2020-11-18
Il Lazio è al collasso ma il semaforo rotto segna sempre giallo
Nicola Zingaretti (Simona Granati - Corbis/Getty Images)
Ospedali in affanno, posti letto fantasma e sindacati in guerra per i mancati rinforzi. Eppure Zinga evita ancora il lockdown.Salgono i contagi nel Lazio, che con 2.538 nuovi pazienti positivi è tra le cinque Regioni con più casi giornalieri. Gli ospedali sono in affanno, ieri c'è stato un aumento anche delle rianimazioni (+30) ma il territorio amministrato dal segretario dem continua a rimanere inspiegabilmente giallo. Mentre gran parte del Paese è bloccato dalle restrizioni, tra chiazze rosse e arancioni definite dal Cts spicca il colore tenue della Regione di Nicola Zingaretti.Perché è più bravo a fronteggiare la seconda ondata? Certo che no, guardando i numeri. Mancano i 2.397 posti letto Covid annunciati «entro lunedì 16», cioè due giorni fa. Centinaia di pazienti sono ancora in attesa di essere ricoverati e si accalcano nei pronto soccorso, mentre il personale sanitario annuncia per domani una nuova manifestazione di fronte alla Regione Lazio. Protestano contro le scelte fatte in questi anni di «tagliare sulla sanità pubblica, per reindirizzare i finanziamenti sui servizi privati in convenzione e accreditamento». Due giorni fa erano state Cgil, Cisl e Uil a lanciare la mobilitazione «per evitare il collasso di ospedali e aziende sanitarie, primo argine contro la pandemia, e per alzare il livello di sicurezza e sorveglianza sanitaria degli operatori». Il presidio, sempre sotto gli uffici di Zingaretti, lunedì chiedeva a gran voce 10.000 assunzioni tra medici (almeno 1.000) infermieri (non meno di 2.500), operatori sociosanitari e altro personale necessario, oltre a «investimenti immediati in prevenzione, protezione individuale e formazione specifica, riorganizzazione dei pronto soccorso e dei percorsi di cura». I sindacati puntano il dito contro i ritardi accumulati dal governatore dem, definiscono «davvero drammatica» la situazione dei sanitari contagiati «oltre 2.000 finora, continuano a salire», a causa di tamponi non effettuati con cadenza regolare su chi è in prima linea a fronteggiare il Covid. E se mancano letti è anche «perché si doveva realizzare una rete di strutture ospedaliere dedicate», dichiarano Daniela Chiappini e Simona Geralico del circolo Paolo Colli di Fdi a Frosinone, «per evitare condizioni di promiscuità tra pazienti positivi e altri malati. Tutto questo, senza dover convertire interi reparti essenziali in sezioni Covid». Aggiungono che nel Lazio «siamo vicini al collasso e questo perché, nonostante ci fossero tempo, risorse e strumenti normativi ed emergenziali per agire tempestivamente», la Regione non si è mossa.È arrivata anche la mazzata del Tar, che ha accolto il ricorso del sindacato medici italiani e ha stabilito che non sono quelli di famiglia che devono occuparsi dei pazienti Covid perché, altrimenti, «risultano investiti di una funzione di assistenza» definita dal tribunale «del tutto impropria, che per legge dovrebbe spettare unicamente alle Unità speciali di continuità assistenziale (Usca)». La Regione ha annunciato che si rivolgerà al Consiglio di Stato ma intanto, per effetto della sentenza, i medici di base non seguiranno più le oltre 60.000 persone in isolamento domiciliare. Non va meglio con la campagna di vaccinazione antinfluenzale, le Asl della Capitale sono senza dosi da poter somministrare. Il caos nel caos. Dieci giorni fa, l'anestesista Alessandra Spedicato aveva scritto al governatore «per conoscere quali introvabili, indecifrabili, probabilmente sumerici, criteri hai adottato per definire il Lazio una Regione a bassa criticità rispetto al tasso di contagio», postava su Facebook. Diceva di non volere «una ammissione di colpa», per le scelte politiche o strategiche compiute, ma che le bastava «una ammissione di responsabilità, la stessa responsabilità che io assumo ogni giorno con i miei pazienti». In realtà, il mea culpa di Nicola Zingaretti dovrebbe essere forte e chiaro, per i tagli operati nel Lazio da quando venne nominato commissario straordinario alla Sanità dall'allora Consiglio dei ministri.«Vogliamo uscire dall'idea solo di chiudere e tagliare, ora è tempo di costruire», annunciò quell'anno. Era il 2013, al governo c'era l'economista Mario Monti che aveva imposto uno standard massimo di 3,7 posti letto disponibili ogni 1.000 abitanti, tagliando in nome della spending review quasi 30.000 posti letto e 6,8 miliardi di euro al bilancio del ministero della Salute.Come ricordava nel giugno 2019 Il Blog delle stelle, sito ufficiale del M5s, dalla nomina di Zingaretti «sono stati chiusi ben 16 ospedali, il personale è diminuito del 14% e i posti letto sono scesi di 3.600 unità, sotto la media nazionale dei tre letti per 1.000 abitanti». Non solo, gli attuali alleati di governo del Pd dichiaravano che grazie al segretario, commissario straordinario e governatore Zingaretti, nel Lazio per le liste d'attesa «i tempi sono aumentati nel 90% dei casi e nel 50% sono raddoppiati o addirittura triplicati» e «mentre da una parte dava il colpo mortale alla sanità pubblica, dall'altra rimpolpava quella privata». Durissima la conclusione cui giungevano i pentastellati prima di finire nel Conte bis, e che a rileggere rimane di amara attualità: «Zingaretti come commissario straordinario nel Lazio ha realizzato uno straordinario insuccesso, un clamoroso fallimento che continuerà a pesare drammaticamente sui cittadini».
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
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