2019-09-11
Il Pd prova a dire una cosa di sinistra ma gli esce solo l’elogio del bavaglio
Da Laura Boldrini a Valeria Fedeli, vivo entusiasmo per la censura di Facebook contro Casapound e Forza Nuova: «È difesa della Costituzione». Ma applicare la Carta è compito dei giudici, non di multinazionali private.Democratici kamikaze che applaudono alla censura. Prendete un commento platealmente improvvido come quello dell'ex presidente della Camera Laura Boldrini: «Bene Facebook. Un altro passo», dice l'ex presidente «verso l'archiviazione della stagione dell'odio organizzato sui social network». C'è, in questo commento alla delibera di una piattaforma monopolista qualcosa di insostenibilmente suicida. Intendiamoci: il criterio illusorio e apparentemente costituzionale di questi plaudenti «di sinistra» (si far per dire) all'oscuramento su Facebook e Instagram dei profili degli appartenenti a Casapound e Forza Nuova è riassumibile così: se si tappa la bocca a un mio nemico, sei un mio amico. Se si nega un diritto a qualcuno che io combatto, il social network si mette dalla mia parte, e diventa dunque una sorta di garante supplente della Costituzione. Ma - in realtà - in tutta questa storia è vero esattamente il contrario: se oggi accade a te, e io godo, quando domani accadrà a me non troverò nessuno ad aiutarmi. E c'è di peggio. Festeggia anche una ex sindacalista, ed ex ministra come Valeria Fedeli che purtroppo si spinge più in là: «Per la prima volta», dice la Fedeli, «Facebook e Instagram chiudono i profili di Casapound. Chi sparge odio e violenza non ha più campo libero sui social network. Adesso andiamo avanti con una normativa complessiva di prevenzione e sanzione dei linguaggi d'odio sul web». Breve osservazione di carattere metodologico: a sorvegliare l'attuazione della Costituzione ci pensa la Corte costituzionale. A garantire che nessuno la violi commettendo reati è preposta la magistratura. È davvero assurdo, invece, che qualcuno, tra coloro che si dichiarano paladini della nostra Costituzione, possa plaudire a una multinazionale che decide in maniera arbitraria, non in base a principi o leggi, ma in nome di un suo regolamento aziendale interno, del tutto arbitrario e insindacabile. Di più: decide in obbedienza ad un codice che non è mai stato reso pubblico nella sua interezza. Una legge informale che fa di Facebook un circolo che - al pari del Fight Club - come prima regola ha che «non si parla del Fight Club». È a questo soggetto che la Fedeli vorrebbe che Parlamento e organi Costituzionali, incuranti dei principi della nostra Carta, si uniformassero. Alcuni aspetti della decisione sono particolarmente inquietanti. Il primo è questo: si individua un reato di appartenenza e lo si traduce in un reato di opinione. Due orrori. Ai nostri apprendisti democratici sembra un automatismo, ma è già un salto logico vertiginoso. Io vengo oscurato perché appartengo ad un gruppo politico che per i gestori di una azienda privata rappresenta un reato di opinione? Chi decide se questa mia appartenenza identitaria è illegittima? Quale possibilità di appello hanno i cittadini? Nessuna. A chi ci si deve rivolgere, se si vuole un giudice terzo? Eppure i nostri allegri apprendisti democratici applaudono. Cosa accadrebbe -ad esempio - se in nome dello stesso codice aziendale si decidesse d'imperio, di chiudere tutti i profili di Potere al popolo, magari perché i portavoce di quella lista (come è accaduto) condannano un atto dello Stato israeliano? Come si può delegare l'amministrazione dei principi di libertà, per cui i nostri padri hanno dato la vita, a un social network o a un algoritmo? A sistemi che in passato - ci sarebbe da ridere - hanno scambiato per apologia del fascismo il cognome di Caio Giulio Cesare Mussolini? Il secondo tema è ancora più inquietante. Un altro salto logico, un altro arbitrio. In questo provvedimento di sospensione, tutti gli oscurati vengono resi uguali, e le loro responsabilità equiparate senza discernimento. Ovvero: non è una azione o una presa di posizione singola che viene perseguita, ma un intero gruppo politico, a prescindere dalle responsabilità dei singoli. Ma non è questa forse, la più plateale e lampante negazione dello Stato di diritto? Ma, si dice: questi sono «fascisti». È così le Boldrini, le Fedeli, e tutti quelli che ieri gioivano, si sentivano appagati. Tuttavia proprio su questo punto, la Costituzione sempre evocata, a vanvera, ha fissato dei paletti chiari. La XII disposizione transitoria dedicata al fascismo e ai fascisti consentiva addirittura, a chi aveva preso parte alla Repubblica sociale, di potersi candidare dopo cinque anni dall'entrata in vigore della Carta. Se fosse sopravvissuto a piazzale Loreto, dunque, per paradosso Benito Mussolini avrebbe potuto candidarsi come capolista del Movimento sociale, il partito che aveva come simbolo la sua bara. Quando nel 1970 il procuratore Bianchi D'Espinosa, sostenuto da una imponente campagna di opinione, chiese la messa in stato d'accusa dei dirigenti del Msi, e lo scioglimento di quel partito, fece un buco nell'acqua. La democrazia nata dalla Costituzione dimostrò in quell'occasione di avere robusti anticorpi, e di poter garantire anche chi non aveva partecipare alla sua edificazione. In quell'occasione rimase storica una caustica battuta di Giancarlo Pajetta che, rivolto a coloro che accusavano il Pci di non battersi per l'obiettivo della cancellazione del MSI disse: «Gli elettori non si sciolgono». A dirlo era uno che avrebbe potuto dare lezioni di antifascismo a tutti i suoi improvvisati, estremistici e gruppettari critici. Viceversa il ministero dell'Interno procedette in un altro frangente, nel pieno degli anni di piombo (1973) allo scioglimento del Movimento politico Ordine nuovo di Clemente Graziani. Il discrimine era tra coloro che operavano alla luce del sole presentandosi alle elezioni, e chi operava in modo cospirativo e paramilitare. Dai tempi dell'Italia liberale la democrazia italiana si è rivelata forte, quando è stata inclusiva. Non Stefano Rodotà, ma Giovanni Giolitti diceva: «Non temo le forze organizzate». Un senso della storia che evidentemente ieri sfuggiva ai radicali senza cervello che applaudivano alla censura (questa sì, orwelliana) del Grande fratello come se fosse un editto della democrazia ateniese.
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