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2023-10-30
Il lato oscuro di Halloween
(iStock)
«Dolcetto o scherzetto?». Nell’immaginario comune la festa di Halloween è tutta qui: in un innocuo dilemma tra lo zucchero e la burla, caramelle e risate. Sfortunatamente, le cose non sono così semplici e, per quanto la festa sia anzitutto eredità di quella celtica di Samhain, vi sono buoni motivi per starne alla larga. Anzitutto perché è qualcosa di estraneo alla nostra cultura, com’ebbe a denunciare anche un esponente della Chiesa non tacciabile di oscurantismo e di simpatie conservatrici come il cardinal Carlo Maria Martini, che a suo tempo fu molto chiaro rispetto alla necessità di boicottare Halloween – da lui apostrofata come «il brutto scherzo che facciamo alla nostra cultura» – al fine di meglio preservare la tradizione cattolica. «Halloween», ammonì Martini, «è una festa estranea alla nostra tradizione. Una tradizione che ha valori immensi e che deve esser continuata».
Quel che accade nella notte del 31 ottobre è inoltre spesso accompagnato da un’aura sinistra, se non macabra. È così da decenni. Si pensi alla storia delle caramelle avvelenate che verrebbero servite da alcuni malintenzionati ai bambini. Il 28 ottobre 1970, richiamando due episodi però non confermati, il New York Times sollevò la possibilità che, con la scusa del «dolcetto o scherzetto?», qualcuno potesse avvelenare appunto i piccoli; Judy Klemesrud, autrice del pezzo, vagheggiò perfino d’una «lama di rasoio» messa in qualche «mela». Fatto sta che il 31 ottobre 1974, a Houston, un bambino morì sul serio avvelenato: suo padre aveva messo del cianuro in un dolciume.
Su The Conversation, W. Scott Poole, docente di storia, ha scritto che, al di là di qualche caso isolato, gli avvelenamenti con le caramelle sono però una leggenda metropolitana; il che è senza dubbio una buona notizia. Peccato i lati poco piacevoli di Halloween non si fermino qui, dato che sono le cronache a riferire come nella «notte delle streghe» tendano a verificarsi episodi mortali con frequenza notevole.
Per cominciare con l’Italia, nel 2007 la notte di Halloween, a Perugia, fu brutalmente uccisa Meredith Kercher. Era diretto in una discoteca sempre di Perugia e sempre la «notte delle streghe», nel 2011, un autobus finito in una scarpata con circa 50 giovani a bordo. Il 31 ottobre 2017 a New York un attacco terroristico compiuto dal sedicente Stato islamico si è concluso con 8 morti e 16 feriti. Nel 2019, sempre nella stessa fatidica notte, una bimba di 7 anni è rimasta gravemente ferita, a Chicago, da una pallottola vagante mentre faceva «dolcetto o scherzetto?»; è andata peggio a chi era a una festa ad Orinda, in California, dove dopo una sparatoria 4 persone sono rimaste uccise e numerose sono rimaste ferite. Lo scorso anno, una festa di Halloween nel quartiere di Itaewon, a Seul, si è conclusa con una calca soffocante che ha ucciso oltre 150 persone.
Ma questi, si potrebbe obiettare, sono singoli episodi che non provano nulla. Eppure chi si è preso la briga di esaminare i dati ha scoperto che sì, la notte di Halloween è davvero più pericolosa delle altre, risultando sinistramente legata alla morte. Uno studio uscito nel 2019 sulla rivista Jama Pediatrics, con cui si sono consultati i dati della National highway traffic safety administration - per un totale di oltre 1,5 milioni di incidenti stradali, avvenuti tra il 1975 e il 2016 -, ha concluso come il rischio di morte per i pedoni la notte di Halloween sia il 43% più alto. Molti di questi incidenti mortali hanno per vittime bambini, come sottolineato da Christopher Ingraham sul Washington Post. In effetti, quando gli autori dello studio, guidati da John A. Staples dell'Università della British Columbia, hanno esaminato le morti stradali per età, hanno scoperto come la notte di Halloween i pedoni di età compresa tra i quattro e gli otto anni scontino una probabilità 10 volte più elevata d’esser uccisi, rispetto ad altre sere del periodo; un dato che aggrava quello – d’una probabilità di morte 4 volte superiore – già osservato tra il 1975 e il 1996. Sarà perché in quella notte i piccoli escono più numerosi e più a lungo sulle strade? Possibile.
Sta di fatto che, anche là dove non ci scappa il morto, nella «notte delle streghe» ci sono comunque rilevazioni preoccupanti; si pensi a quelle delle forze dell’ordine in Canada in occasione della settimana di Halloween 2008, che hanno registrato - rispetto alla precedente – aumenti del 20% di reati violenti, del’11% di violazioni delle proprietà e del 53% del consumo di stupefacenti. Secondo il criminologo James Alan Fox, già preside della Northeastern University di Boston, «il conteggio dei crimini violenti serali del 31 ottobre» è addirittura «circa il 50% più alto rispetto a qualsiasi altra data dell’anno, e circa il doppio della media giornaliera». Nessuna esagerazione: a Los Angeles nel 2014, quando Halloween cadeva di venerdì, rispetto al solito i crimini sono saliti del 56%.
Sarà anche per questo che un’indagine pubblicata nel 2020 sulla rivista Public Health, pur non registrando l’aumento d’episodi mortali, ha comunque rilevato un maggiore rischio, ad Halloween, d’incidenti, cadute e lesioni, specie tra i giovani maschi. Le cattive notizie non finiscono qui. Un lavoro su Social Science & Medicine, richiamato il simbolismo negativo della «notte delle streghe», ha registrato come essa sia associata a meno nascite, parti cesarei inclusi. Insomma, che la serata del «dolcetto o scherzetto?» sia sinistra pare confermato.
Il punto è che pare essere pure sulfurea. Lo dicono con sorprendente convergenza tante testimonianze di ex satanisti. Si pensi ai racconti di Cristina Kneer e di Eugenio Masias. Oppure a quella di Doreen Irvine, prostituta passata per anni al satanismo e convertitasi poi al cristianesimo, che su Halloween è stata piuttosto esplicita: se i padri sapessero il significato di questa festa, ha detto, non la nominerebbero nemmeno davanti ai loro figli. Dettagliato è anche il resoconto di «Michela», ex satanista ora suora consacrata che nel suo libro - Fuggita da Satana. La mia lotta per scappare dall’Inferno (2007) - ha scritto: «Tra fine ottobre e inizio novembre, ossia nelle notti precedenti Halloween (31 ottobre) e la memoria dei defunti, c’era […] l’unico appuntamento in un cimitero, dove profanavamo le ossa, facendo uno specifico rituale che alla fine le distruggeva».
