2020-09-29
Il governo si finge amico degli Usa ma nasconde i suoi decreti pro Pechino
Mike Pompeo a Roma chiederà lumi sul 5G. L'esecutivo dirà di voler usare tecnologie europee, sperando di celare i contratti con Huawei e Zte, pronti già da un anno.Nelle ultime settimane è stato un gran daffare a cercare spilline a stelle e strisce e nascondere dietro al bavero della giacca quelle con il tricolore e la bandiera cinese. Arriva il Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, il quale dopo la visita ufficiale oggi in Vaticano farà tappa a Roma per incontrare il nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e il premier, Giuseppe Conte. Il braccio destro di Donald Trump chiederà a che punto siamo con il 5G, la nostra rete unica e quali rapporti abbiamo intenzione di intrattenere con Pechino. Giovedì scorso il governo ha riunito la maggioranza di governo e i principali ministri per discutere la linea, o meglio la nuova linea da adottare sul tema della sicurezza nazionale. I racconti della stampa, chiaramente spinti dal governo, hanno descritto in gran parte quell'incontro come sereno, idilliaco e tendente ad accantonare l'utilizzo di hardware e software cinesi a favore di una strada europea allo sviluppo tecnologico comune. Dentro questa dichiarazione c'è del vero ma anche molta immagine. La riunione non è stata così serena. Non a caso sono stati convocati i vertici dei servizi con scarsissimo preavviso. Le posizioni non erano poi così allineate. Fondamentalmente una fetta di Pd, guidata dai ministri della Difesa e degli Affari Ue, Lorenzo Guerini e Vincenzo Amendola, ha spinto per la condivisione delle scelte assieme al resto dell'Europa, sperando però che nel frattempo anche gli altri partner europei si adeguino alle linee guida Usa.I 5 stelle avrebbero accettato di buon grado la strategia con l'obiettivo di aggirarla. Sanno bene che una tecnologia comune sviluppata dal Vecchio Continente non arriverebbe prima di 7 o 8 anni. E a quel punto Cina e Usa sarebbero già al 6 G. Così nel frattempo cercano di tenere i piedi in due scarpe. A settembre del 2019 il comitato del golden power ha approvato ben 5 contratti sulla rete 5G, con Fastweb, Tim, Vodafone, Wind Tre e Linkem. Di questi, uno era con Zte e altri tre con Huawei. La relazione del Dis, il dipartimento delle informazioni per la sicurezza, guidato da Gennaro Vecchione, ne ha fatto cenno (tre righe) nella relazione di fine anno inviata alle Camere. Nulla più. Non c'è traccia in Gazzetta dei Dpcm. Ad agosto La Verità ha raccontato di un altro Dpcm relativo a un contratto tra Tim e Huawei. In quel caso è stato approvato nottetempo in occasione di un cdm turbolento e mai pubblicato in Gazzetta ufficiale. È vero che non è obbligatorio rendere trasparente l'atto amministrativo. Ma dal momento che nemmeno quest'anno c'è stata la relazione del comitato del golden power alle Camere (l'ultima è del 2018 e conteneva nel dettaglio nomi e prescrizioni), non è dato sapere se oltre a quei cinque Dpcm di settembre 2019 e quello di agosto ce ne siano altri. Non è dato nemmeno sapere se ce ne siano altri in pista di lancio. Magari messi in frigorifero proprio per evitare che venissero sfornati in concomitanza con l'arrivo di Pompeo. La verità è che da un lato il governo spinge per avviare la rete unica e accelerare sul 5G, ma non c'è tecnologia disponibile in alternativa a quella americana/svedese o a quella cinese. Dal momento che non ci risultano numerosi accordi con aziende occidentali, dobbiamo dedurre due cose. O che il governo millanta sviluppi di rete e di 5G che assolutamente non esistono, oppure gli investimenti delle aziende sono reali e avverrebbero con Huawei e Zte. Il che riporta la questione alla trasparenza. O meglio alla mancanza di essa. Per questo motivo i Dpcm non vengono pubblicizzati, perché si preferisce tenere le scelte reali sotto il tappeto e nasconderle ai partner Nato. Dal punto di vista formale il Dpcm di agosto, che abbiamo pubblicato in occasione del nostro articolo, è ineccepibile. Lo sono anche quelli di settembre scorso (prescrizioni meno strette per via del fatto che la tool box Ue non era ancora stata approvata). Ma di per sé non significa nulla. Le prescrizioni possono essere dei falsi paletti se non c'è la volontà politica di farle applicare. D'altro canto, gli Stati Uniti da un lato aggrediscono gli avversari, dall'altro stanno studiando una tecnologia in grado, in futuro, di subentrare a quella cinese senza richiedere alle aziende private ingenti disinvestimenti. In ogni caso, il tentativo italiano di mettere la divisa americana in vista dell'arrivo di Pompeo è molto rischioso. Se le autorizzazioni per Huawei - che immaginiamo essere nel cassetto di Conte - dovessero venire timbrate nei mesi successivi, è certo che Pompeo verrà a saperlo. E se dopo novembre resterà ancora alla Casa Bianca con Trump presidente, la prossima visita non sarà per nulla amichevole.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)