella vita (Solferino), sulla scorta dell’inventore dell’etologia, Konrad Lorenz, utilizza le osservazioni sulla natura e gli animali per studiare la società contemporanea. A ben guardare, però, questo memoir può essere letto anche come una lunga preghiera per lo stato del pianeta. «È così», ammette la scrittrice, «non condivido la tendenza all’angelicazione dell’uomo o a vederlo come frutto dell’evoluzione».
Il principale operatore della rete elettrica nazionale registra ricavi pari a 2,88 miliardi (l’8,9% in più rispetto al 2024) e accelera nei progetti Tyrrhenian Link e Adriatic Link, al centro della strategia per la decarbonizzazione. Aumenta il peso delle rinnovabili.
Nei primi nove mesi del 2025 Terna, principale gestore della rete elettrica nazionale, ha consolidato la propria posizione strategica nel settore, segnando un’intensa crescita economico-finanziaria e un’accelerazione significativa degli investimenti a supporto della transizione energetica. Il consiglio di amministrazione, guidato da Igor De Biasio e con la presentazione dell’amministratore delegato Giuseppina Di Foggia, ha approvato risultati che provano la solidità del gruppo e il suo ruolo determinante nel percorso di decarbonizzazione del Paese.
Nel periodo gennaio-settembre, il fabbisogno elettrico italiano si è attestato a 233,3 terawattora (TWh), di cui circa il 42,7% è stato coperto da fonti rinnovabili. Tale quota conferma la crescente integrazione delle fonti green nel panorama energetico nazionale, un processo sostenuto dal potenziamento infrastrutturale e dagli avanzamenti tecnologici portati avanti da Terna.
Sul fronte economico, i ricavi del gruppo hanno raggiunto quota 2,88 miliardi di euro, con un incremento dell’8,9% rispetto agli stessi mesi del 2024. L’Ebitda, margine operativo lordo, ha superato i 2 miliardi (+7,1%), mentre l’utile netto si è attestato a 852,7 milioni di euro, in crescita del 4,9%. Risultati, questi, che illustrano non solo un miglioramento operativo, ma anche un’efficiente gestione finanziaria; il tutto, nonostante un lieve aumento degli oneri finanziari netti, transitati da 104,9 a 131,7 milioni di euro.
Elemento di rilievo sono gli investimenti, che hanno superato i 2 miliardi di euro (+22,9% rispetto ai primi nove mesi del 2024, quando il dato era di 1,7 miliardi), un impegno che riflette la volontà di Terna di rafforzare la rete di trasmissione e favorire l’efficienza e la sicurezza del sistema elettrico. Tra i principali progetti infrastrutturali si segnalano il Tyrrhenian Link, il collegamento sottomarino tra Campania, Sicilia e Sardegna, con una dotazione finanziaria complessiva di circa 3,7 miliardi di euro, il più esteso tra le opere in corso; l’Adriatic Link, elettrodotto sottomarino tra Marche e Abruzzo; e i lavori per la rete elettrica dedicata ai Giochi olimpici e paralimpici invernali di Milano-Cortina 2026.
L’attenzione ai nuovi sistemi di accumulo elettrico ha trovato un momento chiave nell’asta Macse, il Meccanismo di approvvigionamento di capacità di stoccaggio, conclusosi con l’assegnazione totale della capacità richiesta, pari a 10 GWh, a prezzi molto più bassi del premio di riserva, un segnale di un mercato in forte crescita e di un interesse marcato verso le soluzioni di accumulo energetico che miglioreranno la sicurezza e contribuiranno alla riduzione della dipendenza da fonti fossili.
Sul piano organizzativo, Terna ha visto una crescita nel personale, con 6.922 dipendenti al 30 settembre (502 in più rispetto a fine 2024), necessari per sostenere la complessità delle attività e l’implementazione del Piano industriale 2024-2028. Inoltre, è stata perfezionata l’acquisizione di Rete 2 S.r.l. da Areti, che rafforza la presenza nella rete ad alta tensione dell’area metropolitana di Roma, ottimizzando l’integrazione e la gestione infrastrutturale.
Sotto il profilo finanziario, l’indebitamento netto è cresciuto a 11,67 miliardi di euro, per sostenere la spinta agli investimenti, ma è ben bilanciato da un patrimonio netto robusto di circa 7,77 miliardi di euro. Il consiglio ha confermato l’acconto sul dividendo 2025 pari a 11,92 centesimi di euro per azione, in linea con la politica di distribuzione che punta a coniugare remunerazione degli azionisti e sostenibilità finanziaria.
Da segnalare anche le iniziative di finanza sostenibile, con l’emissione di un Green Bond europeo da 750 milioni di euro, molto richiesto e con una cedola del 3%, che denuncia la forte attenzione agli investimenti a basso impatto ambientale. Terna ha inoltre sottoscritto accordi finanziari per 1,5 miliardi con istituzioni come la Banca europea per gli investimenti e Intesa Sanpaolo a supporto dell’Adriatic Link e altri progetti chiave.
L’innovazione tecnologica rappresenta un altro pilastro della strategia di Terna, con l’apertura dell’hub Terna innovation zone Adriatico ad Ascoli Piceno, dedicato alla collaborazione con startup, università e partner industriali per sviluppare soluzioni avanzate a favore della transizione energetica e della digitalizzazione della rete.
