
Il vaticanista dell'Espresso Sandro Magister: «Sa dei comportamenti scandalosi di monsignor Ricca, eppure lo ha ammesso nella sua cerchia. Il dossier è attendibile e, questa volta, la strategia del silenzio di Bergoglio non funzionerà. È un pontefice assolutista e populista».«Mettere in dubbio il memoriale di monsignor Carlo Maria Viganò significa essere fuori dalla realtà». Parola di Sandro Magister, giornalista, scrittore, vaticanista dell'Espresso da oltre 40 anni, esperto navigatore fra le tempeste delle stanze vaticane, autore di alcuni fra gli scoop più invidiati sulla Chiesa negli ultimi anni, come la pubblicazione della lettera di critica delle nuove procedure sinodali firmata da 13 cardinali e consegnata a papa Francesco. Teologo ma soprattutto cronista di razza, fu lui nel marzo scorso a smascherare la fake news sulla lettera di Benedetto XVI manipolata per simulare un suo sostegno a Bergoglio. Lo scandalo costò le dimissioni al prefetto della segreteria, un altro Viganò, Dario Edoardo. Magister legge il memoriale e si sorprende per la reazione degli indignados. Perché molte delle malefatte della lobby gay le aveva trattate negli anni. Perché esiste una storia gemella rispetto a quella del cardinale Theodore McCarrick che i difensori d'ufficio del Papa non possono non sapere. Questa volta nascondere la polvere sotto il tappeto significa perdere credibilità. Che idea s'è fatto della lettera contro papa Francesco?«Nella sua sostanza ritengo che il memoriale sia assolutamente attendibile. Raccoglie, corredandole di particolari, importanti vicende che già si conoscevano, tranne ovviamente quell'incontro fra il Santo Padre e Viganò stesso». Nello scandalo McCarrick c'è qualcosa di enfatico?«Che McCarrick nella sua carriera ecclesiastica si fosse comportato in quel modo è cosa risaputa da molte persone in Vaticano e negli Stati Uniti. Io ne scrissi senza che nessuno contestasse. Tutto ciò era noto in modo documentale presso le alte autorità vaticane. Mettere in dubbio una simile denuncia significa essere fuori dalla realtà». Perché il Vaticano ha alzato i ponti levatoi?«È una difesa spontanea, ma molti hanno mostrato di dare credito a Viganò. Escluderei il complotto, volerlo accreditare significa intorbidare le acque. Vedo due correnti: quella critica e quella favorevole a difendere il Papa sempre e comunque, in varie forme e firme. Ma la cosa più interessante è la strategia di Francesco».Perché strategia?«Ha detto: giudicate voi. Come dire: arrangiatevi. Ed è ciò che Francesco ha sempre fatto quando è stato attaccato: lascia che la battaglia si svolga sotto i suoi occhi silenziosi. Come per i Dubia, si è ben guardato dal rispondere, in attesa che qualcosa accadesse». Ed è accaduto?«In quel caso qualcosa a lui favorevole era accaduto sul tema dei sacramenti ai divorziati risposati. Allora la strategia del silenzio funzionò. Non sono sicuro che il colpo riesca anche questa volta».Perché dovrebbe fallire?«Perché a differenza dei Dubia, attorno ai quali il dibattito era alto e dogmatico, l'omosessualità fra i preti è un argomento popolare, che stimola polemiche. E poi il Papa non è così facilmente difendibile».Dove ha sbagliato?«Non solo ha coperto McCarrick, ma lo ha fatto in altre situazioni. Esiste un caso gemello, forse ancora più imbarazzante: quello di monsignor Battista Ricca. Ne ho parlato nel mio blog Settimo cielo».Ci erudisca, per favore.«La nomina di Ricca a prelato dello Ior, referente del Papa nella banca vaticana con facoltà di presenza alle riunioni del board e l'accesso alla documentazione, creò sconcerto. In tutti i luoghi in cui si era recato come consigliere diplomatico - Algeria, Colombia, Svizzera, soprattutto Uruguay -, aveva sollevato le proteste dei nunzi apostolici per i suoi comportamenti scandalosi».Per esempio?«A Montevideo, fra il 1999 e il 2001, conviveva sotto gli occhi di tutti con il proprio amante, l'ex capitano dell'esercito svizzero Patrick Haari. Frequentava luoghi d'appuntamento con giovani omosessuali, una volta fu coinvolto in una rissa e un'altra fu scoperto in un ascensore bloccato dentro la nunziatura con un diciottenne noto alla polizia uruguaiana. Fu richiamato a Roma, la sua carriera non subì danni, anzi ricominciò come se niente fosse accaduto». E adesso è ancora in auge?«Fu consigliere diplomatico di prima classe nell'organico della Segreteria di stato, direttore delle tre residenze vaticane per i cardinali e i vescovi in visita a Roma, tra cui quella di Santa Marta. Appena eletto papa, Bergoglio lo ammise nella sua cerchia più intima e continua a farne parte».Forse il Pontefice non sapeva delle sue malefatte quando lo ha promosso allo Ior.