Anche il celebre esorcista padre Gabriele Amorth definiva «Halloween» come «una trappola del demonio, che le prova tutte». Amorth forse esagerava? Difficile. Anche padre Francesco Bamonte, presidente dell’Associazione internazionale esorcisti, in un’intervista ad Avvenire ha dichiarato che nella sua «esperienza come quella di altri esorcisti» ha visto «come la ricorrenza di Halloween incluso il periodo di tempo che la prepara, sia di fatto per alcuni giovani, un momento privilegiato di contatto con realtà settarie o comunque legate al mondo dell’occultismo, con conseguenze anche gravi non solo sul piano spirituale, ma anche sul piano dell’integrità psicofisica».
In effetti, su quest’ultimo aspetto i dati riportati sono chiari. «È ormai ben noto», ha aggiunto sempre padre Bamonte, «che la ricorrenza di Halloween è nel calendario degli occultisti, dei maghi e dei cultori di satana, una delle “festività” più importanti». Insomma, padre Amorth non esagerava; proprio come non esageravano «Michela» e quanti denunciano i pericoli d’una notte, comunque la si pensi, più violenta e rischiosa delle altre, specie in un mondo, per dirla con Chesterton, in cui non credendo più a Dio ormai si crede a tutto. Diavolo compreso.
«Le sette sfruttano questa ricorrenza per adescare adepti»
Esorcista e consigliere nell’Associazione internazionale esorcisti, nonché animatore generale del Servizio Anti Sette - che assiste le vittime delle sette e i loro familiari - dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata dal servo di Dio don Oreste Benzi, don Aldo Buonaiuto è la persona giusta per farsi un’idea sulle insidie spirituali dietro l’apparentemente gioiosa festa di Halloween. Tanto più che sul tema è autore di varie pubblicazioni, tra cui Halloween, Lo scherzetto del diavolo (Sempre) e Gli artigiani del diavolo (Rubbettino), con la prefazione del Segretario di Stato vaticano, cardinale Parolin.
Don Bonaiuto, quali sono i pericoli di Halloween per i giovani?
«Molti ritengono che i suoi festeggiamenti siano in collegamento con le due ricorrenze di Ognissanti e della commemorazione dei nostri cari Defunti, l’1 e 2 novembre, allo stesso modo in cui il carnevale introduce la Quaresima. In realtà, analizzando l’impostazione attuale del fenomeno “Halloween”, non esiste in esso nulla di religioso o spirituale. Solo il mondo dell’occultismo lo celebra con i propri rituali come grande momento propiziatorio e - a loro dire - di forti energie malefiche. Se un significato pseudo-religioso c’è, in Halloween, è quindi solo in negativo. In questi ultimi decenni il mondo dell’esoterismo ha trasformato questo avvenimento in un rituale collettivo altamente propagandistico, interessando e coinvolgendo i bambini e i giovani. La domanda originaria si è trasformata in: “dolcetto o scherzetto?” ma se ripercorriamo la sua storia e le sue leggende, partendo dalla superstizione celtica, possiamo scoprire che la domanda non era quella odierna, e neanche quella della traduzione letterale “trucco o divertimento?”. Al fine di ingraziarsi la notte di Samahin, il tempo delle tenebre, druidi passavano di casa in casa a chiedere l’offerta con la domanda “maledizione o sacrificio?”»
Lei ha scritto di una «malefica alleanza tra consumismo e fascinazione dell’occulto». Che alleanza è?
«È un’alleanza che non si realizza sempre apertamente, ma in modo subdolo e nascosto sotto una coltre illusoria e fantastica di festa, di divertimento ingenuo e di allegra mascherata. Cosa c’è, sembra suggerirci, di più innocente di qualcosa organizzato per la gioia dei bimbi? Questo evento invece per alcuni non è affatto innocente. È indubbio che Halloween sia diventato sempre più un business partendo già da molti anni negli Stati Uniti diventando tra le più importanti e proficue ricorrenze commerciali. Sarebbe però un errore attribuire il successo di pubblico al solo aspetto ludico commerciale, poiché sotto l’apparenza consumistica si può celare ben altro, purtroppo! Il retroscena di questa “festa” è inquietante».
Perché?
«Il retaggio culturale è antico, affonda le radici nel tempo dei druidi, la casta sacerdotale dei Celti, popolazione indo-europea, di religione pagana. Nella notte di Samhain, il 31 ottobre celebravano il passaggio dalla stagione estiva a quella invernale, e quindi, la sconfitta del dio della luce. Credevano che, in quella notte, le anime dei defunti tornassero in vita per partecipare ai rituali orgiastici e banchettare con i viventi, mascherati nell’occasione con le pelli degli animali appositamente uccisi per la cerimonia. Oggi invece Halloween vuole rendere simpatico il mondo delle tenebre, in modi diversi introduce i giovani all'occulto, allo spiritismo, alla stregoneria, quando non al satanismo, li abitua al “buio” fisico e morale in forma di gioco. Li addestra ad una “cultura di morte”».
Come Servizio Anti Sette, avete da anni un numero verde nazionale (800228866) collegato con la Polizia di Stato per aiutare le vittime delle sette, appunto. Avete avuto casi di giovani che, affascinati dall’occulto in questo periodo dell’anno, si sono avvicinati al mondo delle sette?
«Sì, purtroppo ne abbiamo avuti diversi perché il periodo di Halloween, che inizia dalla fine di settembre, è un’occasione per adescare nuovi adepti. Per i satanisti, per gli adoratori del Male, Halloween è la festa più importante, il Capodanno, il compleanno di Lucifero. Nella notte del 31 ottobre, mentre ingenui ragazzi si incontrano per divertirsi innocentemente quanto allegramente in un gioco sociale, gli occultisti compiono riti sacrileghi, profanano cimiteri, compiono messe nere, usano droghe»
Con la pandemia è cresciuto l’isolamento dei giovani con la permanenza su Internet. Ciò può aver aumentato l’adescamento verso ambienti settari?
«Sicuramente sì, perché la pandemia ha spinto il mondo settario a relazionarsi sempre più, e a volte in modo esclusivo, e quindi senza neanche conoscersi, attraverso il web. Alcune vittime delle sette sono state, e vengono, distrutte da questi circuiti dove l’adepto è spinto ad eseguire ordini e ogni sorta di comandi senza incredibilmente mai conoscere nella realtà i soggetti proponenti».
Che consigli darebbe a dei genitori i cui figli si accingono a festeggiare Halloween truccandosi da streghe o vampiri?
«Mi piace ricordare e rispondere con le parole del Servo di Dio don Oreste Benzi. Nel 2007 scriveva: “Esortate i vostri figli dicendo loro: vuoi giocare e divertirti con i demoni e gli spiriti del male o invece scegli di gioire e far festa con i Santi che sono gli amici simpatici e meravigliosi di Gesù?”».
