2018-07-19
«Il mio Vaticano meglio di quello vero. Con uno scatto catturo l’attimo perfetto»
Il fotografo Massimo Listri ha svelato l'anima delle opere e delle dimore più celebri «Scopro ciò che a occhio nudo non si vede e regalo la vera bellezza».A Fiodor Dostoevskij viene attribuita la celebre frase: «La bellezza salverà il mondo», pronunciata dal principe Myskin nell'Idiota. Il grande romanziere russo scrisse questa, che è una delle sue opere più famose, durante il soggiorno a Firenze, in un appartamento davanti a Palazzo Pitti, circondato dalle bellezze planetarie del Rinascimento. Poco più in là, nel quartiere di Santo Spirito a Firenze, in un palazzo museo che guarda la basilica costruita da Filippo Brunelleschi, vive «il fotografo che non documenta, ma inventa la bellezza». La frase è di Vittorio Sgarbi, ed è rivolta al principe dell'immagine, famoso, affermato, ricercato, che si chiama Massimo Listri.Chi è Massimo Listri? Mario Andreose, presidente della La nave di Teseo, ha scritto che è stampatore e imprenditore della sua arte. Ma è anche dandy, libertino, picaro, bibliofilo, collezionista e bon vivant. Insomma: un personaggio di questo tempo, erede della cultura fiorentina per immagini, da Ottone Rosai a Piero Vignozzi. Espressione del quartiere più popolare e variegato di Firenze, quello degli aristocratici con le loro magioni secolari, ma anche quello degli artigiani di qualità con i loro laboratori e degli antiquari più esclusivi. Molti di quali scomparsi, che però hanno consentito all'Oltrarno di essere eletto uno dei quartieri più cool del mondo da Lonely planet.Listri ha fotografato le dimore più belle del pianeta e ha esposto dall'Argentina al Messico, dal Cile a Taiwan. Ha immortalato le stanze del Quirinale e i marmi antichi del musei del Vaticano, ha realizzato («A titolo gratuito, per l'amicizia con Fabio Fazio», precisa lui) le scenografie dell'ultima stagione della trasmissione Rai, Che tempo che fa.Di recente ha realizzato lavori per la Milanesiana 2018, puntando l'obbiettivo su Matera e la Basilicata, ed è un continuo diffondere bellezza, il suo. Massimo Listri è passato attraverso la scuola di Franco Maria Ricci e - come ha scritto Sgarbi nel libretto che illustra la mostra su Matera - «è il fotografo che più di ogni altro, e con un'attività implacabile e un inesauribile fervore, ha catturato l'anima e l'atmosfera delle case identificando una sequenza e determinando un percorso interiore di «case dell'anima». Per capire l'arte di Listri vale forse più di ogni altra la definizione, sintetica ed efficace, dello stesso Sgarbi: «Se potesse, Listri annullerebbe la fotografia, la negherebbe per trasformarsi in pittore di interni».A lui piace sentirsi definire un «esploratore della fotografia». Ma è molto di più e lo testimoniano le quotazioni delle sue immagini sul mercato.Che cosa significa essere un fotografo di successo?«Sarò brutale, ma significa anzitutto guadagnare di più. Poi, certo, è una condizione che ti da la spinta a creare cose nuove, a produrre».Lei ha raggiunto uno standard di qualità altissimo. Sarà difficile mantenerlo...«Ma, vede, io mi definirei un ricercatore della fotografia. Perché sono sempre lì a cercare nuovi modi di esprimere l'architettura, che poi è il mio genere di espressione».Mi faccia un esempio.«Qualche tempo fa mi è arrivato un messaggio dell'editore Allemandi, mi proponeva delle foto alla Galleria Borghese dove ci sono tutte le opere del Bernini. Per me è stata un'occasione per scattare immagini a un Bernini rivisto».Hanno detto di lei: «Le tue fotografie non sono belle, sono sbalorditive». Da dove arriva questo talento?«Dall'intuizione di certe cose o forse da un dono naturale e dalla passione innata».Quanto tempo ci vuole per fare una foto che sbalordisca?«A me ci vuole poco. I fotografi sono come gli scrittori: ci sono quelli che buttano giù una pagina di getto, altri che limano di più e hanno bisogno di tempo».Che cosa hanno di particolare le sue foto?