2020-08-07
Le carte che Conte voleva nascondere agli italiani
Giuseppe Conte (Samantha Zucchi/Insidefoto/Mondadori Portfolio via Getty Images)
Il 7 marzo, il Cts aveva proposto chiusure differenziate: il governo, però, ha preferito la serrata generalizzata. Nei verbali non c'è nulla sui tamponi né, fino ad aprile, sui Dpi. Quelli sulle zone rosse lombarde restano segreti.La pubblicazione selettiva dei verbali del Comitato tecnico scientifico, che supporta il governo giallorosso nel contrasto al coronavirus, non svela tutti i segreti sull'istituzione della zona rossa. Sono solo cinque i verbali (uno dei quali era stato secretato) concessi dopo un contenzioso amministrativo ingaggiato dalla Fondazione Einaudi e durato quattro mesi. La richiesta di accesso agli atti è del 14 aprile 2020. Segue un sollecito di riscontro, al quale il governo ha risposto con un «niet» il 4 maggio. I giuristi della Fondazione hanno impugnato quel diniego davanti ai giudici del Tar. Ma non è bastata neppure una sentenza con richiesta di adempimento a far mollare a Giuseppe Conte i verbali secretati. L'avvocatura dello Stato ha fatto ricorso. Il governo, però, anticipando il prevedibile esito dell'udienza fissata a settembre al Consiglio di Stato e dopo che anche il Copasir ha chiesto di rendere pubblici i verbali, ha deciso di permettere l'accesso agli atti che sono alla base dei Dpcm di Giuseppi. Ma solo parzialmente. Perché mancano ancora i resoconti più delicati, quelli che contengono le indicazioni sulla mancata chiusura delle zone rosse lombarde di Alzano e Nembro (questione che è anche oggetto di inchieste della magistratura). D'altra parte, il governo si è fatto schermo dietro questo principio: la Fondazione ha chiesto gli atti ad aprile, quindi ha diritto di ottenere i verbali redatti fino a quel momento. «Sono solo quelli che erano stati adottati al tempo in cui li abbiamo chiesti», spiega Rocco Todero, uno dei legali della Fondazione, che aggiunge: «Gli altri sono successivi alla richiesta». E l'ultimo, infatti, è del 9 aprile. Le oltre 200 pagine sono piene delle raccomandazioni tecniche per gestire l'emergenza. Alle quali sono seguiti i Dpcm di Giuseppi che le accoglievano in pieno. Tutte. Il 28 febbraio, per esempio, i tecnici suggeriscono già di rivedere le misure per tre regioni «Emilia Romagna, Lombardia e Veneto», interessate da «una situazione epidemiologica complessa». Due giorni dopo il governo prepara un Dpcm che riprende la raccomandazione e vieta proprio in quelle regioni gli eventi e le manifestazioni sportive, sospende l'attività scolastica. Ma riapre musei e luoghi di culto, a condizione che «assicurino modalità di fruizione contingentata o comunque tali da evitare assembramenti di persone», proprio come indicato dagli esperti. Fin dai primi giorni, ovvero quando a Codogno viene individuato il paziente 1, il governo ha preso come oro colato le indicazioni del Comitato. Sin dal primo marzo, quando è scattato lo stop ad abbracci e strette di mano. Anche quella era una raccomandazione del Comitato. Il 30 marzo arriva anche la proposta di un protocollo su come gestire la giornata dei bambini con consigli su igiene personale, pranzi e cene, attività scolastiche e giochi all'aperto. Ma anche merende (compreso sparecchiare, mettere in ordine e lavaggio denti) e lettura delle favole. Tv ridotta, con una selezione accurata dei programmi da vedere. Giuseppi e compagnia hanno fatto di testa propria in una sola, clamorosa occasione: la decisione sul lockdown totale. Nel documento del 7 marzo, che fa bella mostra di un timbro che ricorda che si tratta di un atto «riservato», i tecnici suggeriscono misure più rigorose per la Lombardia, per Parma, Piacenza (il cui sindaco, inascoltato, le chiedeva già da tempo), Reggio Emilia, Rimini, Modena, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Alessandria e Asti, ma non per tutto il Paese. Dopo un primo Dpcm in cui il governo accoglie i suggerimenti dal comitato, Giuseppi ne emana un altro, quello del 9 marzo ed entrato in vigore il 10, che dispone il lockdown per tutti gli italiani fino al 3 aprile. Spiegare agli imprenditori e alle partite Iva finiti a gambe all'aria per quella scelta del governo che le altre aree della nazione non erano state incluse nel lockdown non deve essere affatto una cosa semplice. Ma sarà altrettanto difficile spiegarlo a chi ha pianto i propri cari perché alcune zone rosse non sono state istituite. Probabilmente è per questo motivo che Conte non tirava fuori i verbali. La Lega è insorta: «Presenteremo immediatamente un'interrogazione perché consideriamo grave che non si faccia chiarezza su uno degli aspetti più delicati della gestione dell'emergenza, ovvero la mancata zona rossa in bassa Val Seriana. Si verifichi anche se qualche esponente politico ha fatto pressioni sul governo perché non fosse istituita la zona rossa». Nel verbale del 7 marzo, infatti, i tecnici proposero di rivedere la distinzione tra le «zone rosse» (gli 11 Comuni del Lodigiano) e le «zone gialle» (Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e le provincie di Pesaro-Urbino e Savona), ipotizzando di applicare «due livelli di misure di contenimento. L'uno nei territori in cui si è osservata maggiore diffusione del virus, l'altro sull'intero territorio nazionale». Mancava la Val Seriana. Inoltre nelle 200 pagine non si fa praticamente mai riferimento ai tamponi. In quello del 9 aprile c'è solo un riferimento a uno studio di sieroprevalenza. Un progetto d'indagine sulla popolazione che, si dà atto, è stato presentato alle Regioni in videoconferenza. Un lungo capitolo, però, è dedicato agli strumenti per la ventilazione polmonare e ai medicinali in via di sperimentazione nei vari ospedali italiani. A sorpresa, invece, dai documenti viene fuori un'interpretazione del sistema lombardo ben diversa dalla vulgata odierna. Nel verbale del 7 marzo, il Cts propone «di adottare l'elaborato della Regione Lombardia» contenente le indicazioni «per gravida-partoriente, puerpera-neonato e allattamento», addirittura, «come documento di riferimento». Insomma, gli scienziati che affiancavano l'esecutivo parevano tutt'altro che snobbare il modello lombardo. Un altro dettaglio che cozza con la narrazione giallorossa sulla pandemia.