Anche Francesco ha condannato «la cultura negativa sui morti»
Halloween non piace neppure a papa Francesco. Lo si può dire con certezza alla luce di quanto affermato nel 2019 dal pontefice argentino, che all’Angelus disse: «In questi giorni, in cui, purtroppo, circolano anche messaggi di cultura negativa sulla morte e sui morti». Un riferimento chiarissimo. Del resto i cattolici, anziché uscire la notte del 31 ottobre travestiti da mostri oppure da cadaveri, il giorno successivo hanno un appuntamento assai importante: quello di Ognissanti, la festa di tutti i Santi appunto; una solennità la cui origine - a differenza di quella d’importazione, costruita attorno a «dolcetto o scherzetto?» - affonda nella notte dei tempi. Pare infatti abbia le sue radici nel martirio di Policarno di Smirne, morto nell’anno 155.
Nel suo La liturgia della Chiesa (Jaca Book), Michael Kunzler specifica come la festa di tutti i Santi sia stata all’inizio «promossa dalla Chiesa orientale» per poi essere «accolta a Roma quando il papa Bonifacio IV ebbe dall’ambasciatore Foca il Panteon di Agrippa, che consacrò a tutti i martiri e alla Vergine […] la festa di Ognissanti passò quindi nell’ambiente della corte di Carlo Magno».
Fu allora che il monaco sassone maestro di Carlo Magno, Alcuino di York – al quale dobbiamo, fra le altre cose, l’introduzione nel Canone della messa del Memento dei morti –, traslò la data originaria della festa di Ognissanti, fissata allora al 13 maggio, al 1° novembre. Tale spostamento fu manifestamente finalizzato alla cristianizzazione della festa celtica di Samhain anche se, come abbiamo ricordato poc’anzi, non c’è dubbio che la cultura celtica fosse avviata al tramonto ben prima dell’avvento del cristianesimo, come dimostra il declino, già in tarda antichità, della lingua celtica, che oggi sopravvive in contesti – soprattutto se rapportati al passato – decisamente marginali.
Ad ogni modo l’intuizione di Alcuino di York venne ripresa, su richiesta di papa Gregorio IV, dall’imperatore Ludovico il Pio. Ma fu soltanto secoli dopo – precisamente nel 1475 – e grazie al pontefice Sisto IV, che la festività di Ognissanti resa obbligatoria in tutta la Chiesa. E non mancarono, nel corso dei secoli successivi, ulteriori metamorfosi, ma ciò che qui rileva è che quella di Ognissanti è una festa antica, rilevante e che merita quindi di essere osservata dai credenti e non confusa con altre festività.
Anche perché, come dice il nome stesso – e come ebbe a sottolineare nel 2006 papa Ratzinger – in occasione di tale solennità «la liturgia ci invita a condividere il gaudio celeste dei santi, ad assaporarne la gioia. I santi non sono una esigua casta di eletti, ma una folla senza numero, verso la quale la liturgia ci esorta oggi a levare lo sguardo». «In tale moltitudine», aggiunse ancora il pontefice tedesco, «non vi sono soltanto i santi ufficialmente riconosciuti, ma i battezzati di ogni epoca e nazione, che hanno cercato di compiere con amore e fedeltà la volontà divina. Della gran parte di essi non conosciamo i volti e nemmeno i nomi, ma con gli occhi della fede li vediamo risplendere, come astri pieni di gloria, nel firmamento di Dio». Altro che «dolcetto o scherzetto?».
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La festa, estranea alla nostra tradizione, ha risvolti inquietanti: il numero di incidenti mortali e crimini supera quello degli altri giorni dell’anno.«Le sette sfruttano questa ricorrenza per adescare adepti». L’esorcista don Aldo Bonaiuto: «Per i satanisti questi sono giorni determinanti. E con la pandemia i giovani sono diventati più manipolabili».Anche Francesco ha condannato «la cultura negativa sui morti». L’alternativa cattolica a mostri e cadaveri è la solennità di Ognissanti, che risale al 155.Lo speciale comprende tre articoli.«Dolcetto o scherzetto?». Nell’immaginario comune la festa di Halloween è tutta qui: in un innocuo dilemma tra lo zucchero e la burla, caramelle e risate. Sfortunatamente, le cose non sono così semplici e, per quanto la festa sia anzitutto eredità di quella celtica di Samhain, vi sono buoni motivi per starne alla larga. Anzitutto perché è qualcosa di estraneo alla nostra cultura, com’ebbe a denunciare anche un esponente della Chiesa non tacciabile di oscurantismo e di simpatie conservatrici come il cardinal Carlo Maria Martini, che a suo tempo fu molto chiaro rispetto alla necessità di boicottare Halloween – da lui apostrofata come «il brutto scherzo che facciamo alla nostra cultura» – al fine di meglio preservare la tradizione cattolica. «Halloween», ammonì Martini, «è una festa estranea alla nostra tradizione. Una tradizione che ha valori immensi e che deve esser continuata».Quel che accade nella notte del 31 ottobre è inoltre spesso accompagnato da un’aura sinistra, se non macabra. È così da decenni. Si pensi alla storia delle caramelle avvelenate che verrebbero servite da alcuni malintenzionati ai bambini. Il 28 ottobre 1970, richiamando due episodi però non confermati, il New York Times sollevò la possibilità che, con la scusa del «dolcetto o scherzetto?», qualcuno potesse avvelenare appunto i piccoli; Judy Klemesrud, autrice del pezzo, vagheggiò perfino d’una «lama di rasoio» messa in qualche «mela». Fatto sta che il 31 ottobre 1974, a Houston, un bambino morì sul serio avvelenato: suo padre aveva messo del cianuro in un dolciume. Su The Conversation, W. Scott Poole, docente di storia, ha scritto che, al di là di qualche caso isolato, gli avvelenamenti con le caramelle sono però una leggenda metropolitana; il che è senza dubbio una buona notizia. Peccato i lati poco piacevoli di Halloween non si fermino qui, dato che sono le cronache a riferire come nella «notte delle streghe» tendano a verificarsi episodi mortali con frequenza notevole.Per cominciare con l’Italia, nel 2007 la notte di Halloween, a Perugia, fu brutalmente uccisa Meredith Kercher. Era diretto in una discoteca sempre di Perugia e sempre la «notte delle streghe», nel 2011, un autobus finito in una scarpata con circa 50 giovani a bordo. Il 31 ottobre 2017 a New York un attacco terroristico compiuto dal sedicente Stato islamico si è concluso con 8 morti e 16 feriti. Nel 2019, sempre nella stessa fatidica notte, una bimba di 7 anni è rimasta gravemente ferita, a Chicago, da una pallottola vagante mentre faceva «dolcetto o scherzetto?»; è andata peggio a chi era a una festa ad Orinda, in California, dove dopo una sparatoria 4 persone sono rimaste uccise e numerose sono rimaste ferite. Lo scorso anno, una festa di Halloween nel quartiere di Itaewon, a Seul, si è conclusa con una