
Democratici in allarme: Italia viva potrebbe crescere oltre il 4% e dragare consensi. C'è un piano per segargli le gambe, andando al voto dopo aver fatto una legge elettorale maggioritaria assieme alla Lega. Giuseppe Conte avrebbe un partito suo, anche Luigi Di Maio ci sta.Il duello tra Matteo Salvini e Matteo Renzi è stato vinto da tutti e tre: Bruno Vespa festeggia il boom di ascolti per la puntata di Porta a Porta dell'altro ieri (3.808.000 spettatori, pari a uno share del 25,4%, con un picco di 4.589.000 durante il dibattito su Quota 100), mentre il leader della Lega e quello di Italia viva hanno ottenuto il risultato sperato. Salvini ha gonfiato ancora di più l'ego smisurato dell'ex Rottamatore, terremotando ancora di più la maggioranza giallorossa; Renzi, da parte sua, ha potuto far finta di essere ancora un leader, a dispetto del suo reale peso politico attuale. Hanno colpito nel segno, i due Matteo. L'indiscrezione che arriva alla Verità da fonti attendibilissime, infatti, è clamorosa: il governo di Giuseppe Conte potrebbe cadere presto, molto presto. Il Pd, infatti, è letteralmente terrorizzato dalla prospettiva di essere prosciugato da Italia viva: «Se Renzi supera il 10%», dice una fonte dem, «siamo finiti. Bisogna far cadere il governo e andare al voto prima che riesca a organizzarsi». Il progetto è pronto: crisi di governo, nessun sostegno ad altri eventuali esecutivi e via alle urne con una coalizione a tre, Pd, M5s e Lista Conte. È «Giuseppi», infatti, l'uomo che secondo gli strateghi del Pd dovrà competere al centro con Renzi, attraendo l'elettorato moderato che non si riconosce né nei democratici, ormai ridotti a partito di sinistra-sinistra, né tantomeno nel M5s. Come convincere gli attuali deputati e senatori a mollare la poltrona? Semplice: facendo in modo che si sciolgano le camere prima che entri in vigore il taglio dei parlamentari. Inoltre, il piano del Pd prevede anche un accordo con Matteo Salvini per una legge elettorale maggioritaria, per segare le gambe a Italia viva. Conte, dal canto suo, non vede l'ora di fondare il suo partitino centrista: non è certo un caso che, appena l'altro ieri, il premier col ciuffo sia stato la vera star della commemorazione, ad Avellino, dei 100 anni della nascita di Fiorentino Sullo, storico esponente della Dc. L'iniziativa, organizzata da Gianfranco Rotondi, ha visto Conte gigioneggiare da par suo tra i vari Nicola Mancino, Ciriaco De Mita, Clemente Mastella, Gerardo Bianco, Ortensio Zecchino, Peppino Gargani e altri estremisti di centro, combattenti e reduci della Balena Bianca che fu. «Il ragazzo è furbo», ha sentenziato il Ciriacosauro De Mita, mentre Conte, dal palco, citava don Sturzo, De Gasperi, Fanfani e Moro, pontificando della necessità di una «rinnovata democrazia dei cristiani». Certo, ragionano al Nazareno, si corre il rischio di consegnare l'Italia a Matteo Salvini, ma (udite udite) Conte è convinto di vincere, di battere il centrodestra a trazione salviniana, perché, come sussurra un altro democratico folgorato sulla via di Giuseppi, «ai moderati il premier piace, dai sondaggi risulta che riscuote anche il gradimento di almeno metà degli elettori di Forza Italia, più di Renzi». Del resto, lo scorso agosto, quando Nicola Zingaretti stava pian piano abbandonando l'idea di andare alle elezioni dopo la caduta del governo Lega-M5s, era stato Paolo Gentiloni a tentare di mandare per aria l'ipotesi del governo giallorosso, un po' perché immaginava che da candidato premier avrebbe sconfitto Salvini, un po' perché aveva capito che dietro la giravolta di Renzi - e l'imprevedibile via libera al Conte 2 - c'era il sogno dell'ex Rottamatore di ritornare in prima linea.Ci si chiede (e si chiede): e Luigi Di Maio? Ingoierebbe il boccone amaro di elezioni anticipate in primavera, con la lista di Conte che andrebbe a pescare anche nel bacino di voti del M5s, già in via di esaurimento? Risposta: sì che lo farebbe, tanto più che i suoi fedelissimi sarebbero garantiti dal fatto che al voto si andrebbe con la leadership del M5s ancora nelle sue mani. Ovviamente ci sarebbe da sistemare il problema del doppio mandato, ma le modifiche già approvate alle regole grilline sarebbero preludio in tal senso.In sostanza, per il Pd ora la questione fondamentale è quella di sopravvivere a Italia viva, il che la dice tutta sul totale sbandamento del partito guidato da Zingaretti, a sua volta guidato da Dario Franceschini e Andrea Orlando, con quest'ultimo che ha rinunciato a far parte del governo considerando l'esperimento giallorosso destinato a sicuro e velocissimo naufragio. La prospettiva di elezioni nella primavera 2020 non è mai stata accantonata al Nazareno, ma ora che si è compresa la strategia dei due Matteo, si registra una fortissima accelerazione. Resta, ovviamente, la fatidica domanda: chi si assumerà la responsabilità di staccare la spina? E soprattutto, quando? Il Pd spera che sia proprio Renzi a provocare l' «incidente», ma l'ex Rottamatore è astuto, tira la corda ma non arriva a spezzarla, perché per organizzare le truppe sul territorio ha bisogno di tempo: si confida nella guerra totale che c'è nel M5s, che ha già portato il governo a tre passi dal baratro - lo scorso 10 ottobre - quando la nota di aggiornamento al Def è stata approvata con soli 318 voti a favore, appena tre, appunto, più della maggioranza necessaria.Il «quando» invece è stato individuato nei giorni immediatamente successivi alle regionali dell'Emilia Romagna, il prossimo 26 gennaio. Se il centrodestra vincerà, sarà quasi inevitabile staccare la spina al governo giallorosso; se Pd e M5s dovessero prevalere, sarà più facile convincere deputati e senatori che in fondo Salvini si può battere, che basta un colpo di ciuffo per vincere le elezioni nazionali. Con o senza Renzi, anzi senza.
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