2019-09-10
Il popolo anti inciucio circonda il palazzo: «Diciamo no al patto della poltrona»
Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Giovanni Toti in strada per giurare battaglia al Conte bis. Ma il centrodestra non trova l'unità e Forza Italia resta in aula.«Siamo tutti parrucchieri contro i parrucconi». La battuta di Giorgia Meloni dà il segno dell'anima popolare di una manifestazione di cuore e di rabbia contro il ribaltone, contro l'inciucio, contro l'ipocrisia di un governo di plastica rinchiuso dentro i palazzi del potere e senza alcuna legittimazione elettorale. Se Montecitorio avesse avuto il ponte levatoio, sarebbe stato alzato. «Di lunedì ci saranno solo i parrucchieri», aveva buttato lì qualche campione del Pd - versione 2.0 del birignao di Maria Antonietta con le brioche - a conferma del disprezzo dei competenti nei confronti dei cittadini. Così migliaia di «parrucchieri» arrivati da tutta Italia a Roma accompagnati solo dalla bandiera italiana hanno stretto d'assedio i luoghi della politica (via del Corso, piazza di Pietra, piazza Montecitorio, piazza Capranica, piazza del Pantheon) per urlare un enorme no all'inganno del Conte-bis. Tutti sotto lo striscione che riassume la kermesse: «In nome del popolo sovrano, no al patto della poltrona». L'adunata, organizzata da Fratelli d'Italia, ha visto l'immediata adesione della Lega e dell'ancora embrionale forza politica di Giovanni Toti, che nelle intenzioni dovrebbe accogliere i transfughi di Forza Italia eventualmente scontenti di una possibile linea al camembert (opposizione formale, astensione sostanziale fra bizantinismi in doppiopetto) del partito azzurro. «Non ho capito la loro assenza, mi dispiace», sottolinea la numero uno di Fratelli d'Italia. In questa occasione Silvio Berlusconi ha chiesto un passo di lato ai suoi, ed è comprensibile. Forza Italia non ha nulla di populista né di sovranista, per il Cavaliere la vera battaglia si fa in Parlamento, non in piazza dove potrebbero comparire (e compaiono) i saluti romani e i crocifissi di qualche fanatico in libera uscita. «Nessuno ci dia lezioni su quando andare in piazza», commenta l'assenza Berlusconi. «Siamo alleati, ma ben distinti. Il centrodestra è la nostra casa, il centrodestra l'ho fondato io, ma anche ai tempi grami di Romano Prodi noi abbiamo fatto opposizione in Parlamento. E la faremo ancora, dura, tenace concreta. Oggi il Paese corre un pericolo grave, superiore a quello del 1994. Allora avevamo un partito comunista, oggi ne abbiamo due».Chiarito il distinguo, tutto il resto viene travolto dal fremito della piazza e da quei tricolori che garriscono al respiro di un popolo esasperato. Da 11 anni la sinistra, guidata da campioni mondiali dell'opportunismo come Nicola Zingaretti, Matteo Renzi, Dario Franceschini (con la lunga ombra di Massimo D'Alema, Pierluigi Bersani e Romano Prodi), governa senza aver vinto nelle urne. Lo fa grazie a quello che la Meloni definisce «il poltronismo del Movimento 5 stelle, che doveva aprire il Palazzo e invece ci si è rinchiuso dentro». Poi aggiunge: «Siamo davanti a ladri di sovranità, questo è un Vaffa-day ai 5 stelle». E conclude con malizia: «Mi piacerebbe sapere in quale Paese esotico si è nascosto Alessandro Di Battista. I grillini sono i peggiori voltagabbana che si siano mai visti, Domenico Scilipoti gli allaccia le scarpe».Il fegato s'ingrossa e, nel giorno della fiducia al governo rosso, il corteo serve alla nuova opposizione per prendere la rincorsa e opporsi su tutto: i porti aperti, l'europeismo in ginocchio, l'occupazione militare del potere, lo Stato etico, l'assistenzialismo di ritorno. E la tenaglia economica a imprese e ceto medio nascosta sotto la parola «redistribuzione». La sintesi perfetta della prossima manovra l'ha fatta un nuovo idolo della sinistra, sorprendente perché bocconiano, quel Mario Monti che ha messo in naftalina il loden e ha indossato l'eskimo: «Bisognerà tornare a imporre sacrifici». E si prepara con voluttà a votare la fiducia oggi in Senato.La piazza ribolle quando sul palco sale Matteo Salvini, il boato più lungo è per lui, che pure staccò la spina fuori tempo massimo commettendo un errore politico che anche all'interno della Lega gli è stato fatto notare. «Se i signori là dentro proveranno a cambiare quota 100 e tornare alla legge Fornero non li lasceremo uscire da quel Palazzo. Ci staranno giorno e notte, Natale e Ferragosto. E se proveranno ad aprire i porti, i porti li chiuderemo noi tutti insieme. Dovranno passare sul mio corpo. L'onore e la dignità di girare per Roma a testa alta vale mille ministeri. I veri dittatori sono lì dentro, asserragliati nel Palazzo, ma loro sono il passato. Non potranno scappare al voto per sempre, e quando si andrà a votare vinceremo». Poi, rispondendo a qualche giornale che aveva definito eversiva la manifestazione: «Questa non è una piazza eversiva, non è quella dei centri sociali e delle zecche. I poliziotti e le forze dell'ordine sono qui accanto a noi e sorridono».La massa dei partecipanti sfila pacifica e la battuta più gettonata è «l'unico rosso che ci piace è quello della Ferrari». Il resto è tricolore, la bandiera che tiene insieme un'idea di Italia e di vita. Daniela Santanchè sfoggia uno Stetson bianco, rosso e verde, subito criticato dalla vispa Teresa del Pd, Alessia Morani, che su Twitter commenta: «Ecco i nuovi patrioti all'amatriciana, la loro inconfondibile sobrietà che fa rima con credibilità». Santanchè replica: «Solo Teresa Bellanova si può vestire come vuole?». Si riparte con i complimenti al veleno, in un clima di ricreazione che presto sarà archiviato dai problemi concreti del Paese.
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