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2020-11-21
Il governo si è accorto del pasticcio sugli aiuti alle aziende. Ma ora è tardi
Roberto Gualtieri (Ansa)
Avete presente il Titanic? Con l'orchestrina che ancora suonava nel salone, mentre la terza classe era sott'acqua e la nave già inclinata? È l'immagine del naufragio che sta per accadere sul fronte degli aiuti alle imprese. La magnifica corazzata della «potenza di fuoco» varata tra marzo e maggio sta facendo acqua da tutte le parti. L'orchestrina la dirige il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri che l'altro ieri - di fronte alla precisa domanda del senatore Alberto Bagnai, finalizzata a sapere ci fosse pericolo di restituzione degli aiuti statali eccedenti 800.000 euro - con spavalda sicumera dichiarava in audizione al Senato che «tale pericolo non sussiste». Quindi possono stare tranquilli tutti gli imprenditori italiani che in questi giorni si consultano con i loro commercialisti e avvocati per cercare di reperire aiuti muovendosi nella selva di quasi 800 articoli disseminati in 6 decreti dal Cura Italia di marzo al Ristori bis di qualche giorno fa.
Invece noi, forse perché più vicini alla terza classe già sott'acqua, vediamo bene sia lo squarcio nella fiancata e sia l'acqua che entra impetuosa. E lo facciamo basandoci, come al solito, sugli atti. Dopo averne scritto diffusamente per tre giorni nella scorsa settimana, da ultimo, ci rifacciamo alla risposta fornita dal Mef a una interrogazione presentata lunedì 16 dagli onorevoli di Fratelli d'Italia Galeazzo Bignami e Marco Osnato. Con tale domanda si chiedeva se il governo avesse avviato una interlocuzione con la Commissione Ue al fine di evitare la restituzione degli aiuti eventualmente eccedenti il tetto di 800.000 euro previsto dal Temporary framework (Tf) del 19 marzo. Giova segnalare che, in molti casi, gli aiuti sono pure soggetti a tassazione, riducendo ancor più il beneficio netto ed aumentando lo sconcerto delle imprese.
Tale quesito era formulato a proposito di una delle tante norme che concorrono al raggiungimento di tale limite: lo stralcio del saldo e primo acconto Irap di cui all'articolo 24 del decreto Rilancio. La risposta del Mef è, a dir poco, imbarazzante. Dà infatti ormai per perso il negoziato con la Commissione relativamente alla definizione del beneficiario degli aiuti: non la singola persona giuridica, non l'«impresa unica» come definita ai fini del «de minimis», ma l'«unità economica», che è qualcosa che somiglia, ma nemmeno coincide perfettamente, con la definizione di gruppo societario. Insomma, un bel grattacapo per tutte le imprese italiane. Al Mef si sono resi conto della falla - di cui La Verità vi aveva già riferito in anteprima l'11 novembre, citando fonti riservate della Commissione - e nella risposta agli onorevoli, segnalano «che sono attualmente in corso contatti con i competenti servizi della Commissione europea» per ricondurre lo sgravio Irap entro il più alto limite di 3 milioni, consentito da una recente sezione del Tf (3.12). Con ciò segnalando le difficoltà in cui si dibattono e ammettendo candidamente che «tale iniziativa si è resa indispensabile in conseguenza della nozione di impresa unica ritenuta applicabile dalla Commissione europea anche alla disciplina di aiuti adottata mediante il richiamato Temporary framework». Viva la sincerità e «tutto molto bello», avrebbe detto Bruno Pizzul, se non fosse per due enormi macigni posti sulla strada di questo estremo tentativo dei tecnici di via XX Settembre: primo, lo sgravio Irap è stato concesso a tutte le imprese, senza condizioni, mentre la sezione 3.12 del Tf prevede che, per beneficiarne, ci sia stato un calo del fatturato (in un periodo del 2020 o fino al 30/6/2021) pari almeno al 30% rispetto ad un corrispondente periodo del 2019. Secondo, quella misura prevede un contributo commisurato ai costi fissi non coperti che, con lo sgravio Irap non c'entrano nulla.
