
Difficile che l'intesa battezzata ieri partorisca un vero documento unitario. Ma ci sono punti fermi: immigrazione e difesa dei confini, un diverso modello di cooperazione tra gli Stati membri, più spazio ai singoli Paesi. E ridiscutere il ruolo della Bce.La prima pietra dell'internazionale sovranista è stata posata. Matteo Salvini è riuscito nel suo intento di creare il nuovo soggetto politico che sfiderà popolari e socialisti europei alle consultazioni che si svolgeranno a maggio per il rinnovo del Parlamento europeo. La campagna elettorale si apre con le mani dei quattro leader che si stringono a sancire l'inizio di questa alleanza: da sinistra verso destra troviamo il finlandese Olli Kotro (Finns party), il tedesco Jörg Meuthen (Alternative für Deutschland), il vicepremier italiano e il danese Anders Vistisen (Dansk Folkeparti). Stando ai sondaggi pubblicati dallo stesso Parlamento europeo, le quattro colonne fondanti dell'Alleanza europea dei popoli e delle nazioni (Eapn) valgono 41 deputati. Ovviamente la parte del leone la fa la Lega (27 seggi), seguita da Afd (10), più due a testa ciascuno per danesi e finnici. Siamo ancora lontani, dunque, dall'obiettivo annunciato ieri da Salvini («diventeremo il primo gruppo in Europa»), ma anche dall'asticella fissata qualche mese fa a 100 seggi. Sempre stando alle rilevazioni pubblicate a fine marzo, il primato spetterebbe in questo momento al Partito popolare europeo con 188 deputati, seguito dai socialisti (142) e dall'Alde (72).Da dove sperano dunque Salvini e compagni di recuperare gli scranni mancanti? Fonti ben informate riferiscono alla Verità che la conferenza di ieri è solo il primo passo di un percorso che si prospetta molto più lungo. L'intenzione, come ha riferito lo stesso segretario della Lega, è quella di allargare il progetto a tutte le forze che si riconoscono euroscettiche o quantomeno eurocritiche. La base di partenza, riferisce il nostro informatore, è rappresentata dai tre gruppi che in questo momento appaiono disallineati rispetto all'establishment di Bruxelles. Ovviamente si parte dall'Europa delle nazioni e delle libertà (Enf), nel quale oggi siedono i sei rappresentanti del Carroccio. Complessivamente, il gruppo conta 36 deputati, 20 dei quali forniti dal Front national di Marine Le Pen. Traslando le proiezioni degli ultimi sondaggi, l'Enf conquisterebbe ben 61 seggi, grazie soprattutto al contributo della Lega. Il secondo raggruppamento nel mirino dell'Eapn è la coalizione dei Conservatori e riformisti europei (Ecr), che oggi può vantare 74 deputati e nei sondaggi è data a quota 53. Significativa in tal senso la presenza all'incontro di ieri di Kotro e Vistisen, in rappresentanza appunto dell'Ecr. Per finire, l'Europa della libertà e della democrazia diretta che attualmente basa la propria consistenza (45 seggi oggi, 30 nei sondaggi) sull'Ukip di Nigel Farage e sul M5s. Se il primo partito almeno fino a ieri sembrava fuori dai giochi causa Brexit, la strada dell'alleato di governo appare quanto mai incerta. Rifiutati dall'Alde e dalla «cosa» di Macron, ieri è svanita anche l'alternativa Ppe con lo stesso Antonio Tajani intervenuto per bollare «irreale» l'ipotesi di accordo tra popolari e pentastellati. Comunque vada il prosieguo della campagna elettorale una cosa è quasi certa, e cioè che all'europarlamento Lega e M5s occuperanno banchi diversi. Calcolatrice alla mano, dando per buone le ultime proiezioni, la somma dei tre gruppi fa 144 seggi. Considerato che le trattative dietro le quinte durano da diversi mesi, raggiungere quota 100 non dovrebbe essere poi così difficile. C'è poi l'incognita Viktor Orban, i cui rapporti con il Ppe sono più tesi che mai, e che oggi può portare in dote una decina di preziosissimi deputati. Aperto anche il dialogo con gli spagnoli di Vox, che potrebbero accodarsi al contenitore sovranista anche successivamente alle elezioni europee. Se tutto dovesse andare secondo i piani, l'Eapn potrebbe scalzare i socialisti, diventando così l'interlocutore del Ppe per la formazione della prossima Commissione europea.Parlando di programmi, sembra inverosimile che almeno in un primo momento l'intesa battezzata ieri partorisca un documento unitario. Paesi diversi, tradizioni e priorità differenti, come ha specificato lo stesso Salvini. Ma i punti fermi che hanno fatto capolino anche nel corso della conferenza sembrano tre. Primo, il tema sull'immigrazione e la difesa dei confini. La posizione del vicepremier italiano in materia è nota a tutti, e il fatto che gli sbarchi dall'inizio dell'anno in poi siano letteralmente crollati gioca un punto a suo favore. Lo spettro di problematiche è ampio e variegato, ma sulla necessità di regolare il fenomeno sembrano d'accordo proprio tutti. Secondo, un nuovo modello di cooperazione tra gli Stati membri basato più che sulla disciplina di bilancio, sui principi di benessere economico comune e piena occupazione. L'ipotesi di una revisione dei trattati sembra ancora azzardata, e molto dipenderà dal peso che il nuovo gruppo assumerà nel Parlamento. Per ultimo, la ridefinizione del perimetro di azione della Commissione per dare più spazio all'iniziativa dei singoli Paesi. Difficile pensare che, a quel punto, non si decida di ridiscutere anche il ruolo della Bce, complice anche la fine del mandato di Mario Draghi.
