2020-12-13
Toninelli ridicolizzato in tribunale
C'era una volta lo smemorato di Collegno e adesso, purtroppo per noi, abbiamo a che fare con lo smemorato di Castelleone, provincia di Cremona. Non si tratta tuttavia di uno sconosciuto paziente zero, ma di un paziente a 5 stelle, ufficialmente registrato all'accettazione di Palazzo Madama con il nome di Danilo Toninelli e a sua insaputa perfino ex ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. Un'esperienza drammatica, che il poveretto ha preferito dimenticare, seppellendo nel labirinto di una mente confusa lo spiacevole ricordo di 16 mesi trascorsi nel palazzo di Porta Pia a Roma, crollo del ponte Morandi compreso. (...)(...) La prova di una totale perdita di memoria e di percezione della realtà, il senatore grillino, già campione mondiale di gaffe, l'ha fornita ieri mattina. Nell'aula del tribunale di Catania, il fu titolare dei trasporti è stato chiamato a deporre nell'ambito del processo a Salvini, per il presunto «sequestro» di alcune decine di migranti a bordo della Gregoretti, unità navale della Guardia costiera. Davanti ai giudici avrebbe dovuto presentarsi anche Giuseppe Conte, il quale però ha fatto valere le prerogative presidenziali, chiedendo di essere ascoltato in casa e non in un'aula di giustizia. Dunque, saranno i magistrati a doversi trasferire da Catania a Palazzo Chigi e non il contrario. Lasciato solo dal principale, a Toninelli è perciò toccata una trasferta in solitudine, senza neppure il conforto di un passaggio su un aereo di Stato. Risultato, il pover'uomo ha dovuto affrontare senza alcun sostegno psicologico la terribile prova di un interrogatorio da parte di una ex collega, ovvero di Giulia Bongiorno, che insieme a lui sedeva nel gabinetto del governo gialloblù. Alle richieste dettagliate del collegio di difesa di Salvini, Toninelli ha replicato con una raffica di non so degna di un Arnaldo Forlani ai tempi di Tangentopoli. Forse per questo, per non sembrare la copia del Coniglio mannaro, ma con 25 anni di ritardo, l'ex ministro ha scelto di farsi interrogare senza la presenza delle telecamere. Il rischio di avere la bavetta agli angoli della bocca era troppo alto e dunque meglio rischiare il ridicolo, ovvero invocare la privacy pur appartenendo al movimento della diretta streaming, piuttosto che fare il giro del Web mentre si balbetta. Tuttavia, anche senza riprese tv, la cronaca della deposizione del ministro a sua insaputa è destinata a passare alla storia. Mai, infatti, si era udito un ex ministro aver rimosso ogni ricordo a poco più di un anno dai fatti. Alla domanda dell'avvocato Bongiorno, che gli chiedeva se si ricordasse di aver sottoscritto un divieto di ingresso e di transito delle navi cariche dei migranti, mostrandogli un documento firmato Toninelli, l'ex ministro, che ha solo 46 anni, non 92, ha risposto di non ricordare, precisando che «è passato tanto tempo», ovvero 16 mesi.L'uomo dalla memoria corta non è riuscito a ricordare nemmeno un suo post su Facebook, né le interviste ad Agorà in cui, facendosi bello per il blocco dei migranti deciso dal governo Conte, assicurava gli italiani che senza di lui, Toninelli, la Lega non avrebbe fatto niente. «Io sono responsabile della sicurezza della navigazione fino all'attracco dell'imbarcazione al porto», dichiarava con orgoglio, neppure un anno e mezzo fa, Toninelli. «Lui (cioè Salvini, ndr) è responsabile dopo, per lo sbarco e l'ordine pubblico. Grazie a sette mesi del governo del cambiamento abbiamo avuto il 90 per cento in meno di sbarchi in Italia. Sa che cosa significa?», chiedeva Toninelli quando ancora aveva la memoria. «Non abbiamo obblighi di sbarco», scriveva allora lo smemorato di Castelleone. «L'ultima parola è di Salvini, Conte e mia. Decidiamo insieme», assicurava in tv il paziente a 5 stelle affetto da un grave caso di amnesia.Oggi, a distanza di un anno o poco più, Toninelli però non sa e non ricorda. Le certezze di 16 mesi prima sono offuscate. «Il contratto di governo sull'immigrazione? Non l'ho seguito io». Si occupò dell'accordo sui migranti in Europa? «Non ricordo esattamente come volessimo modificare Dublino». A proposito della redistribuzione dei migranti, Toninelli ha detto: «Non so, non era competenza del mio ministero». E al giudice che gli chiedeva delle relazioni con gli altri Paesi, anche lì il pover'uomo ha confessato di «non sapere delle attività diplomatiche». Come mai è stato indicato come porto quello di Catania, gli ha chiesto Giulia Bongiorno. «Non compete a me, non decidevo io. Non so dire perché la nave attraccò lì». E poi: «Non ricordo se ci fu un Consiglio dei ministri all'epoca, portate pazienza!». E ancora: «Non lo so, nel Consiglio dei ministri non ne parlammo. Non ero a conoscenza». L'interrogatorio è proseguito con «non ne ho contezza», con «non ricordo di preciso», «non c'ero», «non era di mia competenza», «non ricordo, ovviamente», «non ricordo», «non ricordo, ma potrei averlo scritto», «ho scritto, ma non avevo responsabilità», «ne prendo atto, ma non so cosa dirle». Perfino il giudice a un certo punto ha perso la pazienza, dicendogli «scusi senatore, ma l'indirizzo politico poi si deve concretizzare in azione politica. Posso pensare che lei non abbia mai dato un indirizzo? Non lo ricorda?». Risposta: «Non l'ho mai fatto». Seguono altri «non ricordo praticamente il contesto», «ricordo, non era paragonabile», «non posso esprimere un'opinione se non ricordo», «non ricordo il porto preciso», «non avevo informazioni precise», «abbia pazienza, a distanza di un anno e mezzo», «dovrei guardare gli atti», «non ricordo la conferenza», «non ricordo, escludo di aver parlato con il giornale». A udienza finita, il paziente a 5 stelle ha diramato una nota per assicurare di non ricordare di aver pronunciato tutti quei «non ricordo». Dall'accettazione di Palazzo Madama hanno chiamato il 112.
Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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