calca soffocante che ha ucciso oltre 150 persone. Ma questi, si potrebbe obiettare, sono singoli episodi che non provano nulla. Eppure chi si è preso la briga di esaminare i dati ha scoperto che sì, la notte di Halloween è davvero più pericolosa delle altre, risultando sinistramente legata alla morte. Uno studio uscito nel 2019 sulla rivista Jama Pediatrics, con cui si sono consultati i dati della National highway traffic safety administration - per un totale di oltre 1,5 milioni di incidenti stradali, avvenuti tra il 1975 e il 2016 -, ha concluso come il rischio di morte per i pedoni la notte di Halloween sia il 43% più alto. Molti di questi incidenti mortali hanno per vittime bambini, come sottolineato da Christopher Ingraham sul Washington Post. In effetti, quando gli autori dello studio, guidati da John A. Staples dell'Università della British Columbia, hanno esaminato le morti stradali per età, hanno scoperto come la notte di Halloween i pedoni di età compresa tra i quattro e gli otto anni scontino una probabilità 10 volte più elevata d’esser uccisi, rispetto ad altre sere del periodo; un dato che aggrava quello – d’una probabilità di morte 4 volte superiore – già osservato tra il 1975 e il 1996. Sarà perché in quella notte i piccoli escono più numerosi e più a lungo sulle strade? Possibile. Sta di fatto che, anche là dove non ci scappa il morto, nella «notte delle streghe» ci sono comunque rilevazioni preoccupanti; si pensi a quelle delle forze dell’ordine in Canada in occasione della settimana di Halloween 2008, che hanno registrato - rispetto alla precedente – aumenti del 20% di reati violenti, del’11% di violazioni delle proprietà e del 53% del consumo di stupefacenti. Secondo il criminologo James Alan Fox, già preside della Northeastern University di Boston, «il conteggio dei crimini violenti serali del 31 ottobre» è addirittura «circa il 50% più alto rispetto a qualsiasi altra data dell’anno, e circa il doppio della media giornaliera». Nessuna esagerazione: a Los Angeles nel 2014, quando Halloween cadeva di venerdì, rispetto al solito i crimini sono saliti del 56%.Sarà anche per questo che un’indagine pubblicata nel 2020 sulla rivista Public Health, pur non registrando l’aumento d’episodi mortali, ha comunque rilevato un maggiore rischio, ad Halloween, d’incidenti, cadute e lesioni, specie tra i giovani maschi. Le cattive notizie non finiscono qui. Un lavoro su Social Science & Medicine, richiamato il simbolismo negativo della «notte delle streghe», ha registrato come essa sia associata a meno nascite, parti cesarei inclusi. Insomma, che la serata del «dolcetto o scherzetto?» sia sinistra pare confermato. Il punto è che pare essere pure sulfurea. Lo dicono con sorprendente convergenza tante testimonianze di ex satanisti. Si pensi ai racconti di Cristina Kneer e di Eugenio Masias. Oppure a quella di Doreen Irvine, prostituta passata per anni al satanismo e convertitasi poi al cristianesimo, che su Halloween è stata piuttosto esplicita: se i padri sapessero il significato di questa festa, ha detto, non la nominerebbero nemmeno davanti ai loro figli. Dettagliato è anche il resoconto di «Michela», ex satanista ora suora consacrata che nel suo libro - Fuggita da Satana. La mia lotta per scappare dall’Inferno (2007) - ha scritto: «Tra fine ottobre e inizio novembre, ossia nelle notti precedenti Halloween (31 ottobre) e la memoria dei defunti, c’era […] l’unico appuntamento in un cimitero, dove profanavamo le ossa, facendo uno specifico rituale che alla fine le distruggeva».Anche il celebre esorcista padre Gabriele Amorth definiva «Halloween» come «una trappola del demonio, che le prova tutte». Amorth forse esagerava? Difficile. Anche padre Francesco Bamonte, presidente dell’Associazione internazionale esorcisti, in un’intervista ad Avvenire ha dichiarato che nella sua «esperienza come quella di altri esorcisti» ha visto «come la ricorrenza di Halloween incluso il periodo di tempo che la prepara, sia di fatto per alcuni giovani, un momento privilegiato di contatto con realtà settarie o comunque legate al mondo dell’occultismo, con conseguenze anche gravi non solo sul piano spirituale, ma anche sul piano dell’integrità psicofisica». In effetti, su quest’ultimo aspetto i dati riportati sono chiari. «È ormai ben noto», ha aggiunto sempre padre Bamonte, «che la ricorrenza di Halloween è nel calendario degli occultisti, dei maghi e dei cultori di satana, una delle “festività” più importanti». Insomma, padre Amorth non esagerava; proprio come non esageravano «Michela» e quanti denunciano i pericoli d’una notte, comunque la si pensi, più violenta e rischiosa delle altre, specie in un mondo, per dirla con Chesterton, in cui non credendo più a Dio ormai si crede a tutto. 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Tanto più che sul tema è autore di varie pubblicazioni, tra cui Halloween, Lo scherzetto del diavolo (Sempre) e Gli artigiani del diavolo (Rubbettino), con la prefazione del Segretario di Stato vaticano, cardinale Parolin. Don Bonaiuto, quali sono i pericoli di Halloween per i giovani? «Molti ritengono che i suoi festeggiamenti siano in collegamento con le due ricorrenze di Ognissanti e della commemorazione dei nostri cari Defunti, l’1 e 2 novembre, allo stesso modo in cui il carnevale introduce la Quaresima. In realtà, analizzando l’impostazione attuale del fenomeno “Halloween”, non esiste in esso nulla di religioso o spirituale. Solo il mondo dell’occultismo lo celebra con i propri rituali come grande momento propiziatorio e - a loro dire - di forti energie malefiche. Se un significato pseudo-religioso c’è, in Halloween, è quindi solo in negativo. In questi ultimi decenni il mondo dell’esoterismo ha trasformato questo avvenimento in un rituale collettivo altamente propagandistico, interessando e coinvolgendo i bambini e i giovani. La domanda originaria si è trasformata in: “dolcetto o scherzetto?” ma se ripercorriamo la sua storia e le sue leggende, partendo dalla superstizione celtica, possiamo scoprire che la domanda non era quella odierna, e neanche quella della traduzione letterale “trucco o divertimento?”