Guerra aperta tra cartelli della droga pakistani, marocchini e albanesi. E i clan cinesi si contendono la prostituzione.
A Prato la Procura guidata da Luca Tescaroli sta fissando su una mappa i gruppi di stranieri che si fronteggiano a colpi di machete, spedizioni punitive, regolamenti di conti e tafferugli. Non sono episodi isolati, ma tasselli di «una più ampia contrapposizione tra gruppi criminali». Su questa cartina geografica i magistrati ieri hanno puntellato un altro caso: pakistani, marocchini e albanesi si sono scontrati in «una vera e propria faida urbana». Che ha prodotto quattro arresti: due marocchini di 22 e 25 anni, un pakistano di 34 e un albanese di 38, accusati di aver partecipato alle spedizioni punitive. E che sembra confermare l’esistenza di due blocchi distinti (uno pakistano e uno composto da marocchini e albanesi) in lotta per il controllo di un pezzo della città, in particolare dei quartieri in cui circolano droga e denaro.
L’aumento dei tassi reali giapponesi azzoppa il meccanismo del «carry trade», la divisa indiana non è più difesa dalla Banca centrale: ignorare l’effetto oscillazioni significa fare metà analisi del proprio portafoglio.
Il rischio di cambio resta il grande convitato di pietra per chi investe fuori dall’euro, mentre l’attenzione è spesso concentrata solo su azioni e bond. Gli ultimi scossoni su yen giapponese e rupia indiana ricordano che la valuta può amplificare o azzerare i rendimenti di fondi ed Etf in valuta estera, trasformando un portafoglio «conservativo» in qualcosa di molto più volatile di quanto l’investitore percepisca.
Per Ursula von der Leyen è «inaccettabile» che gli europei siano i soli a sborsare per il Paese invaso. Perciò rilancia la confisca degli asset russi. Belgio e Ungheria però si oppongono. Così la Commissione pensa al piano B: l’ennesimo prestito, nonostante lo scandalo mazzette.
Per un attimo, Ursula von der Leyen è sembrata illuminata dal buon senso: «È inaccettabile», ha tuonato ieri, di fronte alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, pensare che «i contribuenti europei pagheranno da soli il conto» per il «fabbisogno finanziario dell’Ucraina», nel biennio 2026/2027. Ma è stato solo un attimo, appunto. La presidente della Commissione non aveva in mente i famigerati cessi d’oro dei corrotti ucraini, che si sono pappati gli aiuti occidentali. E nemmeno i funzionari lambiti dallo scandalo mazzette (Andrij Yermak), o addirittura coinvolti nell’inchiesta (Rustem Umerov), ai quali Volodymyr Zelensky ha rinnovato lo stesso la fiducia, tanto da mandarli a negoziare con gli americani a Ginevra. La tedesca non pretende che i nostri beneficati facciano pulizia. Piuttosto, vuole costringere Mosca a sborsare il necessario per Kiev. «Nell’ultimo Consiglio europeo», ha ricordato ai deputati riuniti, «abbiamo presentato un documento di opzioni» per sostenere il Paese sotto attacco. «Questo include un’opzione sui beni russi immobilizzati. Il passo successivo», ha dunque annunciato, sarà «un testo giuridico», che l’esecutivo è pronto a presentare.
Luis de Guindos (Ansa)
Nel «Rapporto stabilità finanziaria» il vice di Christine Lagarde parla di «vulnerabilità» e «bruschi aggiustamenti». Debito in crescita, deficit fuori controllo e spese militari in aumento fanno di Parigi l’anello debole dell’Unione.
A Francoforte hanno imparato l’arte delle allusioni. Parlano di «vulnerabilità» di «bruschi aggiustamenti». Ad ascoltare con attenzione, tra le righe si sente un nome che risuona come un brontolio lontano. Non serve pronunciarlo: basta dire crisi di fiducia, conti pubblici esplosivi, spread che si stiracchia al mattino come un vecchio atleta arrugginito per capire che l’ombra ha sede in Francia. L’elefante nella cristalleria finanziaria europea.




