
Il titolare dell'Economia, fan di Xi Jinping, è il terzo polo del governo gialloblù e dimostra continuità con il precedente esecutivo Ha fatto suo anche il braccio destro di Pier Carlo Padoan. Una cautela che piace a Sergio Mattarella e Ue ma sconcerta il suo collega Paolo Savona.Zitto zitto, Giovanni Tria, titolare dell'Economia, è diventato il terzo polo del governo gialloblù. Da un lato, l'irruente leghista, Matteo Salvini e il velleitario grillino, Luigi di Maio, entrambi su di giri. Dall'altro, completa ora la triade, il posato Tria. A sorpresa, il ministro dimostra continuità con il passato piddino. Oggi, due mesi dal debutto, è chiaro che rappresenta il trait-d'union con Sergio Mattarella, l'aggancio con il predecessore, Pier Carlo Padoan, la prudenza rispettosa dei vincoli finanziari cari a Bruxelles. «È il nostro Cerbero dei conti», ha detto di lui il premier, Giovanni Conte, compiaciuto e sollevato. Se è contento lui, che è alla testa di un governo che si è autonominato «del cambiamento» e in cui mette la faccia, significherà che va bene così. Sta di fatto che, arrivato nella stanza dei bottoni, Tria o non li ha toccati o li ha spinti, pari pari, come avrebbe fatto il ministro pregresso. Gli esperti di Palazzo hanno notato la riconferma del capogabinetto, Roberto Garofoli, cosicché il braccio destro che fu di Padoan è adesso di Tria. E ditemi se è poco. Inoltre, ha sostituito il precedente direttore generale del Tesoro, andato in pensione, con il candidato in pectore di Padoan, Alessandro Rivera, neanche si fossero messi d'accordo. Infine, in una quantità di altri casi (a partire dalla cruciale Cdp), Tria ha deciso senza ascoltare né Lega, né M5s. Molte nomine le ha fatte scegliendo tra i suoi colleghi dell'ateneo romano di Tor Vergata in cui era preside della facoltà di economia. La girandola di Tria dev'essere piaciuta in alto loco, poiché non s'è levato per le scelte alcun lamento dai poteri forti, sempre invadenti, quali che siano i governi. Si sono anzi moltiplicati gli apprezzamenti nelle diverse assemblee, dall'Abi in giù, che hanno chiuso la stagione.EUROSCETTICO Le premesse erano molto diverse. Tria aveva sì preso il posto dell'eurocritico, Paolo Savona - scelto da Di Maio e Salvini per l'Economia e rifiutato dal tremebondo Mattarella - ma ne era considerato seguace, sia pure cauteloso. A suggerirne il nome per il dicastero, era stato lo stesso Savona che lo tiene in palmo di mano da un decennio. Tra i due, c'erano stati molteplici scambi di vedute e complimenti. Per certi articoli scritti sul Foglio da Tria, a quattro mani col un altro docente, Ernesto Felli, Savona si battè tempo fa per fargli assegnare un prestigioso premio giornalistico. Insomma, a Savona piaceva l'euroscetticismo di Tria.MAI ESTREMISTA Ponderato per carattere, il nostro Giovanni non è mai stato estremo come l'ottantaduenne sardo che farebbe poltiglie dell'euro. La sua posizione è più posapiano e più gentilmente espressa: «Uscire dall'euro? Sbagliato rispondere sì. Bisogna rispondere no, ma aggiungere altro». E qui, sciorina gli accorgimenti tecnici per rendere la moneta comune meno simile a un morso alla giugulare modello Grecia. L'altra frase che completa il pensiero giovanneo, è: «Non ha ragione chi invoca l'uscita dall'euro come panacea di tutti i mali. Ma neanche Mario Draghi quando dice che l'euro è irreversibile». Fin qui, il Tria d'entemps.È mutato il neoministro rispetto al passato? A naso, direi di no, poiché ha convinzioni radicate. Ma una cosa è la teoria, altra la pratica. Avere esaminato da vicino i conti, unito all'assillo di trovare compratori di Btp per sovvenzionare il debito pubblico, hanno probabilmente reso ancora più prudente il già meticoloso Tria. Si sa, invece, che Savona è sconcertato per la morbidezza del pupillo. «Troppo cauto», ha detto a un amico comune. Non ha aggiunto, «così si torna all'antico e addio cambiamento», ma prima o poi sbotterà. Questo è lo stato dell'arte. Fino a ottobre, quando si metterà mano ai provvedimenti economici, gli equilibri nel governo resteranno immutati. Si sa già che Tria storce il naso sul reddito di cittadinanza di Di Maio, troppo costoso, e tollererà al massimo un assegno di sopravvivenza per i disoccupati. Gli piace, invece, la flat tax di Salvini che aveva già teorizzata anni fa, da consigliere economico di Fi e collaboratore di Renato Brunetta. Si sa anche, e concludo con questa spiattellata di concetti economici, che è favorevole ad aumentare le imposte sui consumi pur di abbassarle per lavoro e imprese. Ossia, più Iva e meno Irpef. Si prepara, dunque, un autunno di battaglie in seno al gabinetto. Tria è però tranquillo. Ha il coltello dalla parte del manico: è lui, infatti, che tiene a bada i fulmini del Quirinale e dell'Ue. Se esce di scena, Giove pluvio si scatena. COLLABORATORE DI BRUNETTA Avrete capito, dall'accenno sull'amichevole intesa col peperino Brunetta, che Giovanni è uomo accomodante. Impossibile immaginarlo arrabbiato. Per univoca testimonianza, non ha mai sgomitato in vita sua. Anche