. Al fine di ingraziarsi la notte di Samahin, il tempo delle tenebre, druidi passavano di casa in casa a chiedere l’offerta con la domanda “maledizione o sacrificio?”» Lei ha scritto di una «malefica alleanza tra consumismo e fascinazione dell’occulto». Che alleanza è? «È un’alleanza che non si realizza sempre apertamente, ma in modo subdolo e nascosto sotto una coltre illusoria e fantastica di festa, di divertimento ingenuo e di allegra mascherata. Cosa c’è, sembra suggerirci, di più innocente di qualcosa organizzato per la gioia dei bimbi? Questo evento invece per alcuni non è affatto innocente. È indubbio che Halloween sia diventato sempre più un business partendo già da molti anni negli Stati Uniti diventando tra le più importanti e proficue ricorrenze commerciali. Sarebbe però un errore attribuire il successo di pubblico al solo aspetto ludico commerciale, poiché sotto l’apparenza consumistica si può celare ben altro, purtroppo! Il retroscena di questa “festa” è inquietante». Perché? «Il retaggio culturale è antico, affonda le radici nel tempo dei druidi, la casta sacerdotale dei Celti, popolazione indo-europea, di religione pagana. Nella notte di Samhain, il 31 ottobre celebravano il passaggio dalla stagione estiva a quella invernale, e quindi, la sconfitta del dio della luce. Credevano che, in quella notte, le anime dei defunti tornassero in vita per partecipare ai rituali orgiastici e banchettare con i viventi, mascherati nell’occasione con le pelli degli animali appositamente uccisi per la cerimonia. Oggi invece Halloween vuole rendere simpatico il mondo delle tenebre, in modi diversi introduce i giovani all'occulto, allo spiritismo, alla stregoneria, quando non al satanismo, li abitua al “buio” fisico e morale in forma di gioco. Li addestra ad una “cultura di morte”». Come Servizio Anti Sette, avete da anni un numero verde nazionale (800228866) collegato con la Polizia di Stato per aiutare le vittime delle sette, appunto. Avete avuto casi di giovani che, affascinati dall’occulto in questo periodo dell’anno, si sono avvicinati al mondo delle sette? «Sì, purtroppo ne abbiamo avuti diversi perché il periodo di Halloween, che inizia dalla fine di settembre, è un’occasione per adescare nuovi adepti. Per i satanisti, per gli adoratori del Male, Halloween è la festa più importante, il Capodanno, il compleanno di Lucifero. Nella notte del 31 ottobre, mentre ingenui ragazzi si incontrano per divertirsi innocentemente quanto allegramente in un gioco sociale, gli occultisti compiono riti sacrileghi, profanano cimiteri, compiono messe nere, usano droghe» Con la pandemia è cresciuto l’isolamento dei giovani con la permanenza su Internet. Ciò può aver aumentato l’adescamento verso ambienti settari? «Sicuramente sì, perché la pandemia ha spinto il mondo settario a relazionarsi sempre più, e a volte in modo esclusivo, e quindi senza neanche conoscersi, attraverso il web. Alcune vittime delle sette sono state, e vengono, distrutte da questi circuiti dove l’adepto è spinto ad eseguire ordini e ogni sorta di comandi senza incredibilmente mai conoscere nella realtà i soggetti proponenti». Che consigli darebbe a dei genitori i cui figli si accingono a festeggiare Halloween truccandosi da streghe o vampiri? «Mi piace ricordare e rispondere con le parole del Servo di Dio don Oreste Benzi. Nel 2007 scriveva: “Esortate i vostri figli dicendo loro: vuoi giocare e divertirti con i demoni e gli spiriti del male o invece scegli di gioire e far festa con i Santi che sono gli amici simpatici e meravigliosi di Gesù?”». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-lato-oscuro-di-halloween-2666095206.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="anche-francesco-ha-condannato-la-cultura-negativa-sui-morti" data-post-id="2666095206" data-published-at="1698622637" data-use-pagination="False"> Anche Francesco ha condannato «la cultura negativa sui morti» Halloween non piace neppure a papa Francesco. Lo si può dire con certezza alla luce di quanto affermato nel 2019 dal pontefice argentino, che all’Angelus disse: «In questi giorni, in cui, purtroppo, circolano anche messaggi di cultura negativa sulla morte e sui morti». Un riferimento chiarissimo. Del resto i cattolici, anziché uscire la notte del 31 ottobre travestiti da mostri oppure da cadaveri, il giorno successivo hanno un appuntamento assai importante: quello di Ognissanti, la festa di tutti i Santi appunto; una solennità la cui origine - a differenza di quella d’importazione, costruita attorno a «dolcetto o scherzetto?» - affonda nella notte dei tempi. Pare infatti abbia le sue radici nel martirio di Policarno di Smirne, morto nell’anno 155. Nel suo La liturgia della Chiesa (Jaca Book), Michael Kunzler specifica come la festa di tutti i Santi sia stata all’inizio «promossa dalla Chiesa orientale» per poi essere «accolta a Roma quando il papa Bonifacio IV ebbe dall’ambasciatore Foca il Panteon di Agrippa, che consacrò a tutti i martiri e alla Vergine […] la festa di Ognissanti passò quindi nell’ambiente della corte di Carlo Magno». Fu allora che il monaco sassone maestro di Carlo Magno, Alcuino di York – al quale dobbiamo, fra le altre cose, l’introduzione nel Canone della messa del Memento dei morti –, traslò la data originaria della festa di Ognissanti, fissata allora al 13 maggio, al 1° novembre. Tale spostamento fu manifestamente finalizzato alla cristianizzazione della festa celtica di Samhain anche se, come abbiamo ricordato poc’anzi, non c’è dubbio che la cultura celtica fosse avviata al tramonto ben prima dell’avvento del cristianesimo, come dimostra il declino, già in tarda antichità, della lingua celtica, che oggi sopravvive in contesti – soprattutto se rapportati al passato – decisamente marginali. Ad ogni modo l’intuizione di Alcuino di York venne ripresa, su richiesta di papa Gregorio IV, dall’imperatore Ludovico il Pio. Ma fu soltanto secoli dopo – precisamente nel 1475 – e grazie al pontefice Sisto IV, che la festività di Ognissanti resa obbligatoria in tutta la Chiesa. E non mancarono, nel corso dei secoli successivi, ulteriori metamorfosi, ma ciò che qui rileva è che quella di Ognissanti è una festa antica, rilevante e che merita quindi di essere osservata dai credenti e non confusa con altre festività. Anche perché, come dice il nome stesso – e come ebbe a sottolineare nel 2006 papa Ratzinger – in occasione di tale solennità «la liturgia ci invita a condividere il gaudio celeste dei santi, ad assaporarne la gioia. I santi non sono una esigua casta di eletti, ma una folla senza numero, verso la quale la liturgia ci esorta oggi a levare lo sguardo». «In tale moltitudine», aggiunse ancora il pontefice tedesco, «non vi sono soltanto i santi ufficialmente riconosciuti, ma i battezzati di ogni epoca e nazione, che hanno cercato di compiere con amore e fedeltà la volontà divina. Della gran parte di essi non conosciamo i volti e nemmeno i nomi, ma con gli occhi della fede li vediamo risplendere, come astri pieni di gloria, nel firmamento di Dio». Altro che «dolcetto o scherzetto?».