«In quel 2013 il Papa era consapevole e consenziente. I nunzi lo misero in guardia e la documentazione inviata dai vescovi uruguaiani era completa. A una domanda su Ricca e la lobby gay rispose: “Ho fatto quello che il diritto canonico manda a fare, la Investigatio previa. E non c'è niente di quello di cui lo accusano"».Lo avevano ingannato con il bianchetto.«Gli uffici avevano omesso i passaggi più torbidi, ma lui aveva sottomano la documentazione vera e non fece parola. Ricca non si pentì mai. Uscì tutto sull'Espresso e non reagì, con gli amici parlava di chiacchiere. Anche Francesco le ha liquidate come chiacchiere».Quindi il Papa passò serenamente sopra ai comportamenti di Ricca.«Pronunciando la famosa frase “Chi sono io per giudicare?", Francesco si riferiva al caso archetipico di Ricca. Con queste parole Bergoglio ha rovesciato a suo favore presso l'opinione pubblica una vicenda che avrebbe potuto minare la sua credibilità. Quando rimanda al mondo mediatico le problematiche gay, il Papa fa qualcosa di astuto». Perché?«Perché il mondo occidentale, intransigente con la pedofilia, è favorevole all'omosessualità. Ma anche se fosse legittimo ammettere i rapporti omosessuali consenzienti, si viola il principio della castità, uno dei punti chiave della Chiesa di oggi».Come esce la Chiesa da questa settimana di passione?«L'immagine di questo pontificato cala verticalmente. È l'immagine di una Chiesa pervasa, a partire dai seminari, di gay che praticano l'omosessualità e si autoassolvono. Da Benedetto XVI arrivò un altolà all'ammissione nei seminari di persone con tendenze dichiaratamente omosex, ma nessuno ne tiene conto».Il papato di Francesco è definito moderno. Verità o marketing?«Ha messo in moto processi - lui li chiama così - che non hanno un traguardo finale, né lui vuole arrivarci. Ma questi processi producono effetti pratici. E non sempre positivi. Lo storico Roberto Pertici teorizza la fine del modello della Chiesa cattolica romana».Ne è convinto anche lei?«Ci sono segnali evidenti di depotenziamento di sacramenti come eucaristia, confessione, matrimonio. Vedo un destino da Chiesa protestante. Il divorzio non è più insuperabile, lo dimostra la comunione ai divorziati risposati. Ecco segnali evidenti di decomposizione di ciò che ha sempre distinto la Chiesa cattolica dalle altre chiese della cristianità». Il suo pontificato è più concentrato sulle tematiche politiche e sociali che sulla fede. Giusto o sbagliato?«L'accentuazione è forte. Se torniamo indietro di oltre un secolo notiamo una presenza caritatevole sì, ma attenta alla dottrina. Lo stesso Gesù moltiplica i pani, ma quando viene interrogato sul divorzio, che Mosè consentiva, non mostra alcun cenno di apertura: “Dio creò l'uomo e la donna perché siano sempre fedeli"».In questa stagione politica i cattolici sembrano smarriti.«Anche per colpa del decadimento della Chiesa nell'essere guida della società, accentuatosi con questo pontificato. Lo si vede nel ruolo della Cei, che non orienta più, è una scatola vuota. È venuta meno una stagione di cattolici politici di alto livello come Alcide De Gasperi, Luigi Sturzo». Con quale risultato?«La Chiesa italiana è annichilita e il presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, vive nella luce riflessa di Bergoglio. Non è paragonabile alla stagione di Camillo Ruini con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, anche per una questione di personalità. E poi Bergoglio non è mai stato in grado di capire le questioni italiane, è un dialogo fra sordi. In più è assolutista».E il grande abbraccio? «Al contrario di ciò che viene scritto sui documenti ufficiali, questo è il papato più assolutista degli ultimi 150 anni. E autenticamente populista». Questa è grossa.«Niente affatto. Francesco arriva dall'Argentina e un giorno disse che il populismo è una categoria mitica, perché appartiene alla storia del popolo ed è portatore di innocenza. È l'eredità del peronismo. Si figuri l'imbarazzo della Chiesa italiana, abituata a dialogare soprattutto con i potenti». Secondo lei Francesco è ancora popolare?«Sì. La sua popolarità deriva dalla capacità di adattarsi allo spirito del tempo. Lui dice ciò che ci aspettiamo che dica e si pone sempre dalla parte dei fedeli, contro le istituzioni arretrate. Le critiche non lo toccano mai, neppure in questo caso. Un bel populista».
