2018-10-09
Robb Pratt: «Il mio segreto? Disegnare pieno di rabbia»
Dietro il successo del grande animatore della Disney c'è una vicenda di miseria e di sconfitte: «È umiliante essere poveri e vivere a Hollywood tra attori e ville. Il computer ha ucciso il tratto a mano ma, invece di star fermo a lamentarmi, ho agito». L'autore di cortometraggi indipendenti acclamati da critica e pubblico (il più celebre, Superman Classic, ha superato le 590.000 visualizzazioni su Youtube), si racconta.Oggi è un veterano della Walt Disney: 24 anni passati tra animazione e regia. C'è la sua matita dietro ad alcuni dei più celebri film della casa di produzione californiana, come Pocahontas, Hercules e Tarzan. Autore di cortometraggi indipendenti acclamati da critica e pubblico (il più celebre, Superman Classic, ha superato le 590.000 visualizzazioni su Youtube), Robb Pratt, 49 anni, si presenta come il più classico dei cowboy americani: un ragazzone di 2 metri d'altezza, capelli biondi ingellati all'indietro, occhi azzurri, mascella squadrata e sorriso a 32 denti, anche quando lo sguardo si perde negli anni più bui del passato. Perché, dietro il suo successo, c'è una storia di miseria e sconfitte.Iniziamo come David Copperfield: mi parli della sua infanzia.«Sono nato e cresciuto in povertà a North Hollywood, da una madre single che soffriva di disturbi mentali. Non poteva lavorare e ricevevamo un sussidio dal governo. Se non t'insegna a essere umile un inizio così...». (Ride).Scusi lo stupore ma, nel mondo, Hollywood è sinonimo di studi cinematografici e ville di attori.«È normale avere una visione romanzata della città, ma negli anni Sessanta è stata la zona degli Stati Uniti con il più alto tasso di immigrazione e, ovviamente, la distribuzione della ricchezza non era armoniosa. Io stesso sono figlio di un danese e, come molti americani di prima generazione, ho dovuto combattere per avere qualsiasi cosa. Da un lato è estremamente umiliante essere poveri e vivere tra attori e ville; dall'altro può essere divertente: quando dici di venire da North Hollywood, la gente ti guarda con soggezione».Un altro, al posto suo, avrebbe usato le condizioni in cui è cresciuto come scusa per arrendersi.«Non so dire il perché, ma fin da piccolo sapevo che non avrei mai voluto usarle come scusa. Il lato buono è che questo mi ha dato una marcia in più, me ne rendo conto osservando i colleghi che hanno avuto un'infanzia agiata: anche loro avrebbero la capacità di creare le proprie opere in autonomia, ma non lo fanno. Credo non abbiano la stessa determinazione, la stessa fame. Io volevo uscire dalla povertà, con tutte le mie forze. Nonostante tutto, un colpo di fortuna l'ho avuto: vivevamo a 3 chilometri di distanza dai Walt Disney studios, in auto ci passavamo spesso davanti. Ai miei occhi, era come se ci fosse un gigantesco bersaglio dipinto sopra quell'edificio. Un giorno, sarei arrivato lì».E il suo tramite fu la Cartoonists' union.«Esatto. Ironicamente, era un sindacato formato negli anni Cinquanta da animatori che scioperavano proprio contro la Disney. Oltre alle riunioni, si tenevano corsi serali su tutti gli aspetti dell'animazione: non ottenevi crediti universitari o diplomi, ma un'esperienza concreta. Al mattino avevo scuola e al pomeriggio mi mantenevo lavorando in una fabbrica di vetri; ma appena fui abbastanza grande da raggiungere la sede in bici, iniziai a frequentarne i corsi».Dà più valore all'esperienza sul campo che ai crediti universitari?«In realtà, per me l'università non è mai stata un'opzione sul tavolo. Fu molto frustrante: i miei amici non facevano che raccontarmi quanto fosse eccitante inseguire i propri sogni studiando con ragazzi provenienti da tutto il Paese. Tentai anche di ottenere una borsa di studio, ma, non avendo genitori a cui chiedere aiuto, fu un'impresa anche solo compilare la richiesta. Fu un'esperienza straziante. Tuttavia, all'università possono darti la bicicletta di cui hai bisogno, ma sei poi tu a dover pedalare. La passione dev'essere qualcosa di tuo, non possono dartela gli altri. Quel sindacato era straordinario, ho studiato con insegnanti che erano stati allontanati a forza dall'industria dell'animazione. C'erano anche persone che lavoravano alla Disney di giorno e cercavano di arrotondare lo stipendio la sera: non ti davano solo insegnamenti, ma anche delle indiscrezioni su come si stavano muovendo gli studios e, soprattutto, su quando erano in cerca di giovani da assumere».Ha iniziato a lavorare alla Disney nel 1994, per il film Pocahontas. Dopo anni passati a fissare lo studio dal finestrino di un'auto, varca finalmente il cancello.