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Prima di essere lapidati da musicofili inflessibili o da fanatici ammiratori di Beethoven (lo siamo anche noi) lasciamo allo stesso Ludwig Vchean l’ultima parola sull’argomento: «Solo i puri di cuore», affermò il genio tedesco, «possono cucinare una buona zuppa». Capito? Il sommo compositore a tavola amava i piatti semplici e disprezzava quelli troppo complicati. Adorava la zuppa, soprattutto quella di pane e uova: era il suo piatto preferito insieme ai maccheroni con il formaggio. Era sordo, ma le papille gustative gli funzionavano alla grande.
Una vera e propria zuppa di verdure musicale la serve al pubblico un gruppo austriaco formato da musicisti, designer, scenografi, autori. Si chiama The Vegetable Orchestra, che usa le verdure come strumenti musicali: una carota intagliata in una certa maniera diventa un flauto, la zucca uno strumento di percussione, le melanzane diventano dopo un sapiente lavoro di intaglio delle nacchere, le zucchine strumenti a fiato e così via. Con questi strumenti suonano pezzi di jazz o di dub, un genere musicale che deriva dal reggae giamaicano, e altra musica. Finito il concerto, dopo gli applausi del pubblico stupito da tanta musica «verde», i musicisti si trasformano in cuochi, gettano gli strumenti in pentoloni e preparano una bella zuppa per il pubblico dopo aver lavato gli strumenti, soprattutto quelli a fiato.
La zuppa vanta una storia vecchia come l’homo sapiens. Fu uno dei primi piatti elaborati dai nostri cavernicoli progenitori centinaia di migliaia di anni fa. Gli studiosi del periodo paleolitico ci documentano che la scoperta dell’acqua calda e il suo impiego per cuocere verdure e altri cibi avvenne nell’età della pietra antica, in incavi di roccia pieni d’acqua nella quale gli uomini primitivi tuffavano pietre roventi per farla bollire. Fu così che nacquero i primi minestroni. La parola «zuppa» arriverà molti millenni dopo, ma sempre in tempi molto antichi rispetto a noi, mutuata dal termine germanico suppa che definiva la fetta di pane inzuppata. Il pane era nell’antichità il cucchiaio dei poveri, le dita della mano la forchetta. La «posateria» delle classi più umili era tutta lì. Una sorta di brodaglia nera molto spartana chiamata melas zomos, nera zuppa, fatta con sangue di porco, budella e vino era la zuppa dei duri soldati di Sparta. A loro, che non cercavano mollezze, piaceva così, brutta da vedere ma semplice e nutriente, adatta a sostenere il fisico durante le campagne militari. Spostandoci in altre parti dell’antica penisola ellenica troviamo una cucina meno rigorosa, ma sempre con un menu nel quale zuppe e piatti brodosi a base di verdure, cereali, erbe spontanee e legumi vari, abbondavano.
Cotture e metodi a parte, quelle preparazioni sono le bis-bis-bisnonne delle zuppe che mangiamo noi oggi fatte, come allora, con cereali tipo orzo e farro, o con legumi, ceci, lenticchie, fave. Borlotti e cannellini erano al di là dell’Atlantico che aspettavano di essere scoperti. Il Phaseolus vulgaris arriverà dopo i viaggi di Colombo e degli altri viaggiatori su caravelle dirette verso il Nuovo mondo. Dalla Grecia a Roma le zuppe sostanzialmente non cambiano: erano piatti che facevano parte della dieta quotidiana dei Romani. Fonti di proteine e nutrienti, erano il comfort food delle classi plebee e dei contadini. Tra le altre zuppe, i legionari amavano quella fatta con pane, aglio, olio e aceto. Furono loro a introdurla in Spagna dove si evolverà fino a diventare il moderno gazpacho, zuppa fredda che si arricchì dal Cinquecento in poi con il pomodoro e i peperoni venuti dall’America.
Una zuppa leggendaria è la soupe à la pavoise, la zuppa pavese, che ha trovato posto nei libri di storia gastronomica dove si racconta di Francesco I di Valois, re di Francia sconfitto e fatto prigioniero dagli spagnoli di Carlo V nella battaglia di Pavia del 24 febbraio 1525. L’accasciato François du grand nez, come lo chiamavano i suoi sudditi per via del nasone che gli troneggiava sopra la bocca, fu portato dai nemici vincitori in un cascinale di campagna dove trovò ristoro e consolazione nella povera zuppa preparatogli dalla contadina del casolare che mise in una rozza scodella due croste di pane raffermo sopra le quali scocciò un uovo versando poi sul tutto il brodo bollente di erbe spontanee che gorgogliava quotidianamente nella marmitta sul camino. Francesco I, con il morale a terra per la sconfitta («Tutto è perduto fuorché l’onore»), apprezzò talmente quella zuppa villana che quando ritornò sul trono convocò i cuochi di corte insegnando loro la ricetta della zuppa pavese che fu perfezionata dagli chef i quali aggiunsero altri ingredienti ricchi elevandola da contadina che era ad aristocratica.
C’è da dire che la zuppa in Francia troverà il successo che merita grazie a una figura più leggendaria che reale, tale Monsieur Boulanger marchand de bouillon, mercante di brodo. Siamo a Parigi 25 anni prima della presa della Bastiglia e dello scoppio della rivoluzione. Il mitico Boulanger vende zuppe restaurateurs, restauratrici, che sistemano lo stomaco dei clienti cagionevoli rimettendoli in salute in un ambiente tutto sommato comodo con i tavoli accoglienti. Nasce da queste zuppe il restaurant, il ristorante che prende il nome dal ristoro, il conforto, che regalano le zuppe. Dando ragione in questo all’antico e saggio proverbio italiano regalatoci dalla civiltà contadina fin dal Medioevo: «Sette cose fa la zuppa: cava la fame e la sete tutta, empie il ventre, netta il dente, fa dormire, fa smaltire e la guancia fa arrossire».
Il più alto riconoscimento a questo piatto umile ma tanto utile alla sopravvivenza della povera umanità, lo firmano, tra gli altri, alcuni grandi artisti moderni: Paul Cézanne con la sua Natura morta con zuppiera (1884), Pablo Picasso che affronta il tema della povertà ne La zuppa, opera del periodo blu che mostra una vecchia paurosamente magra che porge una scodella di zuppa a una bambina, ma soprattutto Andy Warhol. Il re della Pop art che confessò di aver mangiato a pranzo per vent’anni i barattoloni di zuppa Campbell’s rivoluzionò i concetti di natura morta e di bellezza immortalando le stesse lattine zuppesche in una serie di opere seriali la più importante delle quali è la Campbell’s Soup Cans che presenta tutta la produzione di zuppe della Cambell’s: al pomodoro, agli asparagi, alla carne, al pollo, ai fagioli neri, e così via per 200 volte. Paradossalmente a dare importanza alla zuppa nell’arte sono stati anche le attiviste per il clima che il 28 gennaio dello scorso anno lanciarono la zuppa contro la Gioconda di Leonardo, ben protetta dal vetro antiguai, invocando un’agricoltura mondiale sana.
