2018-06-07
Il piano di Salvini per disarmare Confindustria e il potere renziano
Una legge per vietare alle società partecipate dallo Stato di associarsi. Così il club degli industriali «romani» perderebbe peso politico e risorse economiche. La nordista Assolombarda non vede l'ora.La nascita del governo gialloblù di Giuseppe Conte inizia a far sentire i suoi effetti sul sistema Confindustria. Che le relazioni tra viale dell'Astronomia e i due azionisti di maggioranza dell'esecutivo, Lega e 5 stelle, non siano mai stati idilliache è cosa nota. Ma nel giro di pochi mesi potrebbe esserci una brusca inversione di tendenza nei rapporti di forza all'interno dell'associazione degli industriali italiani, sia in vista della scadenza di mandato di Vincenzo Boccia sia in previsione delle nomine nelle partecipate statali nel 2019-2020. Matteo Salvini, il vicepresidente del Consiglio e segretario leghista, combatte da tempo contro il cosiddetto «generone romano», quella rete di industriali italiani ben rappresentata da Luca Cordero di Montezemolo (da poco coinvolto nell'inchiesta sul crac di Alitalia), Luigi Abete e Aurelio Regina, storici oppositori dei nordici di Assolombarda. Il leader del centrodestra lo disse chiaro e tondo a febbraio: «Sto incontrando tanti imprenditori e temo che i vertici di Confindustria rappresentino sempre più se stessi e non il mondo dell'industria». Poi ha rincarato la dose a maggio, durante le consultazioni: «Confindustria guarda al passato». Anche per questo motivo il via libera al governo gialloblù sta facendo nascere un nuovo fronte settentrionale compatto, con Assolombarda insieme con le Confindustria di Veneto e Piemonte, pronte a rimescolare la gestione del potere degli ultimi anni.Del resto non è una novità che dal momento dell'insediamento di Boccia nel 2016, la Confindustria romana abbia sempre appoggiato l'ex presidente del Consiglio Matteo Renzi. Non è successo solo in occasione del tragico referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, ma anche nella fase di spartizione delle nomine pubbliche. In questi due anni, infatti, a tirare le fila sono state in particolare due donne, il vicedirettore Antonella Mansi e il direttore generale Marcella Panucci. Soprattutto la seconda, renziana di ferro, ha gestito le rappresentanze delle grandi aziende pubbliche in viale dell'Astronomia, garantendo con abilità pesi e contrappesi dei voti di Leonardo, Eni, Ferrovie dello Stato e Enel. Anche per questo motivo ha fatto rumore il pezzo dell'Espresso della scorsa settimana, dove si spiega che proprio Salvini starebbe preparando un provvedimento che stabilisce per legge il divieto per tutte le aziende partecipate dallo Stato, anche solo indirettamente, di aderire all'associazione di categoria degli industriali. Sarebbe una mossa di non poco conto, sia di rottura di un certo sistema sia di rivoluzione economica, perché metterebbe in seria difficoltà un'associazione che, dopo aver perso Fiat e Luxottica, si ritrova tutt'ora in difficoltà per i buchi del Sole 24 ore»: solo Eni e Leonardo portano in cassa più di 10 milioni di euro insieme.Non è un caso che negli ultimi giorni lo stesso Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, abbia avuto parole ben diverse da quelle di Boccia nei confronti dell'esecutivo. «Noi non esprimiamo giudizi politici», ha spiegato. «Sono contento che ci sia un governo, perché l'Italia ne aveva bisogno». Sono seguite parole di apertura sull'abolizione delle sanzioni alla Russia e sulla flat tax. Insomma, si tratta di un segnale che tra Nord e Sud si corre a velocità differenti. A resistere è l'ex ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda, che ha esposto proprio a Confindustria il suo manifesto per un partito politico liberaldemocratico, di alternativa a Lega e 5 stelle.Ma da tempo è sul tavolo la successione a Boccia. Ci sarebbe persino già un accordo non scritto dopo la nomina di Marco Bonometti alla presidenza di Confindustria Lombardia dello scorso anno: il prossimo numero uno di viale dell'Astronomia dovrà essere un imprenditore del manifatturiero delle regioni del Nord. Ma c'è chi rema contro questo schema, anche se senza il via libera di Assolombarda è impossibile eleggere il nuovo presidente. Gli oppositori sono Montezemolo, Abete (anche se tra i due si dice che corra maretta) e appunto Regina. Per i tre del sigaro toscano il candidato potrebbe essere Gaetano Maccaferri.È probabile che prima della sostituzione di Boccia bisognerà affrontare il nodo delle partecipate statali. La partita più delicata si svolge in queste ore su Cassa depositi e prestiti, dopo l'addio di Claudio Costamagna e Fabio Gallia. Sono note le simpatie di Lega e 5 stelle per Fabrizio Palermo, dato in corsa per il posto di amministratore delegato o di direttore generale. Mentre per la presidenza gira forte il nome di Massimo Tononi, che avrebbe l'appoggio del presidente di Acri Giuseppe Guzzetti e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti. Allo stesso tempo le inchieste della magistratura che gravano su Alessandro Profumo, amministratore delegato di Leonardo, e Claudio Descalzi, numero uno di Eni, potrebbero velocizzare i cambi ai vertici del colosso della difesa e della capofila delle nostre aziende petrolifere. È un gioco a incastri che si trova sui tavoli di Lega e 5 stelle, con Giorgetti da una parte e dall'altra Stefano Buffagni, a gestire la transizione dal renzismo alla nuova Italia legastellata.
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Charlie Kirk (Getty Images)