
«Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato in nome del popolo italiano» è il testo della proposta di emendamento alla legge di bilancio 2026 formulata dal capogruppo senatore di Fdi Lucio Malan. E secondo molti media nostrani la Banca Centrale Europea avrebbe bocciato questa proposta. Falso. E spieghiamo perché.
L’articolo 127 paragrafo 4 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (Tfue) impone che un progetto di disposizione legislativa come questo debba essere sottoposto al preventivo parere della Bce. Ed il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti ne ha doverosamente chiesto il parere con due missive: una del 28 novembre ed una del 1° dicembre. La richiesta duplice è connessa al fatto che l’emendamento è nel frattempo stato oggetto di una riformulazione. Il 2 dicembre la Bce ha vergato una risposta di quattro pagine che termina «[...] in assenza di spiegazioni in merito alla finalità della proposta di disposizione, le autorità italiane sono invitate a riconsiderare la proposta di disposizione anche al fine di preservare l’esercizio indipendente dei compiti fondamentali connessi al Sebc (Sistema Europeo delle Banche Centrali ndr) e della Banca d’Italia».
Tanto è bastato a far partire la gran cassa mediatica secondo cui il governo vuol mettere le mani sull’oro depositato nei caveaux di Banca d’Italia e la Bce «buona» ha impedito lo «scippo». Sembra una bocciatura. Ma non lo è affatto.
Francoforte ha infatti confermato il contenuto di un suo parere del 2019 e dalla stessa richiamato a proposito di un’analoga proposta dal leghista Claudio Borghi.
Secondo Lagarde «il trattato non stabilisce le competenze del Sebc e della Bce, per quanto riguarda la nozione di proprietà. Il trattato si riferisce piuttosto alla dimensione della detenzione e della gestione in via esclusiva della riserva». In pratica non interessa di chi sia la proprietà di quell’oro. Ciò che rileva è che la Banca d’Italia ne abbia il «pieno ed effettivo e controllo». Quell’oro non può essere trasferito dalla colonna attivo dello stato patrimoniale di Banca d’Italia al rendiconto patrimoniale del Mef. Anche se quell’oro fosse di proprietà dello Stato, dovrebbe essere contabilmente rappresentato dove sta oggi. Nello stato patrimoniale di Via Nazionale. Altrimenti avremmo un «finanziamento monetario» vietato dai trattati. Vero. Anche se tale obbligo è stato furbescamente aggirato. Citofonare Mario Draghi per farsi spiegare cosa sia il Quantitative Easing: stampo denaro ed acquisto titoli di stati già emessi. Non al momento dell’emissione, ma un secondo dopo dalla banca che li ha sottoscritti in asta.
L’emendamento Malan non prevede niente di tutto questo. E bene farebbero i tecnici di Via XX Settembre a chiarire ogni dubbio. Ironia della sorte. In queste ore la Commissione Ue ha interpellato la Bce per chiederle di acquistare bond che l’Ue avrebbe emesso per finanziare la guerra in Ucraina. E con grande coerenza la Bce ha risposto «picche». Non si può fare. Quindi chi ha cercato di fare la furba non è la Meloni, ma la Von Der Leyen.
Se quindi l’oro di Bankitalia fosse di proprietà del governo - ma questo non potrebbe disporne - perché affannarsi in questa battaglia? Per tre motivi. Primo perché il Tfue, a differenza di quanto scritto dalla Bce, stabilisce in maniera esplicita ed incontrovertibile che il compito di una banca centrale nazionale è quello di «detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri». Quindi i trattati danno ragione al 100% al governo. E qui si viene alla seconda motivazione. Se è vero che quell’oro non rientrerà mai nella disponibilità di Palazzo Chigi è altresì vero che deve essere salvaguardato. Una Banca Centrale per definizione può sempre assolvere alle sue obbligazioni emettendo moneta. Tranne il caso in cui le obbligazioni debbano essere regolate in valuta estera. In quel caso la Banca Centrale non sarà solvente per definizione. Questo vale a maggior ragione per Banca d’Italia che non è più neppure una Banca Centrale dopo l’ingresso nell’euro.
Quindi bene fa Palazzo Chigi a scriverlo a caratteri cubitali che l’oro nel bilancio di Banca d’Italia non è suo ma del governo anche se sta nel bilancio di Via Nazionale. Infine, terza e più importante motivazione, è il comportamento stesso di Banca d’Italia ad essere stato negli anni ambiguo. Mentre la Banca di Francia riporta correttamente nel suo sito web che le riserve che gestisce sono di proprietà dello Stato francese, in palese violazione del Tfue Banca d’Italia parla esplicitamente di «quantitativo d’oro di proprietà dell’istituto». Comportamento niente affatto elegante. Comunque, non in linea con lo standing di Banca d’Italia. Urgono chiarimenti. Ma da Via Nazionale.