«Con il Bernini, per esempio, scopro un artista che anche a occhio nudo non vedi, perché non sono le luci che danno risalto alla plasticità. Un particolare del volto, una mano che affonda, un braccio: è un modo per far vedere meglio lo scultore».Quanto vale una foto di Massimo Listri?«Si parte da 10-12.000 euro fino a 30.000».Ha fotografato il Quirinale, da cui è nato il libro presentato al presidente Mattarella. Un luogo bello ma triste.«Tutti i luoghi istituzionali non hanno l'anima del proprietario. Ogni presidente cambia l'arredamento e spesso si trovano cose orrende, tappezzerie inguardabili. È difficile che abbiano un'anima. Allora fra le luci, le atmosfere, le “fughe" particolari, alla fine dalle foto sembra anche più bello di quello che è».C'è un segreto in questa tecnica?« Quando ho realizzato le sale del Vaticano, prima della mostra le abbiamo visitate. Il risultato è stato che le foto erano meglio dell'originale. Perché gli ambienti sono stati fotografati con la luce migliore, il taglio migliore, ho bloccato, magari, il momento in cui l'occhio era distratto. Ecco: le foto rappresentano il momento perfetto».Lei sostiene: si può godere della bellezza più da una foto che dall'originale.«Certo, perché i visitatori colgono un attimo che potrebbe essere quello sbagliato. O perché il sole è troppo forte, o perché c'è troppa gente. Nel mio caso, in Vaticano, è stata la prima volta che un fotografo ha avuto un permesso per trattenersi nelle sale, scegliere giorno e ora giusti per scattare. In sostanza: è stata la volontà condivisa di creare immagini mai viste di un soggetto visto tante volte, ma in modo diverso».Però ci sono luci artificiali che migliorano l'effetto, i fotografi di solito si muovono accompagnati da uno studio di illuminazione. E lei?«Io lavoro sempre da solo e utilizzo luce naturale, per questo devo aspettare il momento giusto».C'è qualcuno da cui si sente ispirato, che le abbia trasmesso certe sensibilità?«Chi mi ha influenzato di più sono stati certi registi di film che guardavo a 15 o 16 anni: per i tagli delle inquadrature, penso ai film di Bergman, e poi di Antonioni. Tutto quello che si chiama il “vuoto compositivo" di certe inquadrature. Già a 6 anni, mia nonna mi portava a visitare alcune abitazioni di pregio, e io ho sviluppato presto un occhio felice per poter distinguere un ambiente bello da uno brutto».Come è nata la mostra in Vaticano?«Il Vaticano è un ambiente chiusissimo, perché qualsiasi cosa venga fotografata poi è destinata all'archivio interno e loro si riservano i diritti. Salvo rarissime eccezioni, tipo per le riprese televisive nella Cappella Sistina. Fanno fotografare magari un quadro o un oggetto».Immagino quindi che sarà stato super controllato.«Direi piuttosto che non è stato un iter facile poter accedere con un obbiettivo nei Musei Vaticani. Però ora non esistono altre fotografie in giro, fuorché le mie. L'idea nacque da una telefonata ad Antonio Paolucci, che era il direttore, al quale chiesi di poter fotografare una sezione delle gallerie. Ci sono voluti anni per superare tutte le difficoltà interne. Poi, finalmente, Paolucci mi ha dato carta bianca».Quali sono le altre grandi mostre che ha portato in giro per il mondo?«In ordine cronologico ricordo quella alla Morgan Library di New York, un museo super raffinato, una parte del quale è stata progettata da Renzo Piano; poi la mostra alla Sala bianca di Palazzo Pitti; alla Venaria reale di Torino; alla biblioteca nazionale di Taiwan, al museo di arte moderna di Buenos Aires».Con quali soggetti?“I soggetti sono le mie fotografie di architettura, prevalentemente europea. Un' altra mostra importante è stata al museo di Vienna, un altro degli spazi di solito un po' chiusi, dove l'esposizione è durata dieci mesi. In Sud America ho esposto nel museo nazionale «San Carlos» a Città del Messico, al museo di arte moderna di Bogotà, al museo di arte italiana a Lima, in Perù, e poi a Santiago del Cile. Mi manca solo il Brasile, dove stiamo preparando una grande mostra al museo di arte moderna di San Paolo".Così lontano dall'Oltrarno di Firenze, eppure così vicino per via del comune senso della bellezza. Che è come il cielo, unisce il mondo.