2018-06-28
Il pm di Dagostino: «È vero, incontrai Lotti e i vertici Csm per risolvere i miei guai»
Antonio Savasta, il coindagato di Tiziano Renzi avvicinò il magistrato chiamato a occuparsi dei suoi affari, che ora ammette: «Andai a Roma, cercavo aiuti per la mia situazione».Il giudice è stato convocato per questioni disciplinari. In passato contro di lui ci fu l'esposto di un imprenditore e un procedimento del Csm sul suo lavoro si fermò perché chiese di cambiare città.Un maggiore delle Fiamme gialle ricorda che Luigi Dagostino non fu iscritto a Trani: «Feci presente i rapporti con Tiziano...».Lo speciale contiene tre articoli.Antonio Savasta, giudice dell'ottava sezione civile del Tribunale di Roma, è indagato per intralcio alla giustizia e corruzione. È accusato di aver chiuso un occhio su un'inchiesta che coinvolgeva l'immobiliarista barlettano Luigi Dagostino, suo compaesano e coetaneo. Un'indagine su un giro di fatture false emesse in favore di società riconducibili all'imprenditore. In cambio di quel trattamento di favore, secondo l'accusa, Savasta, insieme con l'avvocato Ruggiero Sfregola, si sarebbe fatto introdurre a Palazzo Chigi al cospetto dell'allora sottosegretario Luca Lotti e a una cena privata a cui parteciparono tre pezzi da novanta del Csm che aveva aperto un procedimento disciplinare nei suoi confronti. Gli ospiti eccellenti erano il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e i consiglieri Paola Balducci e Giuseppe Fanfani (molto vicino alla famiglia Boschi), nominati in quota Pd. Ma con La Verità Savasta non accetta questa immagine di magistrato traffichino.«Io non posso fare il processo sui giornali, ma una cosa posso dirgliela: che quando ho fatto trasmettere gli atti a Firenze il nome di Dagostino non emergeva nel mio fascicolo e che avevo delegato tutto alla Guardia di finanza. Le assicuro che non ho creato nessun ostacolo all'indagine».Eppure le società beneficiarie delle fatture erano tutte collegabili a Dagostino«In realtà il suo nome, almeno nelle prime informative, non c'era assolutamente. Forse era presente nell'ultima. Per questo se a un incontro arrivava tizio o caio a me non diceva nulla».A insospettire i suoi accusatori è il fatto che lei in quel periodo frequentasse proprio il convitato di pietra della sua indagine…«Io non l'ho frequentavo nella maniera più assoluta».Ma sull'agenda di Dagostino sono segnati più incontri con lei al bar Igloo di Barletta…«Io non ho mai avuto incontri con lui al bar Igloo. È un'invenzione, non l'ho mai visto lì».Dagostino ha dichiarato di averla portata da Lotti a Palazzo Chigi. «Nemmeno questo è vero. Io sono andato da Lotti con l'avvocato Sfregola».Dagostino ha fatto mettere a verbale di essere entrato insieme con lei nell'ufficio di Lotti e di averglielo presentato.«Quando sono entrato non l'ho visto. A me Sfregola ha detto di aver organizzato lui l'appuntamento».L'avvocato Sfregola sosteneva di essere lui il contatto con Lotti?«Con persone vicine a Lotti e io non gli ho chiesto chi fossero i suoi referenti. E comunque in quel momento non collegavo Dagostino al mio fascicolo giudiziario. Mi sembra che lui sia arrivato alla fine, quando io avevo già terminato di dialogare con Lotti. Il quale si è limitato a prendere le mie referenze». Che cosa voleva ottenere?«La mia richiesta era quella di partecipare a gruppi di studio o essere applicato a delle commissioni ministeriali che si occupavano di appalti, la mia specializzazione. Sono tentativi che i magistrati fanno se hanno la possibilità e una certa professionalità. Era un modo, in un certo senso, per provare a levarmi da Trani, mettendomi in aspettativa, in un periodo in cui pendevano su di me procedimenti penali, da cui sono stato assolto in un doppio grado di giudizio, e disciplinari per incompatibilità ambientale. Puntavo a lasciare un ambiente che era diventato pesante, anche per riprendermi a livello psicologico, perché la pressione era tanta». Perché Lotti accettò di incontrarla?«Mi è stato detto dall'avvocato Sfregola che c'era la possibilità di parlargli perché stavano cercando dei giuristi che avevano trattato la materia degli appalti a livello penale e io mi stavo occupando indagini di quel tipo. Ma purtroppo la mia candidatura non è stata presa in considerazione».Ha più visto l'ex ministro?