2023-06-22
Il Parlamento scivola sugli arresti: la rettifica alla «Cartabia» è un flop
Il correttivo proposto dal legislatore risolve soltanto in parte il cortocircuito sull’obbligo di querela della vittima per far scattare il fermo in flagranza. Sarebbe stato meglio tornare alla procedibilità d’ufficio.Presidente di sezione a riposo della Corte di cassazione Il 16 giugno scorso è entrata in vigore la legge n. 60/2023 recante «Norme in materia di procedibilità d’ufficio e di arresto in flagranza». Nella parte che può ritenersi di maggiore interesse per la generalità dei cittadini, e cioè all’articolo 3, essa prevede che quando si tratti di reati perseguibili a querela per i quali, in caso di sorpresa in flagranza, l’arresto sia, per legge, obbligatorio, ad esso si debba dar luogo anche quando la persona offesa non sia prontamente rintracciabile e non possa, quindi, manifestare nell’immediato la eventuale volontà di proporre querela. L’arrestato, però, deve essere posto immediatamente in libertà se, entro le 48 ore dall’arresto, la querela non venga proposta, come può, naturalmente, avvenire se, entro il medesimo termine, i tentativi di rintraccio della persona offesa non abbiano successo. Con questa legge si è inteso, con ogni evidenza, impedire il ripetersi di situazioni che avevano prodotto sconcerto e indignazione in una larga parte dell’opinione pubblica. Era infatti più volte avvenuto che soggetti sorpresi in flagranza di furti con scasso o in luoghi di privata dimora, resi perseguibili a querela dalla c.d. Riforma Cartabia del 2022 ma per i quali vi era (ed è rimasto) l’obbligo dell’arresto in flagranza da parte della polizia giudiziaria, dovessero essere immediatamente rilasciati non essendo stato possibile l’immediato rintraccio delle persone offese e, quindi, l’acquisizione della querela che esse, anche solo oralmente (come consentito dalla legge) volessero proporre. Ma, se l’intenzione che ha mosso il legislatore è senz’altro da apprezzare, non del tutto apprezzabili sono invece i risultati a cui essa è pervenuta. Tanto per cominciare, infatti, va osservato che la legge in discorso - come già notato nei primi commenti dottrinari - appare facilmente attaccabile sotto il profilo della legittimità costituzionale. Essa, infatti, consente che taluno possa essere privato della libertà personale, sia pure per un tempo limitato a sole 48 ore, per un reato che, al momento, non è perseguibile e potrebbe non diventarlo mai, qualora la persona offesa, una volta rintracciata, decidesse - com’è nella sua più assoluta discrezionalità - di non proporre querela. Ed è prevedibile che, alla prima occasione favorevole, la questione di costituzionalità sarà effettivamente proposta. Va poi ricordato - volendosi dare tuttavia per ammessa la compatibilità della legge con la Costituzione - che quest’ultima, all’articolo 13, stabilisce che, nel caso di privazione della libertà ad iniziativa della polizia giudiziaria, deve darsene comunicazione entro 48 ore all’autorità giudiziaria e questa ha a sua disposizione altre 48 ore per provvedere all’eventuale convalida. Il che significa che la privazione della libertà senza che sia intervenuto un provvedimento dell’autorità giudiziaria può legittimamente protrarsi fino ad un massimo di 96 ore. Disciplina, questa, che è puntualmente riprodotta nell’articolo 390 del codice di procedura penale. Non si comprende, quindi, per quale ragione, sia stato «strozzato» entro le sole 48 ore dall’arresto il termine entro il quale la persona offesa non immediatamente rintracciabile (e, spesso, neanche immediatamente identificabile), dev’essere rintracciata e deve proporre, se vuole, la querela, quando sarebbe stato del tutto legittimo che, fermo restando l’obbligo della polizia giudiziaria di chiedere entro 48 ore la convalida dell’arresto, la proposizione dell’eventuale querela potesse avvenire anche entro le 48 ore successive. In tal modo si sarebbe lasciato alla polizia giudiziaria un margine di tempo più ragionevole per giungere all’identificazione ed al rintraccio della persona offesa; operazioni che - come potrebbe confermare chiunque abbia acquisito esperienza «sul campo» - si rivelano, non di rado, tutt’altro che semplici e rapide. Basti pensare, ad esempio, al caso di un furto nell’abitazione di persona che, al momento, si trovi in vacanza in località sconosciuta; ovvero al caso di uno scippo in danno di persona che la polizia giudiziaria non abbia potuto, al momento, identificare perché impegnata nell’inseguimento dell’autore del fatto. E di esempi analoghi se ne potrebbero fare all’infinito. Appare, inoltre, di assai difficile comprensione la logica seguita dal legislatore allorché, da una parte ha lasciato intatta la possibilità, per il pubblico ministero, di presentare l’arrestato al giudice del dibattimento entro 48 ore dall’arresto per la convalida e la successiva celebrazione del giudizio direttissimo, così come previsto dalla legge per ogni caso di arresto in flagranza; dall’altra parte ha disposto, però, sempre all’art. 3 della legge in discorso, che, perdurando la mancanza della querela, il giudice, convalidato l’arresto, disponga la sospensione del processo fino a quando non sia trascorso il termine (tre mesi) entro il quale la persona offesa, una volta finalmente rintracciata, potrebbe presentare la querela. Non c’è dubbio, infatti, che, in mancanza della querela, il giudice, pur convalidando l’arresto, non possa che rimettere subito in libertà l’arrestato. Ragion per cui non si vede di quale utilità possa essere l’instaurazione di un giudizio direttissimo destinato a restare poi pendente a tempo indeterminato (potendo decorrere i tre mesi solo dal momento in cui la persona offesa sia stata effettivamente rintracciata e messa al corrente dei suoi diritti), nei confronti di un imputato che è e deve rimanere, nel frattempo, nello stato di più assoluta libertà, giacché, mancando la querela, non sarebbe consentita l’applicazione di alcuna misura cautelare. In realtà, per eliminare gli inconvenienti ai quali, con la legge in questione, si è inteso porre rimedio, un’altra sarebbe stata la via, semplice e diretta, da seguire: quella, cioè, di ripristinare, puramente e semplicemente, conformemente alla logica ed al comune buon senso, la procedibilità d’ufficio per i reati di furto che sono ricompresi tra quelli per i quali, a causa della loro estrema gravità e dell’allarme sociale da essi suscitato, è obbligatorio l’arresto in flagranza. E ciò tanto più in quanto per essi (a differenza di altri pur inseriti nel medesimo elenco), il relativo procedimento trae origine, quasi sempre, proprio dall’arresto in flagranza. Una buona occasione per provvedere in tal senso potrebbe essere quella offerta dalle nuove norme in materia penale che, com’è noto, sono attualmente in gestazione da parte del governo.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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