Richiamando il 3.12 del Tf, il governo segna inoltre un clamoroso autogol. Ammette infatti l'esistenza di aiuti statali con limiti più alti che, nonostante la Commissione li abbia ammessi sin dal 13/10, non hanno trovato alcuno spazio nei due decreti «Ristori» adottati fino a oggi. Quindi lo strumento c'era, si poteva utilizzare e non lo si è fatto. A peggiorare il quadro, per il futuro il governo rimanda la palla nel campo delle Regioni, inserendo la facoltà di sfruttare la sezione 3.12 del Tf, nell'articolo 107 della legge di bilancio per il 2021, dove affiora pure la possibilità di rimborsare i contributi eccedenti entro il 30/6/2021. Segno che il problema esiste, checché ne dica Gualtieri. Il quale non ha avuto dubbi, sempre giovedì in audizione, sull'altro tema posto sempre su queste colonne: conveniva forse chiedere almeno una parte degli aiuti sotto la causale «calamità naturale/cause eccezionali», anziché «grave turbamento dell'economia», dove quest'ultima è soggetta ai limiti anzidetti? Secondo il ministro abbiamo scelto la seconda opzione, perché la prima è soggetta a «un regime più stringente» con gravosi oneri di rendicontazione. Allora Gualtieri ci dovrebbe spiegare perché la Danimarca, il 20 marzo (stesso giorno della pubblicazione in Gazzetta ufficiale del Tf, che straordinario tempismo!) notificava alla Commissione una norma che concedeva aiuti alle imprese, a condizione che avessero perso almeno il 40% del fatturato, a partire dal 25% fino al 100% dei costi fissi (affitti, interessi, altre spese non rinegoziabili, ecc…), con ciò inondando con 5,4 miliardi di euro di aiuti un Paese che ha un'economia pari a un sesto della nostra. La decisione di approvazione di questo aiuto, è stata adottata dalla Commissione l'8 aprile, esattamente 3 mesi prima della decisione a favore dell'Italia per il contributo a fondo perduto che stanziava 6,2 miliardi di aiuti. In essa è spiegato per filo e per segno perché il Covid è una causa eccezionale che giustifica aiuti adeguati. Loro l'hanno fatto, noi abbiamo fatto tardi e poco. Sono i numeri che parlano da soli.
Altri (pochi) soldi al decreto Ristori
Il ministro del Tesoro Roberto Gualtieri metterà nuove risorse, circa 1,3-1,4 miliardi di euro, per finanziare le aziende che perderanno fatturato a seguito del peggioramento della fascia in cui risiedono.
Lo ha detto ieri il numero uno di via XX Settembre a Omibus su La7 precisando che i soldi sarebbero stati stanziati nel Consiglio dei ministri che si è tenuto ieri. «Metteremo altre risorse, circa 1,3-1,4 nel fondo che consente di finanziare i ristori in automatico alle regioni che peggiorano di fascia», ha detto. «Poi», ha proseguito Gualtieri, «per poter usare un'altra parte di risorse dovuta ad un andamento economico un po' migliore delle previsioni, chiederemo al Parlamento l'autorizzazione a uno scostamento che ci darà alcuni miliardi aggiuntivi per rafforzare le misure di sostegno economico e accompagnare l'economia nella fine d'anno».
Viene però da chiedersi, viste le cifre già stanziate, come mai il governo continui a stanziare per il decreto Ristori cifre tanto esigue. Il governo ha da poco fatto sapere che per coprire i fondi necessari fino a fine anni avrebbe stanziato altri sette miliardi.
È chiaro a tutti, dunque, che il miliardo e poco più dichiarato da Gualtieri, che molto probabilmente servirà da base per il decreto Ristori ter, non sarà sufficiente e servirà, ancora una volta, mettere mano al portafoglio.
Al momento, quindi, la prospettiva sembra essere quella di un decreto Ristori ter in arrivo a inizio 2021 e la probabile messa in cantiere di un decreto Ristori quater che andrà finanziato con altro deficit.
«Quando abbiamo fatto gli scostamenti per 100 miliardi saremmo dovuti andare a un deficit al 10,8%. Adesso», continua il ministro, «con tutta la riduzione delle entrate, con gli 1,4 miliardi che metteremo nel decreto di oggi (ieri per chi legge, ndr) che ci porta a 100 miliardi spesi, al netto delle risorse già messe nei decreti ristori uno e due, stiamo sotto il 10,8% di circa 6 miliardi».
