2020-10-06
Guido Crosetto: «Il processo a Salvini si ritorcerà contro il governo e i magistrati»
Il coordinatore nazionale di Fdi: «Non si manda a giudizio per reati ridicoli un ministro che svolge le sue funzioni. L'intervento dell'esercito ordinato con un Dpcm sarebbe un precedente grave, spero sia una balla».Guido Crosetto, a Catania sul caso Gregoretti, che coinvolge Matteo Salvini, verranno ascoltati in aula Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Luciana Lamorgese. Questa storia non rischia di essere un boomerang per la maggioranza? «È un boomerang per il governo ma soprattutto per le istituzioni e la giustizia. Non si processa un ministro nelle sue funzioni per reati ridicoli persino nella loro formulazione. È surreale». Dunque è un'inchiesta politica?«È un modo che hanno certi magistrati per ricordarci che in questo Paese possono fare ciò che vogliono contro chiunque. È una manifestazione del loro potere e della loro impunità. Certe persone ne escono con la vita rovinata, vedi Cosentino; altre vengono solo sfregiate politicamente, come in questo caso». L'incontro a Catania tra Salvini, Meloni e Tajani nel giorno dell'udienza non rischia di essere interpretato come un tentativo di fare pressioni sui giudici? «È una iniziativa di libertà democratica per rispondere a un'iniziativa anti-istituzionale. Poi è chiaro che a parer mio la risposta del centrodestra avrebbe dovuto essere un'altra». Cioè?«Ben prima di andare a Catania, quando avevamo la maggioranza alla Camera e al Senato, ai tempi di Silvio Berlusconi, avremmo dovuto varare una vera riforma della giustizia complessiva, anziché cambiare qualche regola qua e là». Intanto lo stato d'emergenza è stato prorogato fino a gennaio. Sabino Cassese si chiede se questo derivi più da impotenza o da incapacità. «Non mi sorprende la proroga: tattica che vince non si cambia». Vale a dire?«Lo stato di emergenza è un segnale che il governo lancia ai cittadini. Se si suona la sirena della paura, molte persone si affideranno a chi deve governarli. Ed è quello che è successo da febbraio in poi». Il governo trova nel virus la sua ragion d'essere?«Il virus fornisce una credibilità al governo agli occhi di chi ha paura: anche molti governatori si sono giovati di questa tendenza alle ultime regionali. Mia mamma non aveva paura a luglio, adesso ha di nuovo paura. La parte forte della popolazione è una minoranza». I numeri della seconda ondata giustificano l'allarme?«Si è parlato di bazooka per sparare al moscerino: ma qui siamo oltre, siamo alla bomba atomica. Laddove ci fossero problemi, esistono modi per intervenire tempestivamente. Ma non vedo la necessità di prolungare l'emergenza per poter ricorrere ancora al Dpcm, che non è democratico perché non passa dal Parlamento». Che cosa la preoccupa dell'ultimo provvedimento?«L'utilizzo di un Dpcm, un atto amministrativo senza controllo parlamentare, per disporre l'impiego delle forze armate. È un precedente pericolosissimo e drammatico. Se questa è la situazione, oggi posso utilizzare un dpcm per regolare le mascherine, domani in teoria per chiudere un giornale o una televisione». Tornano le mascherine all'aperto e il coprifuoco anti-movida: regole esagerate? «Sono sincero. Più della mascherina, mi dà fastidio l'obbligo di anticipare l'Iva sulle fatture ancora non incassate, o le tasse su redditi che non ho ancora avuto. Ecco, mi preoccupa più la mascherina che hanno messo sulle istituzioni e sull'economia». Nel secondo trimestre il Pil è stato rivisto al ribasso a meno 13. E il rimbalzo non si vede. «Basta andare in giro e guardarsi intorno. Interi comparti sono ancora in ginocchio, non solo il comparto turistico. Molte attività non riescono a ripartire». Molti artigiani attendono la cassa integrazione di maggio. «Quando hai più di 500.000 famiglie che ancora aspettano la Cig vuol dire che siamo ai salti mortali per mangiare. E Tridico canta vittoria?».Dunque non è lo stipendio di Tridico il problema.«Figuriamoci. Il presidente dell'Inps dovrebbe essere pagato molto di più, ma in base ai risultati. Non può andare in tv a ripetere che funziona tutto benissimo. Piuttosto taccia, anziché giocare con il destino delle persone innescando attese che non saranno soddisfatte».Come ci si sente a stare appesi al Recovery fund?«Il famoso Next Generation: più che un nome, secondo me si riferisce alla tempistica». Nel senso che i soldi europei li vedranno i nostri pronipoti? «Stanno discutendo animatamente, e la Germania in qualche modo farà passare la pratica. Ma per il 2021 sono briciole. Teniamo presente che i soldi, pochi, inizieranno ad arrivare solo a fine estate». Dunque?