Mario Adinolfi (Ansa)
Il saggista Mario Adinolfi: «Mamdani filo gay? No, è solo il cavallo di Troia dei musulmani. I cattolici meritano più attenzione dal governo».
Scienziati tedeschi negli Usa durante un test sulle V-2 nel 1946 (Getty Images)
Il 16 novembre 1945 cominciò il trasferimento negli Usa degli scienziati tedeschi del Terzo Reich, che saranno i protagonisti della corsa spaziale dei decenni seguenti.
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Il 16 luglio 1969 il razzo Saturn V portò in viaggio verso il primo allunaggio della storia l’equipaggio della missione Nasa Apollo 11. Il più grande passo per l’Uomo ed il più lungo sogno durato secoli si era avverato. Il successo della missione NASA fu il più grande simbolo di vittoria nella corsa spaziale nella Guerra fredda per Washington. All’origine di questo trionfo epocale vi fu un’operazione di intelligence iniziata esattamente 80 anni fa, nota come «Operation Paperclip». L’intento della missione del novembre 1945 era quella di trasferire negli Stati Uniti centinaia di scienziati che fino a pochi mesi prima erano stati al servizio di Aldolf Hitler e del Terzo Reich nello sviluppo della tecnologia aerospaziale, della chimica e dell’ingegneria naziste.
Nata inizialmente come operazione intesa ad ottenere supporto tecnologico per la tardiva resa del Giappone nei primi mesi del 1945, l’operazione «Paperclip» proseguì una volta che il nuovo nemico cambiò nell’Unione Sovietica, precedente alleato di Guerra. Dopo la caduta del Terzo Reich, migliaia di scienziati che avevano lavorato per la Germania nazista si erano sparsi per tutto il territorio nazionale, molti dei quali per sfuggire alla furia dei sovietici. L’OSS, il servizio segreto militare dal quale nascerà la CIA, si era già preoccupato di stilare un elenco delle figure apicali tra gli ingegneri, i fisici, i chimici e i medici che avrebbero potuto rappresentare un rischio se lasciati nelle mani dell’Urss. Il Terzo Reich, alla fine della guerra, aveva infatti raggiunto un livello molto avanzato nel campo dell’ingegneria aeronautica e dei razzi, uno dei campi di studio principali sin dai tempi della Repubblica di Weimar. I missili teleguidati V-2 e i primi aerei a reazione (Messerschmitt Me-262) rivelarono agli alleati quella che sarebbe stata una gravissima minaccia se solo Berlino fosse riuscita a produrre in serie quelle armi micidiali. Solamente l’efficacia dei potenti bombardamenti sulle principali strutture industriali tedesche ed il taglio dei rifornimenti impedì una situazione che avrebbe potuto cambiare in extremis l’esito del conflitto.