Come ha spiegato ieri Gualtieri, «con cento miliardi di spesa il deficit è più basso perché abbiamo avuto più entrate. Le stime ci dicono che ci sarà una riduzione delle entrate, ma questo non fa saltare i conti, anzi abbiamo ancora margine rispetto a quanto ci eravamo dati precedentemente».
Gualtieri ieri ha sottolineato che per le nuove risorse non servirà un nuovo scostamento, anche se nei primi mesi del 2021 sarà comunque necessaria una nuova operazione di bilancio. Su questa Gualtieri spera di non trovare ostacoli da parte dell'opposizione.
Sempre nella giornata di ieri, il Movimento 5 stelle ha presentato un emendamento al decreto Ristori per regolamentare l'intera filiera della canapa, con anche la liberalizzazione della cannabis light, che ha un contenuto di principio attivo (Thc) al di sotto dello 0,5%. L'obiettivo della proposta è anche quello di regolare l'indotto distributivo, garantendo trasparenza delle informazioni e delle indicazioni relative ai prodotti commercializzati.
Resta il fatto che l'esecutivo pare andare avanti sempre con la stessa ricetta, quando si parla di ristori. Annunciare cifre esigue, per poi rifare i conti e scoprire che i fondi che servono sono ben di più di quelli previsti. È successo così per il primo e il secondo decreto Ristori e ora nulla lascia intendere che sarà diverso per i decreti ter e quater.
Proprio in un momento di difficoltà come quello che sta vivendo il Paese, sarebbe invece meglio avere le idee chiare sin da subito. Ma questo potrebbe non piacere agli elettori.
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Malgrado le rassicurazioni di Roberto Gualtieri, il Mef si arrende e ammette che sul «tetto» di 800.000 euro si è fatta confusione, come già spiegato dalla «Verità». Tecnici al lavoro, però la trattativa è in salitaIl ministro annuncia nuove risorse, circa 1,4 miliardi, per le imprese danneggiate dalla «retrocessione» della regione di appartenenza. Neppure queste basterannoLo speciale contiene due articoliAvete presente il Titanic? Con l'orchestrina che ancora suonava nel salone, mentre la terza classe era sott'acqua e la nave già inclinata? È l'immagine del naufragio che sta per accadere sul fronte degli aiuti alle imprese. La magnifica corazzata della «potenza di fuoco» varata tra marzo e maggio sta facendo acqua da tutte le parti. L'orchestrina la dirige il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri che l'altro ieri - di fronte alla precisa domanda del senatore Alberto Bagnai, finalizzata a sapere ci fosse pericolo di restituzione degli aiuti statali eccedenti 800.000 euro - con spavalda sicumera dichiarava in audizione al Senato che «tale pericolo non sussiste». Quindi possono stare tranquilli tutti gli imprenditori italiani che in questi giorni si consultano con i loro commercialisti e avvocati per cercare di reperire aiuti muovendosi nella selva di quasi 800 articoli disseminati in 6 decreti dal Cura Italia di marzo al Ristori bis di qualche giorno fa.Invece noi, forse perché più vicini alla terza classe già sott'acqua, vediamo bene sia lo squarcio nella fiancata e sia l'acqua che entra impetuosa. E lo facciamo basandoci, come al solito, sugli atti. Dopo averne scritto diffusamente per tre giorni nella scorsa settimana, da ultimo, ci rifacciamo alla risposta fornita dal Mef a una interrogazione presentata lunedì 16 dagli onorevoli di Fratelli d'Italia Galeazzo Bignami e Marco Osnato. Con tale domanda si chiedeva se il governo avesse avviato una interlocuzione con la Commissione Ue al fine di evitare la restituzione degli aiuti eventualmente eccedenti il tetto di 800.000 euro previsto dal Temporary framework (Tf) del 19 marzo. Giova segnalare che, in molti casi, gli aiuti sono pure soggetti a tassazione, riducendo ancor più il beneficio netto ed aumentando lo sconcerto delle imprese.Tale quesito era formulato a proposito di una delle tante norme che concorrono