
Il giuslavorista spiega i dubbi interpretativi sulle nuove norme sui rapporti subordinati e sottolinea una regola surreale: ad avere obblighi maggiori è chi ha avuto meno danni.Il tanto atteso dl 104 (ribattezzato decreto Agosto) è già fonte di polemiche a poche ore dalla sua pubblicazione, non tanto (e non solo) perché - nonostante i vari appelli di economisti, giuslavoristi - ha prorogato il blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e dei licenziamenti collettivi, quanto perché la norma che prevede l'estensione del divieto è costruita secondo un complesso meccanismo che sta suscitando dubbi e incertezze, destabilizzando gli imprenditori.Diversamente dai precedenti provvedimenti, il decreto Agosto prevede una durata mobile del divieto, in quanto connessa all'integrale fruizione da parte delle aziende: dell'ulteriore periodo di cassa Covid, ovvero dell'esonero contributivo il quale, ai sensi del medesimo provvedimento, è riconosciuto ai datori di lavoro che non chiedano ulteriore cassa Covid ma che ne abbiano fruito nei mesi di maggio e giugno (nei limiti del doppio delle ore di integrazione salariale fruite in tale periodo e, comunque, per un massimo di 4 mesi).Lasciando da parte ogni commento sul complesso (ma, comunque, in qualche modo comprensibile) meccanismo elaborato dal governo per determinare la durata del divieto di licenziamento, ciò che sta suscitando i principali dubbi è se le aziende che non hanno usufruito della cassa Covid a maggio e giugno (o addirittura non ne hanno mai usufruito) e non intendano chiederla, debbano necessariamente attendere il 31 dicembre (termine ultimo per l'utilizzo della cassa) per poter procedere con i licenziamenti.In attesa di auspicabili chiarimenti ministeriali, il tenore letterale della norma (che, come detto, richiede l'integrale fruizione delle 18 settimane di cassa, ovvero dell'esonero contributivo prima di procedere con i licenziamenti) sembra andare proprio in questa direzione. E ciò - se confermato - avrebbe dell'assurdo, poiché andrebbe a danneggiare sia le imprese che avrebbero necessità di riorganizzarsi a prescindere dal Covid, sia (e soprattutto) quelle che hanno fatto un uso limitato (o nullo) degli ammortizzatori sociali durante la pandemia, con la conseguenza che le stesse, al solo fine di anticipare il termine finale del divieto di licenziamento, saranno a questo punto «costrette» a utilizzare le 18 settimane di cassa (per poi inevitabilmente recedere dai rapporti di lavoro). Da ciò derivando, peraltro, l'ulteriore incongruenza del decreto, il quale prevede, da un lato, che l'utilizzo delle 18 settimane di cassa sia una mera facoltà per le imprese e, dall'altro, richiede che queste abbiano «integralmente fruito» del periodo di cassa per poter licenziare (trasformando di fatto una facoltà in un obbligo per chi vuole riorganizzarsi e, quindi, licenziare).Senza contare, peraltro, i dubbi di legittimità costituzionale di un provvedimento che limita la libertà di impresa per un ulteriore periodo, il quale termina persino dopo l'attuale scadenza dello stato di emergenza epidemiologica (fissata al 15 ottobre 2020).Il governo ha, però, almeno precisato che il divieto di licenziare non opera se i recessi: sono motivati dalla cessazione definitiva dell'attività dell'impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività (nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri, però, la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d'azienda o di un ramo di essa ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile); sono irrogati in caso di fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione (nel caso in cui l'esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell'azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso). Tali deroghe al divieto sono un importante passo avanti rispetto ai precedenti decreti (Cura Italia e Rilancio) i quali non prevedevano esclusioni, a tal punto che molte aziende - nonostante la cessazione definitiva della propria attività - si erano trovate nella paradossale situazione di non poter mettere in liquidazione la società stante il divieto di licenziamento.Infine, il divieto non si applica nemmeno nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (non, quindi, le Rsa/Rsu), di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono a tale accordo. Questa, tra le ipotesi di esclusione, sembra essere la più interessante (seppur di non facile attuazione), consentendo alle imprese di attuare processi di riorganizzazione su base volontaria e, come espressamente precisato, con mantenimento del diritto alla Naspi in favore dei dipendenti.
Maurizio Landini (Ansa)
- Aumentano gli scontenti dopo il divorzio dalla Uil. Ma il leader insiste sulla linea movimentista e anti Meloni In vista di elezioni e referendum è pronto a imporre il fedelissimo Gesmundo come segretario organizzativo.
