2019-07-02
Il peluche Nardella prova a mordere. Il Pd intanto resta ostaggio di Renzi
Il sindaco di Firenze irrompe nelle liti per scegliere il candidato dem a governatore toscano in primavera. Tutti però si devono misurare con l'influenza vera o presunta del Bullo. Nel partito è il caos e Nicola Zingaretti tace.Dario Nardella ha abbandonato la parte del personaggio in cerca d'autore e prova a recitare quella che meno gli si addiceva, ma con la quale, ora che è il sindaco pd più vincente (elettoralmente) d'Italia, si sente legittimato a misurarsi: il ruolo dell'uomo forte. Cancellando definitivamente lo stereotipo al quale lo aveva inchiodato l'imitazione irriverente di Maurizio Crozza, che lo faceva passare per l'orsacchiotto giocattolo di Matteo Renzi. Vuole dimostrare che il peluche ha imparato a mordere. Irrompe a gamba tesa sulle liti per scegliere il candidato del Pd nella corsa a governatore della Toscana, prevista nella prossima primavera; annuncia che Firenze, con il porto di Livorno, è pronta ad accogliere i migranti. Un gesto locale, rivolto al rissoso establishment dem toscano («Io faccio il pompiere, il mio obiettivo è quello di tenere il Pd unito»), e uno di rilievo nazionale, di sfida all'odiato ministro dell'Interno (è l'unico argomento sul quale a sinistra si trovano d'accordo), che hanno la valenza di un pugno battuto sul tavolo: farsi largo nel recinto di leader e leaderini del Partito democratico, piuttosto affollato ma anche con pedigree altrettanto modesto. L'ultima mossa del sindaco di Firenze è l'altolà alla fuga in avanti di uno dei più autorevoli aspiranti alla candidatura, il presidente del Consiglio toscano Eugenio Giani, che qualche giorno fa ha riunito 800 simpatizzanti in un teatro di Firenze. Una prova di muscoli che ha inaugurato la stagione dei lunghi coltelli fra i dem. Nardella, spalleggiato dal governatore uscente Enrico Rossi, rientrato nel Pd dopo l'infelice scissione di Mdp, cercherebbe un candidato civico, esterno al partito. E intanto stoppa Giani (anche se in platea alla convention s'è vista la sua vicesindaca, Cristina Giachi), che non l'ha presa per niente bene. Questa guerra sconta l'influenza, reale o presunta, di Matteo Renzi, con la quale tutti si misurano. Renzi probabilmente è ancora convinto di poter disporre della Toscana. Solo la vicenda che ha esposto il suo braccio destro Luca Lotti nel caso Palamara-Csm, gli consiglia per ora di stare in disparte, almeno pubblicamente. Ma il tempo della gloria è finito e la presunzione del fu premier, magari anche suo malgrado, non fa altro che avvelenare i rapporti dentro il Pd. Mette in imbarazzo quanti non gli possono voltare definitivamente le spalle, come Nardella, e costringe in perenne guardia gli altri, gli zingarettiani.Giani fino a prova contraria va considerato un renziano. Ha incassato l'appoggio del renzianissimo Andrea Marcucci e lo stesso Matteo, anche se in passato lo ha trattato con diffidenza, dicono che in questo momento parteggi per lui. In questo momento, poi non si sa. Infatti mi sussurrano: «Sai com'è Matteo...».Ma è qui il punto: Matteo c'è o non c'è? Conta ancora o no? Esiste un tardo renzismo che sopravvive e continua ad avere la forza per dettare le scelte degli uomini? Molti scendono o sono scesi dal vecchio carro, ma temono colpi di coda. Per esempio la segreteria del Pd toscano è nelle mani di Simona Bonafè, renziana della prima ora, appena confermata in Europa e aspirante anche lei al posto da governatore. L'obiettivo sarebbe evitare come la peste le primarie, nelle quali un globetrotter del calibro di Giani si metterebbe in tasca gli avversari. Da presidente del Consiglio regionale è stato in visita pastorale permanente per quattro anni: si è mostrato in 273 Comuni della Toscana. Apparizioni non formali. Un investimento di tempo, energie e chilometri che gli ha permesso di esibire l'appoggio di decine di sindaci, in quella convention nel teatro fiorentino. Alla quale però, ironizzano i suoi detrattori, mancavano i Comuni più grossi, cioè Firenze, Prato e Lucca. Un elemento che magari ha un valore politico, ma non elettorale: tanti piccoli Comuni fanno un patrimonio di voti immenso. La scelta di indirizzarsi verso lo zoccolo duro della sinistra, quel che resta del monopolio rosso, gli unici vincitori in un Pd in grave difficoltà, tampinato dalla Lega anche in Toscana (solo 20.000 voti separavano la sinistra dal centrodestra alle ultime europee), potrebbe essere azzeccata dal punto di vista strategico. Perciò gli altri non stanno con le mani in mano. Oltre a Bonafè, che preferirebbe evitare le primarie e ha già annunciato che «serve un candidato che unisca», pensando evidentemente di essere lei (ma quanti voti è in grado di portare nella cassaforte dem?), la reazione più dura è stata quella di Stefania Saccardi, attuale assessore alla Sanità, che per l'occasione fa da sponda alla Bonafè: «Prima costruiamo la coalizione, poi il nome: non ce l'ho con Giani, ma non è detto che il candidato sia un dem». Tutti contro Giani? Sembra di sì. Ma la realtà è che regna il caos: il Pd toscano è un campo di battaglia dove ognuno sa che deve guardarsi le spalle. Se non ci fosse stato il caso Consip e la vicenda del Csm, perfino Luca Lotti avrebbe preteso di correre. E non è detto che non mediti qualche colpo di teatro alla Renzi. Intanto, mentre tutti immaginano che se ne stia zitto in disparte, aspettando magari che passi la tempesta, Lotti che fa? Riunisce la sua corrente, Base riformista, a Montecatini dal 5 al 7 luglio. Come dire: non pensiate che io sia tagliato fuori. E la strillata autosospensione dal partito? Uno specchietto per le allodole. Un fumogeno.Come avrete capito, qui si parla post renziano. Perfino Giani ha annunciato che andrà all'adunata di Lotti. Da «moderato riformista» come si definisce, guarda su tutti i fronti. Lo stesso farà Saccardi, con la scusa (nobile) che dove c'è discussione c'è vita. Silente e desaparasida, per ora, la ex zarina Maria Elena Boschi. Di fatto è la galassia renziana che cerca un'identità, benché sembri più la ex Jugoslavia dopo la morte di Tito. Gli zingarettiani? Sono come le stelle, stanno a guardare. Anche loro avrebbero dei candidati: Federico Gelli, ovviamente ex renziano pure lui, ora gentiloniano; oppure l'orlandiano Emiliano Fossi, sindaco di Campi Bisenzio; infine l'assessore regionale Vincenzo Ceccarelli, piuttosto defilato. Ma in questo momento hanno poche chance di spuntarlaQualunque scelta dovrà inevitabilmente passare dagli esiti delle elezioni amministrative di novembre, in Umbria ed Emilia Romagna. È perciò che Dario Nardella ha alzato la voce. Vorrebbe essere lui a dare le carte. Se però dalle altre due regioni rosse i segnali dovessero essere pessimi (come da pronostico) Zingaretti sarebbe costretto a usare il lanciafiamme per addomesticare le camarille e pensare a una candidatura macina voti, cioè attraverso le primarie. Ma nel Pd, oggi, c'è qualcuno che abbia davvero la forza di prendere queste decisioni?
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