L’Operazione «Paperclip», in italiano graffetta, ebbe questo nome perché si riferiva ai dossier individuali raccolti negli ultimi mesi di guerra sugli scienziati tedeschi, molti dei quali erano inevitabilmente compromessi con il regime nazista. Oltre ad aver sviluppato armi offensive (razzi e armi chimiche) avevano assecondato le drammatiche condizioni del lavoro forzato dei prigionieri dei campi di concentramento, caratterizzate da un tasso di mortalità elevatissimo. L’idea della graffetta simboleggiava il fatto che quei dossier fossero stati ripuliti volontariamente dalle accuse più gravi dai redattori dei servizi segreti americani, al fine di non generare inevitabili proteste nell’opinione pubblica mondiale. Dai mesi precedenti l’inizio dell’operazione, gli scienziati erano stati lungamente interrogati in Germania, prima di essere trasferiti in campi a loro riservati negli Stati Uniti a partire dal 16 novembre 1945.
Tra gli ingegneri aeronautici spiccavano i nomi che avevano progettato le V-2, costruite nel complesso industriale di Peenemünde sul Baltico. Il più importante tra questi era sicuramente Wernehr von Braun, il massimo esperto di razzi a propulsione liquida. Ex ufficiale delle SS, fu trasferito in a Fort Bliss in Texas. Durante i primi anni in America fu usato per testare alcune V-2 bottino di guerra, che von Braun svilupperà nei missili Redstone e Jupiter-C (che lanciarono il primo satellite made in Usa). Dopo la nascita della NASA fu trasferito al Marshall Space Flight Center. Qui nacque il progetto dei razzi Saturn, che in pochi anni di sviluppo portarono gli astronauti americani sulla Luna, determinando la vittoria sulla corsa spaziale con i sovietici e divenendo un eroe nazionale.
Con von Braun lavorò allo sviluppo dei razzi anche Ernst Stuhlinger, grande matematico, che fu estremamente importante nel calcolo delle traiettorie per la rotta dei razzi Saturn. Fu tra i primi a ipotizzare la possibilità di raggiungere Marte in tempi relativamente brevi. Nel team dei tedeschi che lavorarono per la Nasa figurava anche Arthur Rudolph, che sarà uno dei principali specialisti nei motori del Saturn. L’ingegnere tedesco si occupò in particolare del funzionamento del primo stadio del razzo che conquistò la Luna, un compito fondamentale per un corretto decollo dalla rampa di lancio. Rudolph era fortemente compromesso con il Terzo Reich in quanto membro prima del partito nazista e quindi delle SS. Nel 1984 decise di lasciare gli Stati Uniti dopo che nei primi anni ’80 iniziarono una serie di azioni giudiziarie contro quegli scienziati che più si erano esposti nella responsabilità dell’Olocausto. Morirà in Germania nel 1996.
Tra gli ingegneri, fisici e matematici trasferiti con l’operazione Paperclip fu anche Walter Häussermann, esperto in sistemi di guida dei razzi V-2. Figura chiave nel team di von Braun, sviluppò negli anni di collaborazione con la NASA gli accelerometri ed i giroscopi che il razzo vettore del programma Apollo utilizzò per fornire i dati di navigazione al computer di bordo.
In totale, l’operazione Paperclip riuscì a trasferire circa 1.600 scienziati tedeschi negli Stati Uniti. In ossequio alla realpolitik seguita alla corsa spaziale, la loro partecipazione diretta o indiretta alle attività belliche della Germania nazista fu superata dall’enfasi che il successo nella conquista della Luna generò a livello mondiale. Un cammino che dagli ultimi sussulti del Terzo Reich, quando le V-2 colpirono Londra per 1.400 volte, portò al primo fondamentale passo verso la conquista dello Spazio.
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Beppe Sala (Ansa)
Per «Italia Oggi», la città di Mr Expo è prima per reati commessi. Due sentenze della Cassazione riscrivono l’iter per le espulsioni.
Milano torna a guidare la classifica della qualità della vita ma, allo stesso tempo, è diventata la capitale del crimine. E, così, il primato che la vede in cima alle Province italiane svanisce subito quando si scorre la classifica sui reati, dove affonda come un sasso dritta alla posizione numero 107, l’ultima. Fanalino di coda. Peggio del 2024, quando era penultima. Un record di cui nessuno dovrebbe essere fiero. Ma che, anche quest’anno, il sindaco dem Beppe Sala ignorerà, preferendo alle misure per la sicurezza il taglio di nastri e la promozione di aree green. L’indagine è quella di Italia Oggi e Ital Communications, realizzata con l’Università la Sapienza, che ogni anno stila la classifica sulla qualità della vita.













