2022-06-14
Il metano c’è, i gasdotti no. La puntata di Draghi in Israele appesa a un filo
Mario Draghi e Yair Lapid (Ansa)
Il premier cerca rifornimenti alternativi alla Russia: Tel Aviv ha le risorse ma mancano le infrastrutture. Per costruirle sono necessari almeno 4 anni.Dopo una lunga parentesi di assenza che dura dal 2015, un primo ministro italiano torna in Israele. Ieri Mario Draghi ha incontrato il presidente Isaac Herzog e il ministro degli Esteri Yair Lapid. Oggi è invece previsto l’incontro con il premier Naftali Bennet. Curiosità vuole che – più o meno con la stessa agenda e la stessa tempistica – sia a Gerusalemme in questi giorni anche la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Per la cronaca, sia Draghi sia la von der Leyen vedranno anche nella West Bank il primo ministro palestinese Mohammed Shttayeh: per ciò che riguarda l’Italia, dovrebbe essere siglata un’intesa per il supporto al settore ospedaliero palestinese. Per il resto, il versante palestinese della visita non appare particolarmente significativo.Ma torniamo a Gerusalemme e al cuore dei colloqui, legati al tema dell’energia. Inutile girarci intorno: viste le tensioni con la Russia, i paesi Ue sono in cerca di alternative. E, come sappiamo, per l’Italia non sono state del tutto soddisfacenti le recenti missioni africane.In questo senso, come la ministra israeliana per le Infrastrutture e l’Energia Karine Elharrar ha più volte sottolineato, Gerusalemme potrebbe soddisfare la domanda europea grazie alle sue significative riserve offshore: il problema è quello delle infrastrutture necessarie per l’operazione, non esistendo ad oggi gasdotti diretti verso l’Europa.E qui scattano tre ipotesi alternative. La prima è quella di usare come sponda l’Egitto, dove il gas israeliano potrebbe essere liquefatto e poi trasportato via nave. Soluzione ottima per i Paesi destinatari finali che dispongano di numerosi impianti di rigassificazione: purtroppo non è il caso dell’Italia. La seconda possibilità è quella di una partnership tra Israele e Turchia, con la realizzazione di un apposito gasdotto (cosa che richiederebbe 2-3 anni di tempo): una collaborazione del genere confermerebbe il disgelo in atto tra Gerusalemme e Ankara, e vedrebbe i Paesi dell’Europa mediterranea naturali destinatari di quel gas. Ma ci sarebbe di mezzo la Turchia, un interlocutore spesso ostico.La terza opzione sarebbe la migliore per l’Italia in assoluto, e cioè il recupero del progetto Eastmed, di cui questo giornale ha più volte scritto negli anni, e che risolverebbe per sempre i problemi del nostro Paese. I tempi presumibili per l’opera sono di circa 4 anni, e il gasdotto sarebbe chiamato a portare gas israeliano e cipriota verso la Puglia, transitando per la Grecia. I vantaggi sono evidenti ed enormi: si tratterebbe di una risposta strutturale (e non di una somma di «cerotti» e microforniture), e soprattutto si tratterebbe di un’infrastruttura che coinvolgerebbe soltanto Paesi democratici. Naturalmente sarebbe indispensabile, nel frattempo, trovare soluzioni-ponte per i 4 anni necessari a completare l’opera, e – su un altro piano – si porrebbe il tema della stabilizzazione complessiva del Mediterraneo. A ben vedere, pure quest’ultimo aspetto potrebbe risolversi in un’altra opportunità geostrategica per l’Italia, anche in ottica Nato: se fossimo in grado di offrirci credibilmente come protagonisti di un’iniziativa sul fianco Sud dell’Alleanza, che oggi è comprensibilmente più impegnata e concentrata sul versante Nord-Est.Su un altro piano, tutte le opzioni energetiche in campo devono fare i conti, dal punto di vista di Gerusalemme, con un contenzioso aperto tra Israele e Libano con riferimento ai rispettivi confini marittimi: le tensioni si ripropongono carsicamente rispetto allo sfruttamento delle risorse in acque – per così dire – «contestate», cioè giuridicamente «contese», ma tutti i soggetti hanno interesse ad una qualche intesa, che potrebbe anche essere favorita da Washington. Gli altri temi sull’agenda di Draghi, rispetto a questa visita, sono complessivamente quattro. Uno è quello della crisi alimentare che può essere innescata dall’aggressione russa all’Ucraina. E dov’è l’interesse di Israele? Gerusalemme ha interesse a che una serie di Paesi (in primo luogo l’Egitto) che potrebbero essere colpiti da un inasprirsi della crisi non vengano destabilizzati.Il secondo tema è quello del conflitto russo-ucraino in sé. Ammesso che prima o poi si giunga a un cessate il fuoco e successivamente a un negoziato, è noto che sia Israele sia l’Italia potrebbero essere tra i Paesi garanti della nuova Ucraina e della sua «neutralità», concetto ovviamente da chiarire e da tenere sempre insieme a quello di sovranità di Kiev.Il terzo tema è quello dell’impegno comune contro l’antisemitismo, che Draghi ribadirà con forza. E questo ci conduce a un quarto elemento finale, che ha a che fare con la curvatura complessiva della politica estera di questo esecutivo: sia pure con contraddizioni e non senza alcune sbavature, questo governo vuole distanziarsi da quelli presieduti da Conte, e dunque Draghi tiene a che Washington e Gerusalemme (non a caso destinazioni delle due ultime visite ufficiali del premier) siano altrettanti punti fermi delle relazioni internazionali dell’Italia.