al raggiungimento di tale limite: lo stralcio del saldo e primo acconto Irap di cui all'articolo 24 del decreto Rilancio. La risposta del Mef è, a dir poco, imbarazzante. Dà infatti ormai per perso il negoziato con la Commissione relativamente alla definizione del beneficiario degli aiuti: non la singola persona giuridica, non l'«impresa unica» come definita ai fini del «de minimis», ma l'«unità economica», che è qualcosa che somiglia, ma nemmeno coincide perfettamente, con la definizione di gruppo societario. Insomma, un bel grattacapo per tutte le imprese italiane. Al Mef si sono resi conto della falla - di cui La Verità vi aveva già riferito in anteprima l'11 novembre, citando fonti riservate della Commissione - e nella risposta agli onorevoli, segnalano «che sono attualmente in corso contatti con i competenti servizi della Commissione europea» per ricondurre lo sgravio Irap entro il più alto limite di 3 milioni, consentito da una recente sezione del Tf (3.12). Con ciò segnalando le difficoltà in cui si dibattono e ammettendo candidamente che «tale iniziativa si è resa indispensabile in conseguenza della nozione di impresa unica ritenuta applicabile dalla Commissione europea anche alla disciplina di aiuti adottata mediante il richiamato Temporary framework». Viva la sincerità e «tutto molto bello», avrebbe detto Bruno Pizzul, se non fosse per due enormi macigni posti sulla strada di questo estremo tentativo dei tecnici di via XX Settembre: primo, lo sgravio Irap è stato concesso a tutte le imprese, senza condizioni, mentre la sezione 3.12 del Tf prevede che, per beneficiarne, ci sia stato un calo del fatturato (in un periodo del 2020 o fino al 30/6/2021) pari almeno al 30% rispetto ad un corrispondente periodo del 2019. Secondo, quella misura prevede un contributo commisurato ai costi fissi non coperti che, con lo sgravio Irap non c'entrano nulla.Richiamando il 3.12 del Tf, il governo segna inoltre un clamoroso autogol. Ammette infatti l'esistenza di aiuti statali con limiti più alti che, nonostante la Commissione li abbia ammessi sin dal 13/10, non hanno trovato alcuno spazio nei due decreti «Ristori» adottati fino a oggi. Quindi lo strumento c'era, si poteva utilizzare e non lo si è fatto. A peggiorare il quadro, per il futuro il governo rimanda la palla nel campo delle Regioni, inserendo la facoltà di sfruttare la sezione 3.12 del Tf, nell'articolo 107 della legge di bilancio per il 2021, dove affiora pure la possibilità di rimborsare i contributi eccedenti entro il 30/6/2021. Segno che il problema esiste, checché ne dica Gualtieri. Il quale non ha avuto dubbi, sempre giovedì in audizione, sull'altro tema posto sempre su queste colonne: conveniva forse chiedere almeno una parte degli aiuti sotto la causale «calamità naturale/cause eccezionali», anziché «grave turbamento dell'economia», dove quest'ultima è soggetta ai limiti anzidetti? Secondo il ministro abbiamo scelto la seconda opzione, perché la prima è soggetta a «un regime più stringente» con gravosi oneri di rendicontazione. Allora Gualtieri ci dovrebbe spiegare perché la Danimarca, il 20 marzo (stesso giorno della pubblicazione in Gazzetta ufficiale del Tf, che straordinario tempismo!) notificava alla Commissione una norma che concedeva aiuti alle imprese, a condizione che avessero perso almeno il 40% del fatturato, a partire dal 25% fino al 100% dei costi fissi (affitti, interessi, altre spese non rinegoziabili, ecc…), con ciò inondando con 5,4 miliardi di euro di aiuti un Paese che ha un'economia pari a un sesto della nostra. La decisione di approvazione di questo aiuto, è stata adottata dalla Commissione l'8 aprile, esattamente 3 mesi prima della decisione a favore dell'Italia per il contributo a fondo perduto che stanziava 6,2 miliardi di aiuti. In essa è spiegato per filo e per segno perché il Covid è una causa eccezionale che giustifica aiuti adeguati. Loro l'hanno fatto, noi abbiamo fatto tardi e poco. Sono i numeri che parlano da soli.