È profondamente ingiusto nei confronti della zuppa il detto «Se non è zuppa è pan bagnato». Come sopra detto la zuppa è salvifica, ristoratrice, ristoro e medicina attraverso i secoli dell’umanità misera. E poi la famiglia zuppesca è molto varia. Oltre alla zuppa-madre ci sono la minestra, il minestrone, la crema, la vellutata, il passato. Non sono sinonimi, ogni piatto ha la sua caratteristica che riguarda gli ingredienti e le tecniche di preparazione per le quali rimandiamo ai libri di cucina.
Concludiamo con la mistica zen. Un allievo chiede al maestro: «Cosa devo fare per raggiungere l’Illuminazione?». Gli risponde il maestro: «Hai mangiato la zuppa?» «Sì». «Allora lava la scodella».
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Gabriele D'Annunzio (Ansa)
Il patrimonio mondiale dell’umanità rappresentato dalla cucina italiana sarà pure «immateriale», come da definizione Unesco, ma è fatto di carne, ossa, talento e creatività. È il risultato delle centinaia di migliaia di persone che, nel corso dei secoli e dei millenni, hanno affinato tecniche, scoperto ingredienti, assemblato gusti, allevato animali con amore e coltivato la terra con altrettanta dedizione. Insomma, dietro la cucina italiana ci sono... gli italiani.
Ed è a tutti questi peones e protagonisti della nostra storia che il riconoscimento va intestato. Ma anche a chi assapora le pietanze in un ristorante, in un bistrot o in un agriturismo. Alla fine, se ci si pensa, la cucina italiana siamo tutti noi: sono i grandi chef come le mamme o le nonne che si danno da fare tra le padelle della cucina. Sono i clienti dei ristoranti, gli amanti dei formaggi come dei salumi. Sono i giornalisti che fanno divulgazione, sono i fotografi che immortalano i piatti, sono gli scrittori che dedicano pagine e pagine delle loro opere ai manicaretti preferiti dal protagonista di questo o quel romanzo. Insomma, la cucina è cultura, identità, passato e anche futuro.
Giancarlo Saran, gastropenna di questo giornale, ha dato alle stampe Peccatori di gola 2 (Bolis edizioni, 18 euro, seguito del fortunato libro uscito nel 2024 vincitore del Premio selezione Bancarella cucina), volume contenente 13 ritratti di personaggi di spicco del mondo dell’italica buona tavola («Un viaggio curioso e goloso tra tavola e dintorni, con illustri personaggi del Novecento compresi alcuni insospettabili», sentenzia l’autore sulla quarta di copertina). Ci sono il «fotografo» Bob Noto e l’attore Ugo Tognazzi, l’imprenditore Giancarlo Ligabue e gli scrittori Gabriele D’Annunzio, Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. E poi ancora Lella Fabrizi (la sora Lella), Luciano Pavarotti, Pietro Marzotto, Gianni Frasi, Alfredo Beltrame, Giuseppe Maffioli, Pellegrino Artusi.
Un giro d’Italia culinario, quello di Saran, che testimonia come il riconoscimento Unesco potrebbe dare ulteriore valore al nostro made in Italy, con risvolti di vario tipo: rispetto dell’ambiente e delle nostre tradizioni, volano per l’economia e per il turismo, salvaguardia delle radici dal pericolo di una appiattente omologazione sociale e culturale. Sfogliando Peccatori 2, si può possono scovare, praticamente a ogni pagina, delle chicche. Tipo, la passione di D’Annunzio per le uova e la frittata. Scrive Saran: «D’Annunzio aveva un’esperienza indelebile legata alle frittate, che ebbe occasione di esercitare in diretta nelle giornate di vacanza a Francavilla con i suoi giovani compagni di ventura in cui, a rotazione, erano chiamati “l’uno a sfamare tutti gli altri”. Lasciamogli la cronaca in diretta. Chi meglio di lui. “In un pomeriggio di luglio ci attardavamo nella delizia del bagno quando mi fu rammentato, con le voci della fame, toccare a me le cura della cucina”. La affronta come si deve. “Non mancai di avvolgermi in una veste di lino rapita a Ebe”, la dea della giovinezza, “e di correre verso la vasta dimora costruita di tufo e adornata di maioliche paesane”. Non c’è storia: “Ruppi trentatré uova e, dopo averle sbattute, le agguagliai (mischiai) nella padella dal manico di ferro lungo come quello di una chitarra”. La notte è illuminata dal chiaro di luna che si riflette sulle onde, silenziose in attesa, e fu così che “adunai la sapienza e il misurato vigore... e diedi il colpo attentissimo a ricevere la frittata riversa”. Ma nulla da fare, questa, volando nel cielo non ricadde a terra, ovvero sulla padella. E qui avviene il miracolo laico. “Nel volgere gli occhi al cielo scorsi nel bagliore del novilunio la tunica e l’ala di un angelo”. Il finale conseguente. “L’angelo, nel passaggio, aveva colta la frittata in aria, l’aveva rapita, la sosteneva con le dita” con la missione imperativa di recarla ai Beati, “offerta di perfezione terrestre...”, di cui lui era stato (seppur involontario) protagonista. “Io mi vanto maestro insuperabile nell’arte della frittata per riconoscimento celestiale”.
La buona e sana cucina, dunque, ha come traino produttori e ristoratori «ma ancor più valore aggiunto deriva da degni ambasciatori e, con questo, i Peccatori di gola credo meritino piena assoluzione», conclude l’autore.
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Dal primo luglio 2026, in tutta l’Unione europea entrerà in vigore un contributo fisso di tre euro per ciascun prodotto acquistato su internet e spedito da Paesi extra-Ue, quando il valore della spedizione è inferiore a 150 euro. L’orientamento politico era stato definito già il mese scorso; la riunione di ieri del Consiglio Ecofin (12 dicembre) ne ha reso operativa l’applicazione, stabilendone i criteri.
Il prelievo di 3 euro si applicherà alle merci in ingresso nell’Unione europea per le quali i venditori extra-Ue risultano registrati allo sportello unico per le importazioni (Ioss) ai fini Iva. Secondo fonti di Bruxelles, questo perimetro copre «il 93% di tutti i flussi di e-commerce verso l’Ue».
In realtà, la misura non viene presentata direttamente come un’iniziativa mirata contro la Cina, anche se è dalla Repubblica Popolare che proviene la quota maggiore di pacchi. Una delle preoccupazioni tra i ministri è che parte della merce venga immessa nel mercato unico a prezzi artificialmente bassi, anche attraverso pratiche di sottovalutazione, per aggirare le tariffe che si applicano invece alle spedizioni oltre i 150 euro. La Commissione europea stima che nel 2024 il 91% delle spedizioni e-commerce sotto i 150 euro sia arrivato dalla Cina; inoltre, valutazioni Ue indicano che fino al 65% dei piccoli pacchi in ingresso potrebbe essere dichiarato a un valore inferiore al reale per evitare i dazi doganali.
