
L'Europa che si avvicina alle elezioni ha un tratto comune. Le tradizioni, le identità e i legami su cui si reggevano intere nazioni sono stati distrutti. Ma senza il passato, come intuì Simone Weil, le società diventano «macchine per infrangere cuori e spiriti».Dopo le prossime elezioni europee non molto continuerà come prima. Un aspetto è comune in tutto il continente: interi popoli si sentono sradicati. Sono stati distrutti i legami su cui si sono sempre costruite le esistenze e le identità: la famiglia, i rapporti personali, la riproduzione, la sessualità, il territorio, la morale, la visione del mondo. Un fenomeno intuito con straordinaria lucidità fin dal 1949 dalla giovane filosofa Simone Weil (da non confondere con il suo opposto Simone Veil, autrice della legge francese sull'aborto e primo presidente del Parlamento europeo): «Gli uomini di razza bianca hanno distrutto ciecamente il passato nelle loro patrie e nelle patrie altrui: questo è forse il delitto supremo». Il punto d'arrivo di un processo in cui, dalla rivoluzione francese in poi, gli europei hanno sradicato dalla loro storia interi continenti, a cominciare dal proprio. Ciò fa sì che oggi (scriveva allora la Weil) «è la conservazione di ciò che resta che dovrebbe diventare l'impegno supremo». È proprio questo che vive oggi (70 anni dopo) il popolo e l'intero continente europeo, che il potere e gli interessi di gruppi ristretti hanno strappato alla propria storia, le proprie tradizioni, le proprie certezze, la propria identità. La spiegazione banalizzante fatta dal mainstream la conosciamo bene, ce la ripetono tutti i giorni: eh, ma è perché è cambiato il mondo. Non è così. Al contrario (come intuiva la Weil) è proprio quando cambia il mondo attorno che è necessario approfondire il rapporto con la propria storia e identità. Come per l'individuo è importante sapere chi sono i propri genitori, così (spiega Sabina Moser nel suo libro sugli scritti di Londra della Weil), i gruppi umani hanno bisogno per identificarsi di sapere quale civiltà li abbia generati, per riconoscere i propri valori e modelli di vita profondi. Basta guardare la Svizzera, un piccolo paradiso per chi ci vive (tanto che i confusi la scelgono invece per andarci a morire), che non ha rinunciato a (quasi) niente della propria identità e riesce così a far convivere tutto: l'artigianato con le multinazionali, l'industria con l'agricoltura, il paesaggio con le città, gli alti studi con le arti e mestieri. Per riuscirci però ha deciso di stare alla larga da questa Europa, con la sua omologazione spersonalizzante e dannosa. È stata accusata di follia, ma se l'è cavata molto meglio degli altri. Senza le radici che affondano nel passato, dice ancora la Weil, la società diventa una «macchina per infrangere cuori, schiacciare gli spiriti, fabbricare incoscienza e stupidità». Quella «stupidità» sulla quale poi gli studi di neuroscienze presentati nei libri di Nicolas Carr e gli altri sulle conseguenze di Internet sul cervello, forniscono oggi prove continue e aggiornate in tempo reale (note a tutti tranne che ai politici convinti che avere un ministero li esenti dall'aggiornarsi). Del resto anche l'Italia, nei suoi aspetti forti che l'hanno tenuta in piedi (malgrado la sua classe politica imbevuta da ideologie di ieri e dell'altro ieri), se è ancora competitiva nel mondo lo è per il suo altissimo artigianato, che collega impresa a famiglia, territorio, arte, cultura tradizionale. È su di esso (come ho ascoltato più volte dalla voce dei suoi imprenditori), che è costruita l'eccellenza di sofisticati e avanzatissimi settori: le macchine utensili, la moda, il design, l'alimentare. Tutta roba che non si sarebbe mai potuta sviluppare come ha fatto senza il lascito di una ricchezza creativa, spirituale e scientifica millenaria e molto individuale, radicata nei diversi territori (che anche per fare questo chiedono l'autonomia). Come infatti non si è sviluppata in nessun altro Paese del mondo, anche quelli meno martoriati del nostro da tasse altissime e politici disonesti e non informati. Per non parlare della qualità della vita italiana, che malgrado le fortissime spinte all'omologazione e disumanizzazione profetizzate dalla Weil e poi denunciate da Pier Paolo Pasolini nei suoi Scritti corsari, per fortuna non si è completamente persa. Oggi però, se non si riuscisse ad affermare stabilmente una visione e un'azione politica diversa, questa qualità della vita correrebbe il rischio di diventare un lusso esclusivo per pochi (una prospettiva che nei settori più spregiudicati delle élite è del resto assai gradita). Comunque, lo «stile italiano» è quello, ed è solo difendendolo da chi vorrebbe comprarselo per sostituirlo con prodotti e vite in serie, costruite