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-governo-si-e-accorto-del-pasticcio-sugli-aiuti-alle-aziende-ma-ora-e-tardi-2648998716.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="altri-pochi-soldi-al-decreto-ristori" data-post-id="2648998716" data-published-at="1605909619" data-use-pagination="False"> Altri (pochi) soldi al decreto Ristori Il ministro del Tesoro Roberto Gualtieri metterà nuove risorse, circa 1,3-1,4 miliardi di euro, per finanziare le aziende che perderanno fatturato a seguito del peggioramento della fascia in cui risiedono. Lo ha detto ieri il numero uno di via XX Settembre a Omibus su La7 precisando che i soldi sarebbero stati stanziati nel Consiglio dei ministri che si è tenuto ieri. «Metteremo altre risorse, circa 1,3-1,4 nel fondo che consente di finanziare i ristori in automatico alle regioni che peggiorano di fascia», ha detto. «Poi», ha proseguito Gualtieri, «per poter usare un'altra parte di risorse dovuta ad un andamento economico un po' migliore delle previsioni, chiederemo al Parlamento l'autorizzazione a uno scostamento che ci darà alcuni miliardi aggiuntivi per rafforzare le misure di sostegno economico e accompagnare l'economia nella fine d'anno». Viene però da chiedersi, viste le cifre già stanziate, come mai il governo continui a stanziare per il decreto Ristori cifre tanto esigue. Il governo ha da poco fatto sapere che per coprire i fondi necessari fino a fine anni avrebbe stanziato altri sette miliardi. È chiaro a tutti, dunque, che il miliardo e poco più dichiarato da Gualtieri, che molto probabilmente servirà da base per il decreto Ristori ter, non sarà sufficiente e servirà, ancora una volta, mettere mano al portafoglio. Al momento, quindi, la prospettiva sembra essere quella di un decreto Ristori ter in arrivo a inizio 2021 e la probabile messa in cantiere di un decreto Ristori quater che andrà finanziato con altro deficit. «Quando abbiamo fatto gli scostamenti per 100 miliardi saremmo dovuti andare a un deficit al 10,8%. Adesso», continua il ministro, «con tutta la riduzione delle entrate, con gli 1,4 miliardi che metteremo nel decreto di oggi (ieri per chi legge, ndr) che ci porta a 100 miliardi spesi, al netto delle risorse già messe nei decreti ristori uno e due, stiamo sotto il 10,8% di circa 6 miliardi». Come ha spiegato ieri Gualtieri, «con cento miliardi di spesa il deficit è più basso perché abbiamo avuto più entrate. Le stime ci dicono che ci sarà una riduzione delle entrate, ma questo non fa saltare i conti, anzi abbiamo ancora margine rispetto a quanto ci eravamo dati precedentemente». Gualtieri ieri ha sottolineato che per le nuove risorse non servirà un nuovo scostamento, anche se nei primi mesi del 2021 sarà comunque necessaria una nuova operazione di bilancio. Su questa Gualtieri spera di non trovare ostacoli da parte dell'opposizione. Sempre nella giornata di ieri, il Movimento 5 stelle ha presentato un emendamento al decreto Ristori per regolamentare l'intera filiera della canapa, con anche la liberalizzazione della cannabis light, che ha un contenuto di principio attivo (Thc) al di sotto dello 0,5%. L'obiettivo della proposta è anche quello di regolare l'indotto distributivo, garantendo trasparenza delle informazioni e delle indicazioni relative ai prodotti commercializzati. Resta il fatto che l'esecutivo pare andare avanti sempre con la stessa ricetta, quando si parla di ristori. Annunciare cifre esigue, per poi rifare i conti e scoprire che i fondi che servono sono ben di più di quelli previsti. È successo così per il primo e il secondo decreto Ristori e ora nulla lascia intendere che sarà diverso per i decreti ter e quater. Proprio in un momento di difficoltà come quello che sta vivendo il Paese, sarebbe invece meglio avere le idee chiare sin da subito. Ma questo potrebbe non piacere agli elettori.