oggi, ricopre un ruolo che non ha cercato. E Dio ci guardi dalla determinazione dei disinteressati. Nato a Roma ma di origini pugliesi, Tria compirà 70 anni in settembre. È nonno e affezionatissimo alla moglie, Maria Stella, notata il giorno del giuramento al Quirinale, sprizzante orgoglio per il maritozzo che diventava ministro. La carica non ha interrotto la consuetudine della coppia di rifugiarsi appena può nella seconda casa di Roccasecca, in quel di Frosinone, paese natale di Maria Stella (e di San Tommaso d'Aquino), il cui sindaco si è già appellato alla concittadina perché sproni il marito a rilanciare la Ciociaria.l'amicizia con phelps Come Giovanni sia diventato docente e preside di economia pur essendo laureato in Legge, si spiega solo con una passione irrefrenabile. La stessa che da giovanottello sessantottino l'ha portato ad abbracciare il marxismo-leninismo e a fissarsi con la Cina di Mao. Il comunismo l'ha smaltito, la Cina no. Tria parla cinese e ha soggiornato più volte nel Paese. È estimatore del presidente Xi Jinping e spesso, intervistato da Radio Cina Internazionale che lo considera un punto di riferimento, intesse le lodi dell'«apertura e lungimiranza» del leader. Contrariamente a Conte che ne ha fatti 100, il Nostro ha compiuto un solo viaggio di perfezionamento accademico all'estero, nella Columbia University di New York. Lì, si è legato al Nobel, Edmund Phelps, capofila dei neokeynesiani. Se Phelps capita a Roma, è immancabilmente ospite dei Tria come peraltro altri noti nomi del jet set economico, come Jean Paul Fitoussi e Dominick Salvatore. È sempre della partita pure, Luigi Paganetto, brillante economista nostrano e vero fondatore della lanciatissima Università di Tor Vergata. Paganetto, buon amico di Padoan, è anche il collante tra i due e forse il padrino della continuità nella guida del dicastero. Qui si ferma la mondanità della coppia, che dei salotti romani si fa un baffo.COERENTEMENTE CRAXIANO Primo passo della resipiscenza di Giovanni dall'eskimo maoista fu l'adesione al Psi. Col suo movimentismo, il segretario Bettino Craxi attirava i capelloni quanto il comunismo bacchettone di Enrico Berlinguer li respingeva. Dagli anni Settanta, Tria ha partecipato - senza pestare piedi - alla vita del partito e, dopo le brutali defenestrazione e morte di Bettino, ha aderito al berlusconismo insieme a Gianni De Michelis, Maurizio Sacconi, Brunetta, ecc. È rimasto vicino ai figli del Cinghialone e ha un ruolo nella Fondazione Craxi di Stefania. In coerenza col suo galantomismo dimesso.
Friedrich Merz (Ansa)
Il cancelliere conferma che alla guida del continente devono esserci solo i tedeschi e i transalpini. E per avere un’Unione più utile a Berlino, punta a sopprimere il veto.
L’Unione europea non funziona più? Facciamone un’altra, più piccola e maneggevole, in tandem con la Francia. Questo il senso profondo di quanto dichiarato ieri dal cancelliere tedesco, Friedrich Merz, nel corso di un convegno organizzato dalla Süddeutsche Zeitung.
Volodymyr Zelensky ed Emmanuel Macron (Ansa)
Il presidente vola in Francia e compra 100 Rafale, 8 contraeree, radar, bombe e treni: con i caccia svedesi, il conto supera i 30 miliardi (nostri). E Ursula vuol dargliene altri 70, per coprire il «deficit enorme» di Kiev.
Ai grandi magazzini Lafayette, Volodymyr Zelensky ha comprato 100 caccia, otto contraeree, quattro sistemi radar, sei di lancio di bombe e 55 treni. Così, senza aver ancora spedito manco un legionario straniero al fronte, Emmanuel Macron ha raccolto, per conto della sua industria bellica, i dividendi delle passerelle dei volenterosi.
Sergio Mattarella e Giorgia Meloni durante il Consiglio supremo di Difesa (Ansa)
Al Consiglio supremo di Difesa, con Mattarella, c’era la Meloni con mezzo governo. La nota del Colle: «Vigilare sugli attacchi cyber, adeguarsi alla sfida dei droni russi. A Gaza cessi l’occupazione, però Hamas va disarmata. Ignobile l’antisemitismo».
Un appuntamento fisso che in questo caso, visto il contesto, assume un’importanza diversa. Si tratta del Consiglio supremo di Difesa, che si tiene periodicamente al Quirinale e che ieri ha visto all’ordine del giorno, oltre all’evoluzione dei conflitti in corso, anche le minacce ibride, con riferimento alle possibili ripercussioni sulla sicurezza dell’Italia e dell’Europa. Cina e Russia, in particolare, sono state portate all’attenzione del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che appena due giorni, fa al Bundestag, ha fatto riferimenti al rischio nucleare.
Donald Trump (Ansa)
Il tycoon dice sì alla pubblicazione dei documenti perché non crede che ci sia materiale compromettente contro di lui.
Sono giorni intensi quelli che sta attraversando Donald Trump. Il presidente americano si trova infatti contemporaneamente impegnato su più fronti: dal caso di Jeffrey Epstein ai dossier internazionali, come Venezuela e Medio Oriente. Domenica sera, Trump ha esortato i deputati repubblicani a votare a favore della pubblicazione dei file relativi al finanziere morto suicida nel 2019.