- Proteste contro l’emendamento che chiede di comunicare 7 giorni prima l’adesione.
Lo speciale contiene due articoli.
Da mesi, chi segue da vicino le vicende del sindacato e della politica economica del Paese si pone una domanda, se vogliamo banale: ma è possibile che di fronte alla trasformazione della Cgil in una sorta di movimento d’opposizione al governo, ai continui no rispetto a qualsiasi accordo o contratto di lavoro che possa coinvolgere la Meloni e a cospetto di un isolamento sempre più profondo, non ci sia nessuno che dall’interno critichi o comunque ponga qualche domanda a Maurizio Landini?
2025-11-16
Borghi: «Tassare le banche? Sostenibile e utile. Pur con i conti a posto l’Ue non ci premierà»
Claudio Borghi (Ansa)
Il senatore della Lega: «Legge di bilancio da modificare in Aula, servono più denari per la sicurezza. E bisogna uscire dal Mes».
«Due punti in più di Irap sulle banche? È un prelievo sostenibilissimo e utile a creare risorse da destinare alla sicurezza. Le pensioni? È passato inosservato un emendamento che diminuisce di un mese l’età pensionabile invece di aumentarla. La rottamazione? Alla fine, anche gli alleati si sono accodati». Claudio Borghi, capogruppo della Lega in commissione Bilancio del Senato e relatore alla legge di bilancio, sciorina a raffica gli emendamenti di «bandiera» del suo partito con una premessa: «Indicano una intenzione politica che va, poi, approfondita». E aggiunge: «Certo, la manovra avrebbe potuto essere più sfidante ma il premier Giorgia Meloni non ha fatto mistero di volerci presentare nella Ue come i primi della classe, come coloro che anticipano il traguardo di un deficit sotto il 3% del Pil. Io, però, temo che alla fine non ci daranno alcun premio, anche perché, ad esempio, la Bce ha già premiato la Francia che ha un deficit superiore al nostro. Quindi, attenti a non farsi illusioni».
Roberto Fico (Ansa)
Dopo il gozzo «scortato», l’ex presidente della Camera inciampa nel box divenuto casa.
Nella campagna elettorale campana c’è un personaggio che, senza volerlo, sembra vivere in una sorta di commedia politica degli equivoci. È Roberto Fico, l’ex presidente della Camera, candidato governatore. Storico volto «anticasta» che si muoveva in autobus mentre Montecitorio lo aspettava, dopo essere stato beccato con il gozzo ormeggiato a Nisida, oggi scaglia anatemi contro i condoni edilizi, accusando il centrodestra di voler «ingannare i cittadini». «Serve garantire il diritto alla casa, non fare condoni», ha scritto Fico sui social, accusando il centrodestra di «disperazione elettorale». Ma mentre tuona contro le sanatorie, il suo passato «amministrativo» ci racconta una storia molto meno lineare: una casa di famiglia (dove è comproprietario con la sorella Gabriella) è stata regolarizzata proprio grazie a una sanatoria chiusa nel 2017, un anno prima di diventare presidente della Camera.
Edmondo Cirielli e Antonio Tajani (Ansa)
L’emendamento alla manovra di Fdi mira a riattivare la regolarizzazione del 2003. Così si metterebbe mano a situazioni rimaste sospese soprattutto in Campania: all’epoca, il governatore dem Bassolino non recepì la legge. E migliaia di famiglie finirono beffate.
Nella giornata di venerdì, la manovra di bilancio 2026 è stata travolta da un’ondata di emendamenti, circa 5.700, con 1.600 presentati dalla stessa maggioranza. Tra le modifiche che hanno attirato maggiore attenzione spicca quella di Fratelli d’Italia per riaprire i termini del condono edilizio del 2003.
I senatori di Fdi Matteo Gelmetti e Domenico Matera hanno proposto di riattivare, non creare ex novo, la sanatoria introdotta durante il governo Berlusconi nel 2003. Obiettivo: sanare situazioni rimaste sospese, in particolare in Campania, dove la Regione, all’epoca guidata da Antonio Bassolino (centrosinistra), decise di non recepire la norma nazionale. Così migliaia di famiglie, pur avendo versato gli oneri, sono rimaste escluse. Fdi chiarisce che si tratta di «una misura di giustizia» per cittadini rimasti intrappolati da errori amministrativi, non di un nuovo condono. L’emendamento è tra i 400 «segnalati», quindi con buone probabilità di essere discusso in commissione Bilancio.






