2019-11-05
Il portaborse della deputata di Renzi in realtà portava i pizzini dei mafiosi
Arrestato Antonino Nicosia, ex collaboratore di Pina Occhionero, appena passata nel gruppo di Italia viva. Grazie al tesserino di lei, partecipava alle visite in carcere e dialogava con i padrini. Anche quelli al 41 bis. Lui era devoto a un Matteo. Lei, dopo aver mollato uno dei vecchi leader dell'Antimafia, Pietro Grasso, di Matteo ne aveva scelto un altro. Antonino Nicosia, 48 anni, ammanettato ieri dai carabinieri del Ros su mandato della Procura di Palermo, era un radicale che si spacciava per docente universitario con una spiccata sensibilità per i diritti dei detenuti, ma che in realtà - secondo le accuse - faceva il messaggero tra i boss in carcere e i parenti più stretti del mammasantissima di Cosa nostra Matteo Messina Denaro. Non solo. Gestiva business in società col capomafia di Sciacca, don Accursio Dimino, 61 anni, imprenditore ittico ed ex professore di educazione fisica, già condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso. Giuseppina Occhionero, quarantenne avvocata molisana, invece, è una deputata che da Liberi e uguali (in parlamento era compagna di banco di Pier Luigi Bersani) è confluita in Italia viva a ruota di Matteo Renzi, folgorata dalla partecipazione all'ultima Leopolda (ove si è recata in compagnia dell'arrestato). A tenere insieme Nicosia e la Occhionero, oltre ai diritti dei detenuti - anche quelli in 41 bis, il regime di carcere duro previsto dall'ordinamento penitenziario - c'era il tesserino parlamentare della signora Pina, indispensabile all'uomo per entrare indisturbato nelle celle dei capibastone. Quelle visite ai detenuti il duo le commentava poi in auto. E durante le lunghe chiacchierate, Nicosia illustrava alla deputata la mappa criminale degli uomini d'onore sbattuti in galera dallo Stato. E, «ben consapevole della delicatezza degli argomenti trattati», lui, annotano i magistrati, «intimava alla donna (l'onorevole renziana, ndr) di evitare di citare, durante le loro eventuali e future conversazioni telefoniche, i nomi dei mafiosi», posto che il riferimento a soggetti del calibro di Simone Mangiaracina da Campobello, capo mafia ottantenne che per gli investigatori era tra i gestori di beni riconducibili al leader supremo di Cosa nostra, il latitante Matteo Messina Denaro, «avrebbe rischiato», sostengono i magistrati, «di esporre entrambi a possibili ripercussioni giudiziarie». E dopo aver aggiornato la deputata - di cui era diventato assistente parlamentare - con la stessa verve metteva a parte i boss in libertà della sua nuova conquista: la possibilità, grazie alla collaborazione con la Occhionero, di poter far visita perfino ai detenuti in 41 bis. Così - nonostante cambiasse un'auto al mese per evitare intercettazioni ambientali - è stato beccato mentre dava la buona nuova a Pippo Bono, figlio del defunto Giuseppe Bono, assassinato in un regolamento di conti. All'amico dice di aver ottenuto il contratto non per ragioni economiche e di lavoro, bensì perché con quel pezzo di carta avrebbe avuto il lasciapassare da ambasciatore mafioso in tutte le carceri, anche quelle a regime speciale. La deputata, alla notizia dell'arresto, ha subito scaricato Nicosia, precisando che «ciò che si legge nelle intercettazioni è comunque vergognoso e gravissimo». E ha aggiunto: «La collaborazione con me, durata solo quattro mesi, era nata in virtù del suo curriculum. Non appena ho avuto modo di rendermi conto che il suo curriculum e i suoi racconti non corrispondevano alla realtà, ho interrotto la collaborazione. Le visite in carcere peraltro sono parte del lavoro parlamentare a garanzia dei diritti sia dei detenuti sia di chi vi lavora». Ma dalle intercettazioni emerge che era lui a voler scaricare lei, preoccupato dall'ingombrante figura del leader di Leu, Piero Grasso, cui avrebbe preferito qualcuno più «liberista e garantista». Nicosia i magistrati antimafia proprio non li digeriva, tanto da liquidare - in un'intercettazione - la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino come dei semplici «incidenti sul lavoro». Un compare allora gli ha consigliato di guardare a Forza Italia. Dalle carte non emerge se lo status di Nicosia sia cambiato. Al termine del primo capo d'imputazione, quello più grave, per associazione mafiosa, si fa riferimento a una «condotta perdurante». E in fondo al decreto di fermo con il quale i magistrati l'hanno privato della libertà (insieme al presunto boss Dimino e altre tre persone) si legge che il pericolo è attuale e consiste «nell'essersi messo a disposizione del sodalizio per favorire i contatti con gli associati mafiosi detenuti da lui intrattenuti grazie alla qualifica assunta che, peraltro, gli ha consentito di fruire nel contesto politico e sociale di un'interfaccia insospettabile e, pertanto, ancor più insidiosa». Per accertare se la collaborazione con la deputata si sia interrotta - e quando - i pm siciliani sentiranno la Occhionero come testimone.