«No, non mi hanno più chiamato». Che idea si è fatto delle inchieste che la riguardano?«Le parlo a cuore aperto: io ho già subìto persecuzioni pazzesche per il solo fatto di fare certi tipi di indagini che mi hanno distrutto la vita».Per esempio?«Un giorno le racconterò io le verità su Trani, le dirò che fine abbiano fatto certe inchieste. I problemi sono iniziati quando abbiamo cominciato a indagare sulle banche, sulle agenzie di rating, su questioni che attengono ai derivati, su tutte le società che intendevano trasformare la Puglia in una pattumiera. Noi ci siamo opposti alle lobby dell'immondizia che venivano dalla Campania, ci siamo messi contro tutto il mondo e alla fine abbiamo pagato. Vogliamo parlare della vicenda del treno di Corato? Io facevo parte del pool che se ne occupava e siamo stati trucidati soltanto perché stavamo indagando su dove fossero finiti i soldi destinati alla sicurezza. Consideri che in Italia ci sono delle storie parallele e che quando si entra in certi meccanismi e si scoprono certe cose, i magistrati diventano pericolosi. Oggi si procede in maniera diversa per fare fuori magistrato, non si fa come prima. Ed è quello che hanno fatto con me, perché ci siamo esposti, abbiamo esagerato come piccola Procura a fare determinate indagini. La stiamo pagando cara».Mi sta dicendo che si sente vittima di un complotto?«In realtà ho grandissima fiducia nel lavoro dei magistrati, soprattutto quelli della Procura di Lecce che si è sempre comportata in maniera equilibrata. E, poi, effettivamente, come l'ha pensato lei, anche ai magistrati può sembrare che nella mia vicenda ci siano delle stranezze, ma, lo ribadisco, non ho fatto nessun atto che abbia potuto occultare o impedire attività investigative».L'ex comandante della Guardia di finanza di Barletta sostiene che a dicembre 2015 le segnalò gli stretti rapporti tra Dagostino e la famiglia Renzi. «Mi è stato detto: “Vogliamo fare delle belle investigazioni, così indaghiamo su Renzi, facciamo lo scoop eccetera eccetera?". Io ho risposto: “Noi di Trani non siamo il Tribunale d'Italia". Secondo lei, in un periodo in cui ero sotto procedimento disciplinare, sottoposto a una serie di attacchi proprio perché si diceva che Trani voleva essere al centro del mondo, mi sarei dovuto mettere a fare le indagini in Toscana? Soprattutto quando emergeva una competenza rilevante sul territorio fiorentino? Allora ho detto: se emergono questioni che riguardano Firenze, io non vorrei fare le indagini, perché non mi sento competente, in particolare in un momento in cui, tra parentesi, sono in queste condizioni di difficoltà».Non voleva occuparsi di Renzi?«Non è che non mi andasse di toccare Renzi, avrei fatto probabilmente un'indagine fuori territorio e avrebbero detto: “Ecco, di nuovo Trani!". Si metta nei miei panni, non me la sentivo di fare quel tipo d'indagine, per poi sentir dire… Io adesso faccio il giudice civile, ho deciso di inabissarmi».Con Dagostino lei andò anche alla cena di Roma dove c'era LGiovanni egnini, vicepresidente del Csm. Per quale motivo?«Mi avevano detto che c'erano delle persone che, visto che in quel momento ero sotto procedimento disciplinare, erano di un certo livello. “Fai vedere che magari frequenti gente così…". Ma non è che ci sono andato con strani intenti…».Lei sperava che fosse l'occasione giusta per incontrare qualcuno del Csm?«Speravo semplicemente che mi vedessero e che mi potessero ascoltare. Il mio desiderio era di mostrarmi in un contesto di persone di un certo tipo per dire: “Guardate che non sono quel pm di provincia da quattro soldi che magari ha fatto la cavolata della sua vita". Era solo per quello…».Come è andata con Legnini, Balducci e Fanfani quella sera?«Furono molto freddi, probabilmente perché il mio procedimento era pendente».Giacomo Amadori<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-pm-di-dagostino-e-vero-incontrai-lotti-e-i-vertici-csm-per-risolvere-i-miei-guai-2581870467.