a poco prezzo in giro per il mondo, che si rimane vivi e non si sprofonda nella povertà (materiale e spirituale) e nella disperazione. Problemi simili si ripresentano però, con forme diverse, un po' dovunque altrove in Europa. Ed è proprio questa la novità di queste elezioni europee.Attraverso i disastri della malagestione di decenni di eurocrazia e di politici locali a essa legati, i Paesi d'Europa riscoprono oggi il valore delle loro specifiche tradizioni e vocazioni. Poi certo i politici della nuova generazione, a cominciare da Matteo Salvini, interpretano e affrontano la situazione. Ma attorno a loro ci sono ormai nuove generazioni di studenti, lavoratori, artigiani, operatori economici, agricoltori. È il mondo cresciuto tra le rovine del gigantismo industriale e finanziario della seconda metà del Novecento, che ha però continuato a occupare la scena fino a ieri, con la classe politica al servizio suo e del suo progetto di globalizzazione, con annesse bancarotte. Per ora naufragato (almeno in quella forma) proprio grazie alla riscoperta degli interessi nazionali e locali. Si tratta di una riscoperta vitale e non necessariamente violenta, a condizione però che i poteri forti residui ne riconoscano il senso positivo. Mentre ogni tentativo (tutt'altro che scomparso) di opporsi allo spirito del tempo non farebbe altro che inasprirla, costringendo i popoli a potenziarne gli aspetti distruttivi, comunque sempre presenti nei movimenti di massa. Tra chi non rinuncia a cambiare c'è anche chi punta sulla diversità tra i sovranisti nazionalisti e le autonomie territoriali, equamente distribuiti nei partiti al governo. Personalmente, credo sia un conflitto immaginario, con radici romantico-grandiose. Solo radicandosi nei territori la sovranità può crescere ed essere conservata alla nazione-Stato. Le nazioni «organiche», fatte da gruppi che riconoscono la propria identità linguistica, etnica, territoriale e culturale, hanno creato con la loro unione gli imperi europei durati più a lungo e con più creatività e successo. Lo Stato-nazione che non riconosca le autonomie locali invece si taglia le gambe da solo, lo stesso errore commesso dall'Europa debole, malata e autoritaria di questi anni. Il sovrano non nasce in una capitale, che è sempre necessariamente marcia (il passato ha anche il suo peso, da rigenerare in continuazione), ma nel Paese, non lontano dalle selve e dai loro selvatici abitanti. (Almeno questo è lo sguardo, anch'esso sempre parziale, del selvatico).
Ansa
Mirko Mussetti («Limes»): «Trump ha smosso le acque, ma lo status quo conviene a tutti».
Le parole del presidente statunitense su un possibile intervento militare in Nigeria in difesa dei cristiani perseguitati, convertiti a forza, rapiti e uccisi dai gruppi fondamentalisti islamici che agiscono nel Paese africano hanno riportato l’attenzione del mondo su un problema spesso dimenticato. Le persecuzioni dei cristiani In Nigeria e negli Stati del Sahel vanno avanti ormai da molti anni e, stando ai dati raccolti dall’Associazione Open Doors, tra ottobre 2023 e settembre 2024 sono stati uccisi 3.300 cristiani nelle province settentrionali e centrali nigeriane a causa della loro fede. Tra il 2011 e il 2021 ben 41.152 cristiani hanno perso la vita per motivi legati alla fede, in Africa centrale un cristiano ha una probabilità 6,5 volte maggiore di essere ucciso e 5,1 volte maggiore di essere rapito rispetto a un musulmano.
Donald Trump (Ansa)
Luci e ombre nel primo anniversario della rielezione alla Casa Bianca: promosso in Medio Oriente, rimandato sull’Ucraina. Borsa ai massimi ma «sopravvalutata». L’inflazione cresce e la Fed mantiene i tassi alti. Stallo record sulla legge di bilancio.
Gli elettori della Virginia chiamati a scegliere il nuovo governatore si sono espressi: «Trump you are fired! (sei licenziato, ndr). In uno stato però tendenzialmente blu, che nel 2024 aveva scelto Kamala Harris. E confermando il trend, ha optato per la democratica Spanberger. Sebbene il governatore uscente fosse repubblicano. Colpa dello shutdown a detta di molti. Cosa sia lo vedremo alla fine. E comunque negli ultimi 20 anni i democratici alla guida della Virginia sono stati scelti cinque volte su sette. Ma al netto delle elezioni in Virginia, e dando per scontato che la città di New York e lo Stato del New Jersey votassero democratico (per intendersi sono un po’ come Bologna e la Toscana per il Pd), a un anno esatto dalla sua rielezione alla Casa Bianca qual è il bilancio della seconda presidenza Trump?
Buchi nella sicurezza, errori di pianificazione e forse una o più talpe interne. Questi i fattori che hanno sfruttato i ladri che hanno colpito al Louvre di Parigi. Ma dove sono i gioielli e chi sono i responsabili?






