2020-05-08
Il porto di Trieste si offre alla Cina sfruttando i concessionari morosi
Il segretario dell'Autorità conferma gli accordi del 2019 con Cccc e sbandiera progetti sul vino. Intanto ignora il buco da 15 milioni rilevato dalla Corte dei conti perché spera che Pechino si mangi le società che non pagano.Tre giorni fa, rispondendo a una domanda nel corso di un incontro in videoconferenza sul porto di Trieste, il segretario generale dell'Autorità di sistema portuale dell'Adriatico orientale, ovvero l'Ente che gestisce i porti di Trieste e Monfalcone, Mario Sommariva, ha rilanciato con forza l'alleanza con la Cina. Una vita ai vertici della Cgil Trasporti e delle Compagnie dei lavoratori portuali, poi passato in quota Pd da Bari a Venezia, Sommariva ha affermato che gli accordi siglati dal porto nell'ambito del trihub, i tre Mou (Memorandum of understanding) che lo scalo giuliano aveva siglato con la China Communication Construction Company, Cccc, lo scorso anno a Roma, sono tutt'oggi validi e che sono tutt'altro che cessati. Lodando insieme con uno dei più noti imprenditori triestini, Francesco Parisi, la generosità cinese nella fornitura di mascherine per i lavoratori portuali, Sommariva ha anche annunciato il riavvio di un primo progetto di collaborazione con la Cina, sulle forniture di vino. Ma per comprendere ciò che sta accadendo e ciò che ha spinto il diplomatico americano Richard Hasse a porre in termini molto secchi all'Italia l'interrogativo «O con la Cina o con noi» bisogna riavvolgere due bobine: una normativa e una fattuale.Quella normativa si riferisce allo status di cui il porto di Trieste, in conseguenza di una serie di accordi internazionali post bellici, accordi tutt'ora validi e non sottoposti alla vigilanza della Ue gode di uno status di Porto franco internazionale, che è ben diverso dalle zone franche di cui si parla con insistenza e senza risultati in Italia e che sono state realizzate in molti paesi specie dell'est europeo e del Baltico. In poche parole, una sorta di Hong Kong dell'Adriatico. Nonostante che questa opportunità sia stata un cavallo di battaglia degli ultimi governi, nessuna misura concreta è stata attuata in questi ultimi anni per avviare concretamente lo sfruttamento di questo strumento che ora potrebbe uscire come un coniglio dal cappello del prestigiatore nel caso in cui la presenza cinese a Trieste si consolidasse ad esempio attraverso l'acquisizione di società presenti nelle aree del Porto Franco consentendo teoricamente alla Cina di produrre a basso costo in casa sua, trasportare la merce a Trieste e griffarla con un «made in Italy» prima di introdurla nel mercato distributivo europeo.Il primo contatto cinese del presidente del porto, Zeno D'Agostino, risale ufficialmente al dicembre 2016. D'Agostino uomo di fiducia di Debora Serracchiani ex presidente della Regione Friuli Venezia Giulia ha già siglato nel febbraio di quell'anno un accordo con le 7 zone franche portuali dell'Iran di cui candida Trieste a diventare il riferimento europeo.Il Porto franco internazionale ricorre come un leit motiv anche nei rapporti con la Cina e in particolare con la China Communication Construction Company, braccio infrastrutturale del governo di Pechino: il 23 marzo dell'anno scorso, quando il premier Giuseppe Conte, unico fra tutti i primi ministri europei, colloca l'Italia come alleato privilegiato sulla Silk & Road Initiative; nel pomeriggio dello stesso giorno D'Agostino firma i tre memorandum con il colosso, che riguardano porto, ferrovie, nuove infrastrutture e porto franco. L'accordo spalanca potenzialmente le porte per importanti accordi con aziende portuali: fra le prime operazioni che dovrebbero andare a bersaglio ci sarebbe anche l'acquisizione da parte dei cinesi di una quota rilevante proprio della Parisi, ma ufficialmente l'operazione risulta in stand by. Nel frattempo una terza vicenda si incrocia con le aspirazioni filo-cinesi del porto e delle molte imprese che all'interno dello scalo soffrono finanziariamente: la Corte dei Conti ha svolto un'indagine sui bilanci e sulla gestione dell'Autorità di sistema portuale. Nella relazione dei magistrati contabili sono evidenziati canoni non pagati dai concessionari (e quindi da quelle imprese che secondo voci insistenti potrebbero diventare prede cinesi), un atteggiamento molto collaborativo dell'Autorità portuale che non ha mai messo in mora questi creditori-concessionari, registrando un buco di circa 15 milioni; nella relazione della Corte si parla anche delle generose elargizioni dell'Autorità portuale all'Agenzia per il lavoro portuale delle nuove assunzioni e sulle dinamiche anche salariali di carriera dei dirigenti. Il tutto senza che il parlamento sia mai intervenuto. Trieste può proseguire senza intoppi nella promozione della Via della seta, con operatori che sono facilmente scalabili da azionisti made in China.