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="denunce-e-richieste-di-trasferimento-una-toga-costantemente-in-bilico" data-post-id="2581870467" data-published-at="1758005919" data-use-pagination="False"> Denunce e richieste di trasferimento: una toga costantemente in bilico I guai per Antonio Savasta, ex pm della Procura di Trani, sembrano non finire mai. Il procuratore generale della Cassazione, Mario Fresa, titolare del potere disciplinare sui magistrati, lo ha convocato pochi giorni fa per chiedergli conto di talune vicende che erano affiorate anche di fronte al Consiglio superiore della magistratura in seguito ad alcuni esposti. Tra cui quello di Donato Cosmai, convocato da Fresa ieri come persona informata dei fatti. La pratica che il Csm aveva aperto due anni fa, e che poteva costare il trasferimento d'ufficio a Savasta, è stata nel frattempo archiviata grazie alla provvidenziale richiesta da parte del magistrato di lasciare, di sua spontanea volontà, l'ufficio giudiziario pugliese per un posto da giudice al Tribunale di Roma. Ma il Csm aveva comunque trasmesso gli atti al pg di Cassazione affinché valutasse alcuni «profili di criticità emersi» nel corso dell'istruttoria condotta a Palazzo dei Marescialli. Il Csm aveva analizzato alcuni esposti presentati contro Savasta tra 2015 e 2016. In particolare quello dell'imprenditore Giuseppe Dimiccoli sull'acquisto da parte del magistrato di una masseria a Bisceglie e ulteriori procedimenti penali che lo chiamavano in causa per condotte che sarebbero state commesse con abuso delle funzioni di pubblico ministero: procedimenti penali già definiti con assoluzione fatta eccezione per una vertenza ancora pendente in Cassazione e un'altra di fronte al Tribunale di Lecce in cui Savasta è stato rinviato a giudizio per una lottizzazione abusiva. Ma a impensierire il magistrato erano state le segnalazioni al Csm in cui veniva evidenziava l'esistenza di una «rete di conoscenze» (definita in un esposto addirittura «un clan») tra sostituti procuratori da anni operanti a Trani, avvocati, appartenenti alle forze dell'ordine, amministratori locali e imprenditori. Una rete di cui avrebbero fatto parte lo stesso Savasta e il suo collega Luigi Scimè, e tale, almeno secondo quanto denunciato, da influenzare l'andamento delle indagini nell'ufficio giudiziario. Un sistema descritto, sebbene in forma romanzata e con nomi di fantasia in Frammenti di storie semplici, opera redatta da Roberto Oliveri Del Castillo, già giudice presso lo stesso Tribunale di Trani. A fronte di queste denunce la prima commissione del Csm aveva dunque aperto un'istruttoria a febbraio 2016, nel corso della quale erano stati ascoltati lo stesso Oliveri Del Castillo (il 16 giugno 2016), Anna Maria Tosto e Carlo Capristo, rispettivamente procuratore generale presso la Corte di Appello di Bari e procuratore della Repubblica di Taranto (il 21 luglio), mentre venivano acquisite anche informazioni dal procuratore generale presso la Corte di Appello di Lecce sull'eventuale esistenza e sullo stato dei procedimenti penali riguardanti i magistrati in servizio presso la Procura di Trani. Il 19 settembre, sempre del 2016, la prima commissione aveva dunque aperto la pratica di trasferimento d'ufficio, come peraltro chiesto dall'allora pg di Cassazione, Pasquale Ciccolo. Richiesta su cui Palazzo dei Marescialli avrebbe dovuto pronunciarsi all'esito dell'audizione dei due magistrati prevista per il successivo 15 novembre. Che però non ci fu mai. Perché? Nel frattempo, il 24 ottobre, sia Savasta che Scimè avevano infatti presentato alla terza commissione istanza di trasferimento volontaria ad altra sede, atto che, in base alle guarentige previste per i magistrati, ha sterilizzato l'iniziativa del Csm. L'11 novembre Savasta aveva indicato poi quattro sedi alternative per rimuovere la situazione della sua presunta incompatibilità nell'ufficio di Trani: la Corte di Appello di Roma, il Tribunale e il Tribunale di Sorveglianza sempre della Capitale o il Tribunale di Foggia. Da lì era partita una intensa attività istruttoria: il 24 novembre 2016 la prima commissione del Csm aveva espresso parere favorevole al trasferimento preventivo di Savasta al Tribunale di Roma; il 21 dicembre il consiglio giudiziario di Bari aveva dato il suo via libera; il 9 gennaio 2017 la terza commissione di Palazzo dei Marescialli aveva preso atto che il punteggio del concorso virtuale attribuibile a Savasta (24 per anzianità, due punti per il merito, un punto per le attitudini) avrebbe consentito l'assegnazione del posto di giudice del Tribunale di Roma, per il quale peraltro nessuno altro aveva fatto domanda di assegnazione. Il 18 gennaio 2017 il plenum del Csm infine aveva deliberato il trasferimento di Savasta a Roma. Ilaria Proietti <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-pm-di-dagostino-e-vero-incontrai-lotti-e-i-vertici-csm-per-risolvere-i-miei-guai-2581870467.