«La scommessa vera è la finanziaria, più che il Recovery fund». La maggioranza litiga sulla riforma del fisco: l'eliminazione degli scaglioni di reddito piace solo a sinistra…«Sento parlare di algoritmi: quando vedrò la proposta la giudicherò. Temo che al governo non sappiano ancora cosa vogliono, e dunque non riescono a spiegarlo». Cosa propone? «Credo che la vera sfida della riforma del fisco è tenere conto di ogni singola situazione famigliare, cioè capire, prima di tassare uno stipendio, quante persone debbono farci la spesa».Dietro l'angolo intravede la stangata al ceto medio? «Sarebbe un incentivo all'evasione. Io appartengo allo scaglione più alto: sono circondato da gente che vive molto meglio di me, e che dichiara la metà, quando va bene». E quindi?«Puoi cambiare la tassazione, ma devi anche riformare anche i meccanismi di controllo. Si possono usare strumenti intelligenti di controllo senza per questo cadere nell'oppressione tributaria. Altrimenti non si arriverà mai a una completa equità fiscale».Perché?«Perché ci saranno sempre i soliti fessi che pagano tutto e i furbi che non pagano niente. Più che combattere le iniquità, stanno lavorando per un'equa ripartizione della miseria». Lei insiste molto sulla lotta alla burocrazia. Ma adesso abbiamo problemi più urgenti, e non abbiamo la bacchetta magica. «Quale bacchetta: serve il machete. Intanto occorre una regola per cui un ufficio pubblico non possa chiedere al cittadino il certificato di un altro ufficio pubblico: lo Stato si faccia dare ciò serve dallo Stato». È già legge da anni. «Sì, dal 2012: ma non la applica nessuno. Partiamo da questa cosa semplice, con silenzio-assenso dopo 15 giorni: siamo in emergenza. Secondo punto: interveniamo sugli “accertamenti selvaggi"». Cioè?«Abbassiamo lo stipendio ai pubblici ufficiali che fanno accertamenti inutili o pretestuosi. E vediamo cosa succede». Ma così facendo, nessuno farà più accertamenti... «No, faranno solo quelli giusti, chiari ed evidenti. Non si faranno più quelli discrezionali, che mirano solo a far incassare il bonus al burocrate. Teniamo conto però che le regole vere non le scrive la politica, ma la burocrazia. E la burocrazia vuole anzitutto tutelare sé stessa». Rischiamo il Sussidistan, come dice il presidente di Confindustria Bonomi?«Tutti avevano previsto il flop del reddito di cittadinanza, per la parte che riguarda la creazione di lavoro: tranne chi lo ha scritto. Stanno buttando soldi senza costruire nulla. Si era detto che in 9 mesi avrebbero riformato gli uffici del lavoro: sono ancora qui che aspetto». Giusto abolire quota 100?«Nel sistema previdenziale bisogna discernere: abbiamo professori universitari e magistrati che vogliono lavorare fino a 76 anni , ma ci sono anche quelli che non possono arrampicarsi sui tetti fino a 65 anni. Non tutti i lavori sono uguali. Servono quote diverse per situazioni diverse: quota 98, 100, 110...». Nicola Zingaretti chiede una verifica di governo. Arriverà fino al 2023?«Sì, perché nessuno, nella maggioranza, vuole andare a votare: è il loro unico punto d'unione. Di Battista ha 10 senatori pronti a seguirlo per far mancare i numeri? Devo ancora vederli…».Sull'abolizione dei decreti sicurezza il Pd si imporrà sui 5 stelle? «Ripeto, se servirà per tenere in piedi il governo, faranno passare tutto. Anche perché i 5 stelle non sono più un soggetto politico, ma ormai solo una somma di persone». Finiranno davvero come l'Udeur?«O il movimento diventa qualcosa di diverso, trasformandosi completamente, oppure non mi pare abbia futuro. Anzi pare non abbia neanche presente...».Giancarlo Giorgetti dice che se la Lega non guarderà al centro rischia di essere annientata. «Parla di possibilità di andare al governo, ed è quello che penso anche io. Se vuole governare il Paese, il centrodestra ha bisogno di avere un centro, se, come pare, avremo il proporzionale. Se si spaventa la parte moderata del Paese, magari facendola scappare dall'altra parte, la squadra non arriverà mai al 51%». Guardare al centro vale anche in Europa?«In Europa occorre capire che non si può dichiarare guerra a tutti senza avere eserciti, né armi, né risorse. È una questione di realismo che non comporta però l'abbandono dell'obiettivo. Guardate Orban che è ancora all'interno del Ppe, fa ciò che vuole e nessuno se la prende con la Merkel per questo. Continuiamo a discutere di sigle, sovranisti, antieuro, euroinomani, ma le questioni internazionali sono complesse. Non è come giocare a tressette al bar sport, come pensano alcuni».
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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