«Il 7 novembre, un giorno incredibile. I Disney studios, beh… se sei cattolico, vuoi andare a visitare il Vaticano; se sei nell'animazione, quella è la Terra santa! Ho attraversato il cancello con una macchina sfasciata in un incidente, gli interni distrutti, ma ero felice perché indossavo la mia camicia migliore. Per me non era solo il primo giorno di lavoro alla Disney: era il primo giorno in cui non ero più povero».Purtroppo, la sua gioia non dura a lungo. Nel 1995 esce Toy Story, il primo film interamente animato al computer, e diventa subito chiaro che, alla Disney, il 3D avrebbe soppiantato il disegno a mano. Che cos'ha provato?«Userò la parola «devastante», ma non penso sia abbastanza forte. Quando lavori sui film Disney è come essere baciati dal sole, sei al centro dell'universo dell'animazione e vorresti che non finisse mai. Ti si spezza qualcosa dentro quando hai amato e voluto qualcosa fin dall'infanzia e, dopo anni di sacrifici, lo ottieni solo per vedertelo subito portare via. Hai la sensazione di aver speso la vita a imparare tutte le regole per ottenere successo, e da un giorno all'altro queste vengano stravolte. Ho scalato la cima di una montagna per diventare animatore e dopo 10 anni ho dovuto tornare alla base, solo per non perdere il lavoro».Le venne offerto di lavorare a serie tv quali Kim Possible e La casa di Topolino su Disney channel. Un bel salto rispetto a film che venivano proiettati nelle sale di tutto il mondo.«Ho colto l'occasione senza farmi tante domande. Mi sono impegnato giorno e notte per un anno e mezzo, fino a essere promosso a regista per la serie The Replacements nel 2006. Ne fui entusiasta, ero convinto di avere trovato un altro lavoro a cui dedicare la vita. Ma quando la serie finì, mi ritrovai nuovamente disoccupato. Attraversai un periodo molto buio: ero frustrato, geloso, mi disistimavo, non mi davo nessuna speranza. Vedevo colleghi e amici ricevere incarichi che ritenevo di meritare molto più di loro, e non potevo non pensare: non sono bravi come credono, perché non si fidano di me?».È stato questo lo stimolo a dedicarsi a Superman Classic nel 2011, il suo primo progetto personale? L'invidia nei confronti dei colleghi?«Ho solo capito che, invece di lamentarmi, era ora di mostrargli che cosa fossi in grado di creare. Ho provato a incanalare la rabbia in qualcosa di cui essere fiero: Superman Classic. E, finalmente, mi sono sentito orgoglioso di me stesso. Poco dopo, sia Variety che Hollywood Reporter pubblicarono un articolo sul mio Superman e fui chiamato a parlarne alla radio. La ricompensa venne ancora prima di ottenere un nuovo lavoro. Mi sono sentito bene perché, invece di restar fermo a lamentarmi, ho agito».L'avere figli è stato uno sprone o un ostacolo in questa esperienza?«Sicuramente l'ha resa una sfida! Amo i cartoni animati, ma amo i miei figli più di qualsiasi cosa e non voglio che crescano ricordando come papà fosse sempre davanti al tavolo da disegno. Il tempo speso in famiglia è fondamentale. Ancor oggi, resto con loro finché non è ora che vadano a letto e solo allora sgattaiolo nel mio studio. La magia di vedere i disegni prendere vita è tale che non mi rendo neanche conto del tempo che passa. Se mi casca l'occhio sull'orologio, dico sempre: ancora un paio di disegni e basta! Mi addormento alle 3 o alle 4 e poi mi sveglio alle 7 per il lavoro».Si può mantenere un ritmo simile per una settimana, forse un mese. Ma qui si sta parlando di un anno intero per riuscire a realizzare appena un minuto e mezzo di animazione. Dove trova l'energia per continuare a lavorare dopo tante ore passate negli studios?«Le rivelerò uno dei miei trucchetti: la notte vado a letto senza passare prima dal bagno. Quello sì che riesce a svegliarti al mattino. Scherzi a parte, è passione, una passione positiva, l'amare qualcosa. Ma un artista attraversa anche molta negatività. La domanda è: come si fa a trasformare la negatività in positività? Molte delle animazioni di Superman sono state fatte con rabbia. Le notti insonni sono il prezzo da pagare, ma è anche la forza che ti permette di restare in prima linea e di mantenere le armi affilate. Sai che ci sono sempre artisti più giovani che assediano la tua posizione. Non puoi mai adagiarti sugli allori, non puoi permetterti di diventare arrogante. Devi rimanere concentrato e appassionato».Un novello Stachanov. Ha dormito la notte in cui ha pubblicato Superman Classic su Youtube?«Dopo due bicchieri di vodka liscia, eccome!»Lo confessi: almeno cinque ore a notte le dorme.«Mi creda, non so come faccio, penso davvero sia la passione. Ogni scusa è legittima per continuare a lavorare e a realizzare i propri progetti. Quelle stesse scuse che non ho usato per arrendermi, le uso per lavorare più sodo».
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