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-finanza-insisteva-ma-il-nome-dellex-premier-non-entro-nel-fascicolo" data-post-id="2581870467" data-published-at="1758005919" data-use-pagination="False"> La Finanza insisteva ma il nome dell’ex premier non entrò nel fascicolo L'inchiesta della Procura di Firenze su Antonio Savasta, fascicolo ora trasferito a Lecce per competenza, prende spunto da un procedimento avviato dallo stesso magistrato. Nel marzo 2015 ordina la perquisizione di 8 imprenditori «per aver posto in essere un'associazione per delinquere nel settore edile, finalizzata al riciclaggio/reimpiego di somme di denaro derivanti da frode fiscale mediante l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti ovvero la totale evasione delle imposte». All'epoca Savasta nomina come difensore d'ufficio degli indagati l'avvocato Ruggiero Sfregola (ora indagato insieme con lui). Il 22 maggio 2015 uno degli inquisiti, Leonardo Ruggiero Belgiovine, «ammetteva che, a causa della crisi economica, aveva emesso fatture false in favore di varie imprese; che riceveva per tale opera un compenso; di non ricordarsi di quali fossero le imprese, ma che i pagamenti risultavano comunque attraverso bonifici». Le indagini effettuate a seguito di tali dichiarazioni consentivano di appurare che destinatarie delle fatture di cui aveva parlato Belgiovine erano cinque aziende amministrate, ufficialmente o di fatto, dall'imprenditore Luigi Dagostino, all'epoca sodale di Tiziano Renzi. Il 29 giugno 2015 Savasta interrogava un altro indagato, Ruggiero Rizzitelli, «il quale a sua volta ammetteva di aver emesso fatture false». Anche in questo caso nessuna chiamata di correo, sebbene le ulteriori indagini delle Fiamme gialle consentirono di appurare che le società che aveva utilizzato le fatture false erano sempre di proprietà di Dagostino. Insomma gli imprenditori confermarono di aver fatto carte false per favorire qualcuno, ma a verbale non ne citarono il nome. Ad aprile i pm fiorentini hanno domandato all'allora comandante della Guardia di finanza di Barletta, il maggiore Carmelo Salomone, perché Dagostino non sia mai stato iscritto sul registro degli indagati a Trani (mentre è stato inquisito e arrestato a Firenze). E lui ha ricostruito la complicata vicenda in un lungo confronto, iniziato alle 9 del mattino e chiuso nel pomeriggio. Salomone, contattato dalla Verità, sostiene di aver appreso dai giornali nel dicembre 2015 la storia del legame tra Dagostino e la famiglia Renzi e che solo allora si accorse che qualcosa in quell'inchiesta non tornava. L'ufficiale ricorda bene quei mesi di febbricitanti investigazioni e ammette che si spogliò a malincuore del fascicolo: «Certo se hai una grossa indagine dove sei riuscito a smascherare 50-60 milioni di fatture false e in più scopri un giro di svariati milioni di euro che vanno e vengono da Panama, dalle Cayman, dalle Isole Vergini, con ipotesi di riciclaggio e tutto il resto, comprenderà bene che si tratta di un lavoro interessantissimo per uno che fa il mio mestiere». E, invece, si dovette fermare. Ma Salomone ha riferito ai pm fiorentini la sua presunta divergenza di vedute rispetto a Savasta sulla conduzione dell'inchiesta? «Sì, l'ho detto. Con Savasta c'era un discorso abbastanza chiaro… lui non intendeva fare determinate cose perché diceva che le società erano fiorentine e aggiunse: “Se è… farò io lo stralcio ai colleghi di Firenze". Ma sembra che lo stralcio non l'abbia mai fatto». Vista la situazione di stallo, Salomone a inizio 2016 prese la sua decisione: «Se non possiamo intervenire su queste società allora io trasmetto tutti gli atti alla Gdf di Firenze» avrebbe detto a Savasta. E la cosa non sarebbe stata decisa in un clima di concordia: «E vabbè, ma chi comanda è il magistrato» è il laconico commento del maggiore. Interrogativo finale: Savasta ha mai commentato il nome di Renzi con Salomone? «Non nei termini che sospetta lei. All'epoca aveva già dei suoi problemi per vecchie storie e quando gli feci notare le conoscenze di Dagostino mi sembrò un po', non dico intimorito, ma perplesso». Giacomo Amadori
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)