«La decisione sui dazi doganali per i piccoli pacchi in arrivo nell’Ue è importante per garantire una concorrenza leale ai nostri confini nell’era odierna dell’e-commerce», ha detto il commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič. Secondo il politico slovacco, «con la rapida espansione dell’e-commerce, il mondo sta cambiando rapidamente e abbiamo bisogno degli strumenti giusti per stare al passo».
La decisione finale da parte di Bruxelles arriva dopo un iter normativo lungo cinque anni. La Commissione europea aveva messo sul tavolo, nel maggio 2023, la cancellazione dell’esenzione dai dazi doganali per i pacchi con valore inferiore a 150 euro, inserendola nel pacchetto di riforma doganale. Nella versione originaria, l’entrata in vigore era prevista non prima della metà del 2028. Successivamente, il Consiglio ha formalizzato l’abolizione dell’esenzione il 13 novembre 2025, chiedendo però di anticipare l’applicazione già al 2026.
C’è poi un secondo balzello messo a punto dall’esecutivo Meloni. Si tratta di un emendamento che prevede l’introduzione di un contributo fisso di due euro per ogni pacco spedito con valore dichiarato fino a 150 euro.
La misura, però, non sarebbe limitata ai soli invii provenienti da Paesi extra-Ue. Rispetto alle ipotesi circolate in precedenza, l’impostazione è stata ampliata: se approvata, la tassa finirebbe per applicarsi a tutte le spedizioni di piccoli pacchi, indipendentemente dall’origine, quindi anche a quelle spedite dall’Italia. In origine, l’idea sembrava mirata soprattutto a intercettare le micro-spedizioni generate da piattaforme come Shein o Temu. Il punto, però, è che colpire esclusivamente i pacchi extra-europei avrebbe reso la misura assimilabile a un dazio, materia che rientra nella competenza dell’Unione europea e non dei singoli Stati membri. Per evitare questo profilo di incompatibilità, l’emendamento alla manovra 2026 ha quindi «generalizzato» il prelievo, estendendolo all’intero perimetro delle spedizioni. L’effetto pratico è evidente: la tassa non impatterebbe solo sulle piattaforme asiatiche, ma anche sugli acquisti effettuati su Amazon, eBay e, in generale, su qualsiasi negozio online che spedisca pacchi entro quella soglia di valore dichiarato.
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Ansa
Insomma: il vento è cambiato. E non spinge più la solita, ingombrante, vela francese che negli ultimi anni si era abituata a intendere l’Italia come un’estensione naturale della Rive Gauche.
E invece no. Il pendolo torna indietro. E con esso tornano anche ricordi e fantasie: Piersilvio Berlusconi sogna la Francia. Non quella dei consessi istituzionali, ma quella di quando suo padre, l’unico che sia riuscito a esportare il varietà italiano oltre le Alpi, provò l’avventura di La Cinq.
Una televisione talmente avanti che il presidente socialista François Mitterrand, per non farla andare troppo lontano, decise di spegnerla. Letteralmente.
Erano gli anni in cui gli italiani facevano shopping nella grandeur: Gianni Agnelli prese una quota di Danone e Raul Gardini mise le mani sul più grande zuccherificio francese, giusto per far capire che il gusto per il raffinato non ci era mai mancato. Oggi al massimo compriamo qualche croissant a prezzo pieno.
Dunque, Berlusconi – quello junior, stavolta – può dirlo senza arrossire: «La Francia sarebbe un sogno». Si guarda intorno, valuta, misura il terreno: Tf1 e M6.
La prima, dice, «ha una storia imprenditoriale solida»: niente da dire, anche le fortezze hanno i loro punti deboli. Con la seconda, «una finta opportunità». Tradotto: l’affare che non c’è, ma che ti fa perdere lo stesso due settimane di telefonate.
Il vero punto, però, è che mentre noi guardiamo a Parigi, Parigi si deve rassegnare. Lo dimostra il clamoroso stop di Crédit Agricole su Bpm, piantato lì come un cartello stradale: «Fine delle ambizioni». Con Bank of America che conferma la raccomandazione «Buy» su Mps e alza il target price a 11 euro. E non c’è solo questo. Natixis ha dovuto rinunciare alla cassaforte di Generali dov’è conservata buona parte del risparmio degli italiani. Vivendi si è ritirata. Tim è tornata italiana.
Il pendolo, dicevamo, ha cambiato asse. E spinge ben più a Ovest. Certo Parigi rimane il più importante investitore estero in Italia. Ma il vento della geopolitica e cambiato. Il nuovo asse si snoda tra Washington e Roma Gli americani non stanno bussando alla porta: sono già entrati.
E non con due spicci.
Ieri le due sigle più «Miami style» che potessero atterrare nel dossier Ilva – Bedrock Industries e Flacks Group – hanno presentato le loro offerte. Americani entrambi. Dall’odore ancora fresco di oceano, baseball e investimenti senza fronzoli.
E non è un caso isolato.
In Italia operano oltre 2.700 imprese a partecipazione statunitense, che generano 400.000 posti di lavoro. Non esattamente compratori di souvenir. Sono radicati nei capannoni, nella logistica, nelle tecnologie, nei servizi, nella manifattura. Un pezzo intero di economia reale. Poi c’è il capitolo dei giganti della finanza globale: BlackRock, Vanguard, i soliti nomi che quando entrano in una stanza fanno più rumore del tuono. Hanno fiutato l’aria e annusato l’Italia come fosse un tartufo bianco d’Alba: raro, caro e conveniente.
Gli incontri istituzionali degli ultimi anni parlano chiaro: data center, infrastrutture, digitalizzazione, energia.
Gli americani non si accontentano. Puntano al core del futuro: tecnologia, energia, scienza della vita, space economy, agritech.
Dopo l’investimento di Kkr nella rete fissa Telecom - uno dei deal più massicci degli ultimi quindici anni - la direzione è segnata: Washington ha scoperto che l’Italia rende.
A ottobre 2025 la grande conferma: missione economica a Washington, con una pioggia di annunci per oltre 4 miliardi di euro di nuovi investimenti. Non bonus, non promesse, ma progetti veri: space economy, sostenibilità, energia, life sciences, agri-tech, turism. Tutti settori dove l’Italia è più forte di quanto creda, e più sottovalutata di quanto dovrebbe.
A questo punto il pendolo ha parlato: gli americani investono, i francesi frenano.
E chissà che, alla fine, non si chiuda il cerchio: gli Usa tornano in Italia come investitori netti, e Berlusconi torna in Francia come ai tempi dell’avventura di La Cinq.
Magari senza che un nuovo Mitterrand tolga la spina.
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