2019-09-15
«Il mio cashmere made in Mongolia fa bene all’ambiente e ai pastori»
L'imprenditore comasco Francesco Saldarini famoso per i giubbotti imbottiti con lana al posto delle piume d'oca: «Estrometto gli intermediari cinesi che sfruttano gli allevatori. La qualità è migliore e i lavoratori vivono meglio».Ha sempre avuto il pallino della sostenibilità. Francesco Saldarini ha iniziato inventandosi la nuova imbottitura per i piumini: basta piuma d'oca ma fiocchi di cashmere. Una vera rivoluzione, una risposta a chi guarda al benessere degli animali e del pianeta. Ora le tante idee dell'imprenditore di Como, quinta generazione della famiglia Saldarini, si sono concentrate in Mongolia. «Siamo andati lì per vedere come vivono le persone e gli animali. D'inverno, in tenda, anche a meno 40 gradi sotto zero. Un'esistenza molto difficile. Quando guadagna tanto, una famiglia arriva a 1.500/2.000 euro all'anno con la vendita del cashmere, 200 grammi per ogni capra. Il cashmere viene pagato grezzo all'origine, 30/35 dollari al chilo, quindi pochissimo, 10 dollari a capra. Oggi Nazioni unite e Ong stanno lavorando a livello ambientale e insegnando ai pastori a ruotare i pascoli, in modo che il terreno si possa rigenerare perché le troppe capre desertificano tutto. Un altro problema è che le industrie locali non lavorano il cashmere ma lo vendono a grandi compagnie cinesi che guadagnano senza lasciare nulla sul territorio». Qual è il vostro progetto?«Stiamo cercando di saltare i cinesi acquistando direttamente da consorzi e cooperative di pastori, riconoscendo loro quello che era il guadagno fatto dalle aziende di Pechino. Sarebbe un salto di qualità perché 10/15 dollari in più al chilo per queste popolazioni significano un grande passo avanti, con guadagni anche del 50% in più. A noi marchi occidentali cambia poco, perché quello che veniva riconosciuto ai cinesi viene dato ai pastori e in questo modo permettiamo di diminuire il numero di greggi e quindi proteggiamo l'ambiente». Siete venuti molte volte in Mongolia?«Nel primo viaggio ho toccato con mano la filiera del cashmere sostenibile, poi sono tornato per incontri istituzionali. Ho visto il ministro delle Finanze e dell'agricoltura della Mongolia e poi i direttori della Banca europea degli investimenti, la World bank group e la Asian development bank per studiare la possibilità di fare un commercio diretto e solidale di cashmere certificato. In questo modo si dà valore alla materia prima che diventa una commodity sul mercato».Tutto è partito dalla sostenibilità dei piumini?«È stato un percorso iniziato con il progetto di sostituire la piuma d'oca con un altro tipo di fibra. Inizialmente l'idea era la seta perché rappresenta la tradizione comasca. In realtà la seta si può utilizzare come imbottitura ma diventa molto goffa e pesante, non adatta per volumi di design. A questo punto è nato il brevetto del “cashmere flakes": per dare volume al cashmere utilizziamo una fibra più lunga possibile in modo che si arricci naturalmente. Proprio in Mongolia, in questi altipiani sterminati con migliaia di chilometri senza strade, con condizioni climatiche invernali molto più estreme di altri Paesi in cui vengono allevate le capre da cashmere, si ottiene la materia prima più pregiata e più fine al mondo. Il primo step è stato il brevetto del cashmere invece della piuma d'oca e dopo una serie di test abbiamo scoperto che il cashmere della Mongolia è il migliore per le nostre imbottiture». Alla fine tutto è andato per il meglio.«In effetti non sono mancati i problemi con i cinesi per impegni d'acquisto non rispettati, contratti firmati e poi disattesi, ritardi di consegne, qualità che non corrispondeva alla materia ordinata. Le trading company cinesi, quelle che oggi sfruttano i pastori ai quali in autunno e in inverno anticipano quattro spiccioli, fanno indebitare le famiglie per comperare il cherosene per scaldarsi o il cibo in negozi controllati sempre da loro. In questo modo, quando ad aprile c'è la raccolta del cashmere, le famiglie sono obbligate a vendere quasi a niente per rimborsare il debito. Il 93/94% della produzione di cashmere della Mongolia transita attraverso intermediari e aziende cinesi. Sono riuscito ad avere un rapporto diretto con i pastori e penso d'essere il primo ad avergli offerto uno sbocco sul mercato. Questo ha un valore sociale incredibile e c'è la soddisfazione di aver inventato un prodotto nuovo a livello etico, sostenibile sia nei confronti della popolazione che nel modo di fare commercio».Il piano continua ad avanzare, quindi. «Ho anche iniziato a produrre in Mongolia, un progetto pilota con partner locali che hanno macchinari italiani e giapponesi prima per filatura e torcitura, poi per smacchinare e fare la maglia. Così è nata una prima collezione che abbiamo inserito nella boutique di Cortina di maglieria 100% sostenibile con filati acquistati direttamente dai consorzi, prodotta totalmente in Mongolia. Ma il valore aggiunto ce l'ha anche il consumatore finale per la qualità del filato, per il costo industriale ridotto e per un prezzo concorrenziale. Ci posizioniamo accanto a brand che fanno cashmere in Italia. Sono 800 le persone che lavorano con macchinari moderni, il problema non è la produzione ma lo stile, il controllo qualità, la certificazione della filiera, lo sbocco sul mercato. Apriremo un secondo negozio in Italia e poi, una volta raggiunti gli obiettivi, in Europa e a ruota in Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti. Ho sempre fatto molti viaggi sia in Mongolia sia in Nepal per le sciarpe, le pashmine e la materia prima. La sostenibilità, la riduzione dell'inquinamento e delle emissione di CO2 e l'attenzione alla certificazione della filiera e dei fornitori devono essere il credo del futuro».
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)