2020-08-23
Nella stanza dei bottoni si odono solo piagnistei
Il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica Ugo Zampetti e l'ex governatore Mario Draghi (Ansa)
La richiesta di Mario Draghi di abbandonare la politica delle mance e di puntare sugli investimenti dimostra che è arrivato il momento di osare. E non basterà la burocrazia sanitaria del premier Giuseppe Conte a impedirlo.È indispensabile, con urgenza, alzare il tono. Spostare tutta la vita pubblica a un livello superiore, di pensiero, di voce, di conoscenza e di azione. Posso sbagliarmi, ma pare di capire che questa crescita di visione e comportamenti abbia anche a che fare col terreno in cui è maturata la richiesta di Mario Draghi di passare dai bonus (le mance a pioggia) agli investimenti. Basta con gli effetti speciali e avanti con la trasformazione della società. È un radicale cambiamento di scenario. Come passare dai politici che bisbigliano tra di loro tenendosi una mano davanti alla bocca per non far capire alle telecamere cosa si dicono e passare al decidere, al portare all'azione le persone, le risorse e le cose, «costi quel che costi». Sono due mondi e due modi di sentire e di agire completamente diversi. Il primo, il sussurro coperto, è anche quello del tradizionale «qui lo dico e qui lo nego», il dire una cosa e farne un'altra, perfettamente illustrato dall'attuale governo giuseppino e dalle sue non-imprese. Perfettamente rappresentate dal suo simbolo più amato, la maschera che (al di là del suo discusso valore sanitario) nasconde il volto e la bocca e filtra le parole, rendendole confuse. È un modo di essere e di fare che dal punto di vista psicologico corrisponde al rifiuto di prendersi davanti alla vita e agli altri la responsabilità delle proprie azioni, sempre scaricata così sulle circostanze esterne: i «cattivi» attorno (negli ultimi due anni ad esempio gli «odiatori»), l'onnipresente virus, i «giovani» che prendono l'aperitivo e ballano, il capitalismo che guadagna, l'asceta che non consuma. È questo il modo di pensare e vivere del fannullone un po' vile che trasferisce sugli altri la responsabilità dei propri fallimenti e mancanza di visione.Il guaio è quando sul tono e stile del lamento e della deresponsabilizzazione si forma - come in Italia - un'alleanza tra i governanti e le masse. I primi ripiegano sul piagnucolio perché non hanno abbastanza forze (anche morali), energie, conoscenze per elaborare autentici programmi di azione. Le masse poi naufragano nel lamento perché sfibrate da una diffusa e prolungata crisi sociale, politica e istituzionale, in un paese che ormai da un quarto di secolo ha la più alta percentuale di giovani che non studiano né lavorano. Neanche dà forza avere come propri rappresentanti politici i grigi burocrati dei partiti post marxisti, e come scenario esistenziale un edonismo consumista da tempo alla frutta, così pauroso e privo di fantasia da riuscire a intossicarsi anche con gli antidolorifici, oltre alla droghe di sempre e ai media più reticenti d'Europa. Gli edonisti in ritardo, fissati solo su un piacere ormai scaduto, ricordano i proci dell'Odissea, i «fighi» dell'epoca che avevano occupato la reggia di Ulisse durante la sua assenza, nell'attesa di impadronirsi del suo regno e di sua moglie Penelope. Essi, racconta Omero «ridono con le mascelle», ormai deformate dalla smorfia del piacere, l'unica che conoscano. Ma Odisseo, nella sua veste stracciata di selvatico straccione, li ucciderà con le sue frecce, uno dopo l'altro. Oggi il piagnisteo unisce così quelli che non sanno come guidare gli altri a quelli che non sanno come badare a sé stessi, in confuse richieste/minacce rivolte sempre al di fuori, ad «altri», reali o immaginari su cui dirigere l'attenzione e le colpe. A turno: Salvini, l'Europa, i fascisti, gli odiatori, gli omofobi, in un misto di risentimenti, ricatti, manie di grandezza, deliri di onnipotenza e tracce di bon ton da fotoromanzo anni 50, di cui Giuseppi è immagine. Il lamento continuo e onnicomprensivo sostituisce qui il riconoscere (anche con sé stessi) la durezza e la fatica della situazione. Viene così abbandonata la cognizione del dolore, segnata dal pianto esplicito con cui non solo l'eroe greco ma anche l'uomo della strada di ieri e di oggi affronta le difficoltà della vita, nascoste ora dalle narrazioni caramellose degli influencer. La storia della relazione tra l'Occidente e la fatica è appunto quella della contrapposizione tra la passività depressa del lamento e l'attività responsabile verso sé e gli altri, espressa nel pianto. Chi davvero è consapevole della difficoltà del vivere e la riconosce fino in fondo, vi si oppone personalmente e con forza, senza mascherarsi dietro le circostanze o «gli altri», ma affrontandola con impegni precisi e dichiarati. È un comportamento e uno stile ben diverso dal terrorismo burocratico-sanitario dei Giuseppi, che presentano anche i positivi asintomatici come malati terrorizzando la Nazione per condizionarne i comportamenti e conservare il potere. Si tratta piuttosto della fermezza di Churchill che annunciando le guerra promette lacrime e sangue. Uno scenario psicologico, ma anche operativo, completamente differente dallo sfondo esibizionistico di un «materno danneggiato» dove l'eroina diventa la star preposta alla Pubblica istruzione con i suoi fantasmi di banchi a rotelle. Nelle culture in cui affondano le nostre radici, quella greca e quella biblica, gli eroi e Maestri (a cominciare da Gesù) non temono di piangere: il pianto accompagna il riconoscere l'inevitabile durezza della realtà e porta alla scoperta della verità, rafforzando chi ne compie il percorso. «Solo chi soffre sa» è l'ammonimento di Eschilo, il padre della tragedia greca. È il pianto che fonda la vera vita umana: il bimbo appena nato piange, è il primo segno dell'Io che sarà (quando ci riesce). Ma è anche l'impronta dolorosa e drammatica del viaggio compiuto dal bambino prima di nascere (Il trauma della nascita raccontato dallo psicoanalista Otto Rank), e della vita che in quel momento comincia. L'espellere questo lato drammatico dell'esistenza, degradarlo a evento tecnico (ad esempio solo sanitario) rende impossibile il riconoscere la realtà nella sua pienezza, e debole qualsiasi tentativo di migliorarla. Falsificando la realtà nulla si risolve. Ma tutto si ferma, in un eterno presente, un po' marcio.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson