2024-01-29
«Il green ci riporta al protezionismo»
Massimo Nicolazzi (Imagoeconomica)
L’esperto Massimo Nicolazzi, presidente dell’Isab di Priolo: «Gli Usa sfidano la Cina puntando sul “fatto in America”. In Europa invece investirà solo chi se lo può permettere, quindi le disuguaglianze tra gli Stati membri aumenteranno».Massimo Nicolazzi, 40 anni di esperienza negli idrocarburi. Senior advisor di Ispi. Docente all’Università di Torino di economia delle fonti energetiche…«… e adesso anche presidente di Isab a Priolo».E qui si parla di raffinazione del petrolio. E anche saggista. L’ultimo suo libro è: Elogio del petrolio. Cui dovremmo dire grazie esattamente perché?«Un elogio alla memoria. Una commemorazione, diciamo. Abbiamo iniziato il Novecento con un miliardo di persone ed un reddito pro capite tendente allo zero virgola. Oggi siamo quasi otto miliardi, con reddito significativo un po’ ovunque tranne che in Africa. Diciamo grazie all’igiene, alla penicillina e però anche al petrolio»La moderna democrazia è figlia del petrolio!«Non arrivo fin lì. Il petrolio ha funzionato come levatrice di democrazia laddove i Paesi avevano strutture politiche e costituzionali aperte e ha alimentato standard di vita, sviluppo industriale e redditi pro capite crescenti. Gli Stati Uniti auto-consumano il loro petrolio e vi hanno innescato un dinamico sviluppo industriale. Quei Paesi che invece, pur avendo il petrolio, hanno scelto la strada della rendita petrolifera via esportazione hanno spesso generato feroci dittature. Non esiste un nesso fra riserve petrolifere e democrazia. Anche perché il petrolio lo si può comprare. La potenza industriale tedesca non ha petrolio. E neppure, in generale, la manifattura europea».Neppure la Cina ne ha così tanto…«Dovrei vedere i dati di dettaglio, ma grosso modo produce un quarto di quello che “beve”».Non riflettiamo mai abbastanza sul fatto che gli Usa, potenza del terziario avanzato, dal 2008 sono diventati energeticamente autosufficienti…«Mi scusi, ma questo è il ripetersi di una vecchia storia. Immaginiamo il petrolio come una faccenda di politica, sceicchi o spionaggio. Ma nel secolo scorso per oltre sessant’anni gli Stati Uniti sono stati il maggior produttore di petrolio al mondo arrivando al 70% della produzione globale».Fino al 2022 l’energia arrivava soprattutto dalla Russia. Ora invece dal cosiddetto Sud globale?«Chiariamo che stiamo parlando di gas. E di gasdotti. Nessuno scordi che l’Europa non ha mai sanzionato l’importazione di gas russo che è durata, via tubo, finché questi non sono stati fatti saltare in aria».Chiaro…«È un tema di domanda di gas. Il petrolio ha di fatto sempre galleggiato. Si imbarca da una parte per ricomparire in un’altra. Il gasdotto invece è l’emblema dell’ultimo matrimonio rimasto indissolubile: quello tra un giacimento ed un mercato. Il gas va dove lo porta il tubo. Ma se viaggia via nave liquefatto va dove lo porta il prezzo. Sta aumentando a livello globale la capacità mondiale di liquefazione. Anche perché se vogliamo de-carbonizzare il mondo, a seconda della velocità che vogliamo darci, non si ha il tempo sufficiente per ammortizzare il costo di costruzione dell’infrastruttura gasdotto. È un cambiamento di prospettiva in generale. I minerali prima erano fonte di energia. Ora sono incorporati in batterie e convertitori». Ma in un mondo sempre più litigioso non c’è quindi spazio per i matrimoni e per i tubi, allora!«Non parlerei tanto di litigiosità, ma di implicita contraddizione delle politiche di decarbonizzazione che vogliamo perseguire. Noi importavamo dalla Russia via tubo una certa percentuale di fabbisogno che ora dobbiamo sostituire via nave. Gli impegni di decarbonizzazione che ci siamo dati a livello europeo incorporavano una riduzione della domanda di gas. Pari, guarda caso e grosso modo, alla quantità di gas che arrivava dal gasdotto russo. La prospettiva di una minore domanda di gas, secondo lei, incentiva la costruzione di un’infrastruttura sostitutiva? Viceversa, se il gas viaggia via nave e viene lavorato in strutture galleggianti - quali quelle che abbiamo in Italia e che hanno installato a tempo record in Germania - si ha maggiore flessibilità. Te le puoi persino rivendere…».Si parla tanto di decarbonizzazione, ma da un uomo di petrolio come lei mi aspetterei che mi dicesse che questa è impossibile. C’è un tema di densità energetica. Una bottiglietta di benzina ha tanto più potenziale energetico di un pannello solare…«Parlerei più di densità di capitali che di densità energetica. Investire in decarbonizzazione richiede una spesa “monstre”. Stiamo parlando di miliardi che il settore pubblico da solo non può avere ma deve in qualche modo mobilitare. E di capitale privato disponibile ad investire in infrastrutture di generazione di energia rinnovabile ce n’è tanto. Purché gli sia garantito un rendimento. Sarò provocatorio. Per le infrastrutture green il motto del capitalismo è che “dove c’è sussidio c’è impresa”. E non lo dico per negare la necessità di decarbonizzazione. È un processo di cui abbiamo bisogno, e con priorità e celerità. Però senza supporto pubblico non si muove. E dunque il tema è quanto spendere e come ripartire la spesa. Poi, per carità, il tema tecnologico cui lei accennava esiste. Bill Gates, magari esagerando, sostiene che la metà delle tecnologie necessarie a decarbonizzare il mondo o sono troppo costose o non sono state inventate. Un problema sa qual è?».No…«I modelli previsionali che spesso citiamo come Vangeli non sono mai o quasi capaci di prevedere e incorporare l’innovazione tecnologica. I sistemi degli organismi antenati dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, ndr) cent’anni fa proiettavano un futuro senza computer né smartphone. Un recente bellissimo libro titola non a caso Escape from Model Land...» Ma in finale, le politiche di decarbonizzazione sono portatrici sane di risparmio energetico o di inflazione?«Al momento, per paradosso, sono portatrici insane di revival protezionistici. L’Ira funesta americana (l’Inflation Reduction Act, ovvero il programma di aiuti economici di Biden, ndr) mette in circolo centinaia di miliardi di tax credit a patto che la batteria che usi abbia una percentuale significativa di “american content”; di fatto in America, per intendersi. La competizione fra Usa e Cina su questi temi ci mostra come le dimensioni contino. “Size matters” direbbero gli americani. L’Europa non esiste come Stati Uniti d’Europa e non ha giurisdizione fiscale. E quindi Bruxelles mette in piedi un programmone dove però chi ha più spazio fiscale nei propri bilanci pubblici può erogare più aiuti di Stato. Quasi l’elogio della disuguaglianza tra gli Stati membri». Quello che accade ora nel Mar Rosso con gli attacchi dei pirati Huthi alle imbarcazioni in transito cambierà qualcosa nel mercato del petrolio e del gas?«Per come stanno messe le cose ad oggi, non troppo. Poi, per carità, non c’è limite al peggio. Il missile che ha colpito una petroliera ha mandato in tensione i prezzi (ma sabato eravamo comunque ancora molto al di sotto dei massimi degli ultimi 12 mesi) e ci fa dubitare della praticabilità almeno temporanea del canale di Suez. E dover circumnavigare l’Africa si ripercuote sulla supply chain (catena del valore, ndr). Tanti materiali e prodotti finiti, aumentando i tempi di navigazione, costeranno di più. Non tutti in ugual misura. Suez è sempre stato un collo di bottiglia. Non si dimentichi, anche se lei è troppo giovane, che le super petroliere sono state inventate per fronteggiare proprio un blocco nel Canale di Suez. Quanto al gas che naviga e al petrolio i carichi cambieranno forse in parte rotta. Probabilmente più gas liquefatto del Qatar andrà in Asia e da noi arriveranno più navi gasiere americane. Ci sono insomma margini di aggiustamento per attutire gli shock».Se tutto naviga, l’Italia può diventare l’hub del gas verso l’Europa, come va di moda dire oggi? La porta da dove passa l’energia?«Sì ho capito, ma io questa storia dell’Italia hub naturale del gas la sentivo che avevo ancora i pantaloni corti».Sto ridendo. Confesso. Ma la guerra Russia-Ucraina colpisce al cuore l’industria tedesca basata sul gas russo a prezzo vile?«Presto per dirlo. Per come si è spinta nella composizione del mix elettrico la signora Geltrude forse pagherà più della signora Gina. Ma ha la forza per rimediare. Hanno costruito a tempo record tre rigassificatori galleggianti per approvvigionarsi altrove. Il Financial Times riportava un bellissimo articolo sulla frustrazione della Germania pronta a costruire nuove centrali a gas non previste nella tassonomia di Bruxelles. Del resto, se non bruci carbone e chiudi le centrali nucleari devi pur fare qualcosa. La Germania per adesso rimane fedele al suo modello di sviluppo. Sta solo cambiando gas».Una cosa però possiamo dirla. Se il gas viaggia per nave anziché per tubo dovrà per forza avere un prezzo più alto. Liquefare il gas è una giostra che qualcosa costa. No?«Allora le cito Franco Bernabè mio capo supremo quando ero in Eni. Mi ripeteva sempre che non c’è nessun settore in cui il costo di produzione è indipendente dal prezzo come nel petrolio. Se lei mi dice che mediamente produrre e vendere gas liquefatto costa di più che attraverso il tubo io le rispondo: sono d’accordo al 100%. Ma…».Ma?«Il prezzo è domanda ed offerta. Non dimentichi che l’Europa in questi ultimi due anni ha ridotto il consumo di gas del 25% circa. Lasci perdere che il gas liquefatto che veniva dall’America è arrivato a costare oltre 300 euro e quelle navi gasiere erano come la piscina di zio Paperone. Ma oggi arriva a 30 e quelle navi hanno comunque un buon margine».