La solidità del piano industriale e la continuità degli investimenti nelle infrastrutture critiche e nelle tecnologie innovative pongono Terna in una posizione di vantaggio nel garantire il sostentamento energetico italiano, supportando la sicurezza, la sostenibilità e l’efficienza del sistema elettrico anche in contesti incerti, con potenziali tensioni commerciali e geopolitiche.
Il 2025 si chiuderà con previsioni di ricavi per oltre 4 miliardi di euro, Ebitda a 2,7 miliardi e utile netto superiore a un miliardo, fra conferme di leadership e rinnovate sfide da affrontare con competenza e visione strategica.
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Il presidente venezuelano Nicolas Maduro (Getty Images)
L’operazione Southern Spear lanciata da Washington fa salire il rischio di escalation. Maduro mobilita 200.000 militari, denuncia provocazioni Usa e chiede l’intervento dell’Onu, mentre l’opposizione parla di arruolamenti forzati e fuga imminente del regime.
Nel Mar dei Caraibi la tensione fra Venezuela e Stati Uniti resta altissima e Washington, per bocca del suo Segretario alla Guerra Pete Hegseth, ha appena lanciato l’operazione Southern Spear. Questa nuova azione militare è stata voluta per colpire quelli che l’amministrazione Trump ha definito come i narco-terroristi del continente sudamericano ed ha il dichiarato obiettivo di difendere gli Stati Uniti dall’invasione di droga portata avanti da questi alleati di Maduro. Intanto è stata colpita la 21ª imbarcazione, accusata di trasportare droga verso il territorio statunitense, facendo arrivare a circa 80 il numero delle vittime.
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha ordinato alle forze armate di essere pronte ad un’eventuale invasione ed ha dispiegato oltre 200mila militari in tutti i luoghi chiave del suo paese. il ministro della Difesa Vladimir Padrino Lopez sta guidando personalmente questa mobilitazione generale orchestrata dalla Milizia Nazionale Bolivariana, i fedelissimi che stanno rastrellando Caracas e le principali città per arruolare nuove forze.
L’opposizione denuncia arruolamenti forzati anche fra i giovanissimi, soprattutto nelle baraccopoli intorno alla capitale, nel disperato tentativo di far credere che la cosiddetta «rivoluzione bolivariana», inventata dal predecessore di Maduro, Hugo Chavez, sia ancora in piedi. Proprio Maduro si è rivolto alla nazione dichiarando che il popolo venezuelano è pronto a combattere fino alla morte, ma allo stesso tempo ha lanciato un messaggio di pace nel continente proprio a Donald Trump.
Il presidente del Parlamento ha parlato di effetti devastanti ed ha accusato Washington di perseguire la forma massima di aggressione nella «vana speranza di un cambio di governo, scelto e voluto di cittadini». Caracas tramite il suo ambasciatore alle Nazioni Unite ha inviato una lettera al Segretario Generale António Guterres per chiedere una condanna esplicita delle azioni provocatorie statunitensi e il ritiro immediato delle forze Usa dai Caraibi.
Diversi media statunitensi hanno rivelato che il Tycoon americano sta pensando ad un’escalation con una vera operazione militare in Venezuela e nei primi incontri con i vertici militari sarebbe stata stilata anche una lista dei principali target da colpire come porti e aeroporti, ma soprattutto le sedi delle forze militari più fedeli a Maduro. Dal Pentagono non è arrivata nessuna conferma ufficiale e sembra che questo attacco non sia imminente, ma intanto in Venezuela sono arrivati da Mosca alcuni cargo con materiale strategico per rafforzare i sistemi di difesa anti-aerea Pantsir-S1 e batterie missilistiche Buk-M2E.
Dalle immagini satellitari si vede che l’area della capitale e le regioni di Apure e Cojedes, sedi delle forze maduriste, sono state fortemente rinforzate dopo che il presidente ha promulgato la legge sul Comando per la difesa integrale della nazione per la salvaguardia della sovranità e dell’integrità territoriale. In uno dei tanti discorsi alla televisione nazionale il leader venezuelano ha spiegato che vuole che le forze armate proteggano tutte le infrastrutture essenziali.
Nel piano presentato dal suo fedelissimo ministro della Difesa l’esercito, la polizia ed anche i paramilitari dovranno essere pronti ad una resistenza prolungata, trasformando la guerra in guerriglia. Una forza di resistenza che dovrebbe rendere impossibile governare il paese colpendo tutti i suoi punti nevralgici e generando il caos.
Una prospettiva evidentemente propagandistica perché come racconta la leader dell’opposizione Delsa Solorzano «nessuno è disposto a combattere per Maduro, tranne i suoi complici nel crimine. Noi siamo pronti ad una transizione ordinata, pacifica e che riporti il Venezuela nel posto che merita, dopo anni di buio e terrore.»
Una resistenza in cui non sembra davvero credere nessuno perché Nicolas Maduro, la sua famiglia e diversi membri del suo governo, avrebbero un piano di fuga nella vicina Cuba per poi probabilmente raggiungere Mosca come ha già fatto l’ex presidente siriano Assad.
Intanto il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha espresso preoccupazione per i cittadini italiani detenuti nelle carceri del Paese, sottolineando l’impegno della Farnesina per scarcerarli al più presto, compreso Alberto Trentini, arrestato oltre un anno fa.
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