Foto Pluralia
La XVIII edizione del Forum Economico Eurasiatico di Verona si terrà il 30 e 31 ottobre 2025 al Çırağan Palace di Istanbul. Tema: «Nuova energia per nuove realtà economiche». Attesi relatori internazionali per rafforzare la cooperazione tra Europa ed Eurasia.
Il Forum Economico Eurasiatico di Verona si sposta quest’anno a Istanbul, dove il 30 e 31 ottobre 2025 si terrà la sua diciottesima edizione al Çırağan Palace. L’evento, promosso dall’Associazione Conoscere Eurasia in collaborazione con la Roscongress Foundation, avrà come tema Nuova energia per nuove realtà economiche e riunirà rappresentanti del mondo politico, economico e imprenditoriale da decine di Paesi.
Dopo quattordici edizioni a Verona e tre tappe internazionali — a Baku, Samarcanda e Ras al-Khaimah — il Forum prosegue il suo percorso itinerante, scegliendo la Turchia come nuova sede di confronto tra Europa e spazio eurasiatico. L’obiettivo è favorire il dialogo e le opportunità di business in un contesto geopolitico sempre più complesso, rafforzando la cooperazione tra Occidente e Grande Eurasia.
Tra le novità di questa edizione, un’area collettiva dedicata alle imprese, pensata come piattaforma di incontro tra aziende italiane, turche e russe. Lo spazio offrirà l’occasione di presentare progetti, valorizzare il made in Italy, il made in Turkey e il made in Russia, e creare nuove partnership strategiche.
La Turchia, ponte tra Est e Ovest
Con un PIL di circa 1.320 miliardi di dollari nel 2024 e una crescita stimata al +3,1% nel 2025, la Turchia è oggi la 17ª economia mondiale e membro del G20 e dell’OCSE. Il Paese ha acquisito un ruolo crescente nella sicurezza e nell’economia globale, anche grazie alla sua industria della difesa e alla posizione strategica nel Mar Nero.
I rapporti con l’Italia restano solidi: nel 2024 l’interscambio commerciale tra i due Paesi ha toccato 29,7 miliardi di euro, con un saldo positivo per l’Italia di oltre 5,5 miliardi. L’Italia è il quarto mercato di destinazione per l’export turco e il decimo mercato di sbocco per quello italiano, con oltre 430 imprese italiane già attive in Turchia.
Nove sessioni per raccontare la nuova economia globale
Il programma del Forum si aprirà con una sessione dedicata al ruolo della Turchia nell’economia mondiale e proseguirà con nove panel tematici: energia e sostenibilità, cambiamento globale, rilancio del manifatturiero, trasporti e logistica, turismo, finanza e innovazione digitale, produzione alimentare e crescita sostenibile.
I lavori si svolgeranno in italiano, inglese, russo e turco, con partecipazione gratuita previa registrazione su forumverona.com, dove sarà disponibile anche la diretta streaming. Il percorso di avvicinamento all’evento sarà raccontato dal magazine Pluralia.
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Matteo Del Fante, ad di Poste Italiane (Ansa)
«Non esiste al mondo un prodotto così diffuso e delle dimensioni del risparmio postale», ha dichiarato Matteo Del Fante, amministratore delegato di Poste Italiane, a margine dell’evento «Risparmio Postale: da 150 anni la forza che fa crescere l’Italia», a cui ha presenziato anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. «Come l’ha definito il Presidente della Repubblica, si tratta di un risparmio circolare: sono 27 milioni i risparmiatori postali», ha spiegato ai giornalisti Dario Scannapieco, amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti.