2023-03-08
Il libretto dissequestrato che smonta il complotto: Enrico Mattei non fu ucciso
Dal documento di volo emerge che il 27 ottobre 1962 (giorno dell’incidente) l’aereo del manager aveva già fatto due viaggi: al suo interno non potevano esserci ordigni.Ex consigliere ExorEnrico Mattei è stato un grande italiano. Un uomo potentissimo e inviso a molti. Ciò non giustifica che quello che, con altissima probabilità, fu un incidente dovuto a errori umani divenisse, per la mania nazionale del «complotto», un attentato dai contorni sinistri. La “Loss of Control in flight” (LOC-I) ovvero la perdita di controllo in volo, è la causa principale degli incidenti aerei dell’aviazione generale privata in Europa, per la quale è stato appunto creato questo acronimo. L’Ente europeo dell’Aviazione civile ha calcolato che negli ultimi decenni si sono verificati una media di 37 incidenti fatali all’anno dovuti a questa causa, con una media di 67 morti ogni anno. Mattei muore in un incidente aereo sul bigetto “Morane Saulnier Paris II”, matricola I-SNAP, di proprietà dell’Eni, la sera del 27 Ottobre 1962 a Bascapè, non lontano da Linate, dove l’aeromobile si stava dirigendo per l’atterraggio con provenienza da Catania. Nonostante molti abbiano continuato negli anni a parlare di «assassinio Mattei», fino alla riapertura dell’inchiesta su questo incidente da parte di un magistrato di Pavia, Vincenzo Calia, nel 1994, le cause di questo sinistro parvero piuttosto intuibili. Eravamo in presenza di un aereo assolutamente rudimentale privo di pilota automatico, privo di radar meteorologico e di sistema antighiaccio sulle superfici alari, e un pilota affaticato e stressato e condizioni meteorologiche al limite del proibitivo (pioggia, nebbia, visibilità orizzontale di 600 metri) incontrate nella fase terminale del volo (quella più critica). E infatti la Commissione ministeriale d'inchiesta nominata dal ministero dei Trasporti nel 1962 concluse che una delle ipotesi più attendibili fosse che il Comandante Bertuzzi fosse rimasto vittima del fenomeno del «disorientamento spaziale»: una situazione che, a soli 650 metri di quota (l’ultima alla quale si trovava l’aereo prima della perdita del contatto radio con «Milano Controllo»), può facilmente diventare fatale. Non era però, secondo la Commissione, nemmeno da escludersi un malore del pilota che aveva condotto un aeromobile per più di due ore volando a mano con accanto un principale assai esigente, dopo una giornata intensa in cui aveva effettuato altri due voli Catania-Gela e poi Gela-Catania.Niente autopsiaPurtroppo, l’autopsia fu impossibile a causa dello stato dei corpi di tutti e tre gli occupanti (il pilota Irnerio Bertuzzi, Enrico Mattei e il giornalista americano William Mc Hale). Su questo, nel 1994 entra in scena Vincenzo Calia della Procura di Pavia, che decide di riaprire l’inchiesta penale già precedentemente archiviata dai suoi colleghi nel 1966. Questi decide di indagare e seguire la tesi del sabotaggio dell’aereo di Mattei da parte di ignoti: sabotaggio secondo lui avvenuto con l’installazione nell’aeromobile in questione di una piccola carica esplosiva capace solo di inabilitare il pilota, senza lasciare tracce. In effetti, la disposizione del relitto a terra non era coerente con una vera e propria esplosione, che avrebbe disintegrato l’aeromobile. Egli commissiona una serie di perizie le quali, in contrasto con le risultanze dell’inchiesta ministeriale del ’62, concludono che potrebbero esserci indizi di esplosione (ma non residui di esplosivo) avvenuta nella cabina di pilotaggio del “Moran Saulnier” sia sui corpi riesumati del pilota Bertuzzi e di Mattei, sia su alcuni elementi del pannello strumenti. Se Calia si fosse limitato ad enunciare tali risultanze della sua inchiesta, qualche dubbio me lo sarei posto anch’io. Ma nel cercare di avvalorare la tesi del sabotaggio, si lancia in una serie di ipotesi prive di fondamento e che minano la credibilità della tesi. nuova letturaNe abbiamo avuto prova quando di recente abbiamo ottenuto il dissequestro - e quindi la restituzione - dalla Procura di Pavia del libretto di volo (sequestro disposto da Calia nel 1995) di uno dei tre piloti Eni abilitati a volare sul tipo di aereo su cui morí Mattei: il comandante Ferdinando Bignardi. Il libretto di volo è il documento su cui ogni pilota deve annotare i voli da lui effettuati onde consentire alle autorità e ai propri istruttori di conoscere il livello di esperienza dello stesso. Falsificarlo costituisce un reato penale ai sensi dell'art. 483 del codice penale, oltre a comportare il ritiro della licenza. Ora, l’ipotesi di Calia è che durante la sosta dell’aeromobile incidentato a Catania nei giorni del 26 e 27 ottobre del ‘62 (quest’ultimo è il giorno dell’incidente), qualcuno lo avesse sabotato installando un ordigno che doveva essere innescato dall’azionamento della leva di fuoriuscita del carrello di atterraggio. Peccato che la mattina del 27 l’aeromobile in questione avesse già effettuato due voli (Catania-Gela e Gela-Catania, come detto) e quindi altrettante estrazioni del carrello senza che si verificasse alcuna esplosione; successivamente, l’aeromobile era rimasto in piena vista del personale di servizio e del suo pilota in attesa dell’arrivo di Mattei. Allora Calia ipotizza che vi fossero in realtà due aeromobili "Morane Saulnier" presenti a Catania, e che i primi due voli fossero stati effettuati con l’altro velivolo (matricola I-SNAI), mentre quello incidentato (I-SNAP) sarebbe rimasto fermo nell’hangar, dove durante la notte sarebbe stato sabotato. In realtà non solo la presenza di questo secondo aeromobile non risultava dal registro dell’aeroporto di Catania Fontanarossa, ma l’unico pilota che avrebbe potuto eventualmente portarlo in quei giorni in Sicilia era appunto il Comandante Bignardi. Ebbene, dal libretto di Bignardi non risulta alcun volo da lui effettuato in quei giorni né in Sicilia né altrove. Sulla attendibilità della relazione di Calia pesa inoltre la seguente affermazione: «Lo stesso aereo (I-SNAP) pilotato dal comandante Bignardi rientrò a Ciampino alle 17.40 del giorno successivo (20 Ottobre 1962) con un solo passeggero a bordo». Ma nel libretto di Bignardi non vi è alcun riscontro nemmeno di questo volo: l’ultimo risultava da Linate a Rimini il 19 di Dicembre. Calia commise altri errori: il più grave fu quello di aver disposto l’incriminazione Mario Ronchi, un contadino che abitava nella zona dell’incidente, per «favoreggiamento personale aggravato»: in un primo momento aveva dichiarato di aver visto un’esplosione in volo, poi, a freddo, aveva dichiarato che in realtà aveva visto l’aereo solo dopo lo schianto. Cosa molto verosimile viste le già citate pessime condizioni di visibilità. IL METEOAltro errore è stato poi proprio quello di aver insistito sulle «discrete» condizioni meteo erano «discrete», cosa smentita dai bollettini meteo dell’aeroporto di Linate. A pagina 129 della relazione Calia si legge: «Non pare infine plausibile l’ipotesi di raggiungimento accidentale delle condizioni di stallo, sia perché non coerente con la diffusione dei resti anche a monte del punto di impatto, sia perché I-SNAP era dotato di avvisatore di stallo, meccanismo che induceva vibrazioni sulla barra di comando (buffeting) all’approssimarsi delle condizioni di stallo». Forse Calia avrebbe dovuto ascoltare meglio gli esperti aeronautici da lui sentiti come testi: gli avranno spiegato che l’avvisatore di stallo avvisa il pilota dello stallo ma non lo previene se egli non adotta azioni correttive. Altra grave distorsione della realtà operata da Calia si riferisce alla questione delle «Officine di revisione meccanica». Si trattava di un reparto specializzato in motori dell’Aeronautica militare a cui la Commissione d’inchiesta del ‘62 spedì i due motori dell’aereo incidentato. La conclusione delle indagini delle Orm fu che i motori erano funzionanti al momento dell’impatto e che vi erano tracce di fusione sui motori. Nella sua relazione, Calia trasforma la dichiarazione delle Officine, che hanno preso in considerazione l’ipotesi di una bomba, in conferma della sua tesi sull’ordigno. Purtroppo la passione per il «complotto» è un vizio molto italiano: come disse Indro Montanelli «visto che viviamo nella patria dei sospetti, sia consentito anche a me di avanzarne sommessamente uno: che quando si cavalca un cadavere come quello di Mattei è difficile resistere alla tentazione di condividerne l’eccellenza, passaporto per la conquista con nome e fotografia delle prime pagine dei giornali». È proprio quello che sembra essere successo in questo caso. Risultava deludente attribuire la morte di uno come Matteiva un banale errore umano, e non si è esitato a montare l'ipotesi di una poco credibile cospirazione che vedeva coinvolti, secondo Calia, i vertici Eni, i carabinieri, l’Aeronautica militare, la Direzione generale dell'Aviazione Civile, il Sismi, la mafia e le «sette sorelle». Si è pure insinuato che Eugenio Cefis fosse stato il mandante del presunto attentato, e che il comandante Bignardi si fosse prestato a partecipare al complotto, senza citare altri insabbiamenti e depistaggi. Distorcendo in maniera così clamorosa la verità dei fatti non si è reso un buon servizio al Paese: e si è solo contribuito ad alimentare la leggenda di uno Stato sinistro e malvagio che manda a morte personaggi «scomodi». Bastava conoscere un po’ meglio il mondo aeronautico per evitare di incorrere in equivoci ed errori macroscopici.
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