La Juventus resta sotto il controllo di Exor. Il gruppo ha chiarito con un comunicato la propria posizione sull’offerta di Tether. «La Juventus è un club storico e di successo, di cui Exor e la famiglia Agnelli sono azionisti stabili e orgogliosi da oltre un secolo», si legge nella nota della holding, che conferma come il consiglio di amministrazione abbia respinto all’unanimità l’offerta per l’acquisizione del club e ribadito il pieno impegno nel sostegno al nuovo corso dirigenziale.
A rafforzare il messaggio, nelle stesse ore, è arrivato anche un intervento diretto di John Elkann, diffuso sui canali ufficiali della Juventus. Un video breve, meno di un minuto, ma importante. Elkann sceglie una veste informale, indossa una felpa con la scritta Juventus e parla di identità e di responsabilità. Traduzione per i tifosi che sognano nuovi padroni o un ritorno di Andrea Agnelli: il mercato è aperto per Gedi, ma non per la Juve. Il video va oltre le parole. Chiarisce ciò che viene smentito e ciò che resta aperto. Elkann chiude alla vendita della Juventus. Ma non chiude alla vendita di giornali e radio.
La linea, in realtà, era stata tracciata. Già ai primi di novembre, intervenendo al Coni, Elkann aveva dichiarato che la Juve non era in vendita, parlando del club come di un patrimonio identitario prima ancora che industriale. Uno dei nodi resta il prezzo. L’offerta attribuiva alla Juventus una valutazione tra 1,1 e 1,2 miliardi, cifra che Exor giudica distante dal peso economico reale (si mormora che Tether potrebbe raddoppiare l’offerta). Del resto, la Juventus è una società quotata, con una governance strutturata, ricavi di livello europeo e un elemento che in Italia continua a fare la differenza: lo stadio di proprietà. L’Allianz Stadium non è solo un simbolo. Funziona come asset industriale. È costato circa 155 milioni di euro, è entrato in funzione nel 2011 e oggi gli analisti di settore lo valutano tra 300 e 400 milioni, considerando struttura, diritti e capacità di generare ricavi. L’impianto produce flussi stabili, consente pianificazione e riduce l’esposizione ai risultati sportivi di breve periodo.
I numeri di bilancio completano il quadro. Nei cicli più recenti la Juventus ha generato ricavi operativi tra 400 e 450 milioni di euro, collocandosi tra i principali club europei per fatturato, come indicano i report Deloitte football money league. Prima della pandemia, i ricavi da stadio oscillavano tra 60 e 70 milioni di euro a stagione, ai vertici della Serie A. Su queste basi, applicando multipli utilizzati per club con brand globale e asset infrastrutturali, negli ambienti finanziari la valutazione industriale della Juventus viene collocata tra 1,5 e 2 miliardi di euro, al netto delle variabili sportive.
Il confronto con il mercato rafforza questa lettura. Il Milan è stato ceduto a RedBird per circa 1,2 miliardi di euro, senza stadio di proprietà e con una governance più complessa. Quel prezzo resta un riferimento nel calcio italiano. Se quella è stata la valutazione di un top club privo dell’asset stadio, risulta difficile immaginare che la Juventus possa essere trattata allo stesso livello senza che il socio di controllo giudichi l’operazione penalizzante.
A incidere è anche il profilo dell’offerente. Tether, principale emittente globale di stablecoin, opera in un perimetro regolatorio diverso da quello degli intermediari tradizionali, seguito con attenzione anche da Consob. Dopo l’ultimo aumento di capitale bianconero, Standard & Poor’s ha declassato la capacità di Usdt di mantenere l’ancoraggio al dollaro. Sul piano reputazionale pesa, inoltre, il giudizio dell’Economist (del gruppo Exor), secondo cui la stablecoin è diventata uno strumento utilizzato anche nei circuiti dell’economia sommersa globale, cioè sul mercato nero.
Intorno alla Juventus circolano anche altre ipotesi. Si parla di Leonardo Maria Del Vecchio, erede del fondatore di Luxottica e azionista di EssilorLuxottica attraverso la holding di famiglia Delfin, dopo l’offerta presentata su Gedi, e di un possibile interesse indiretto di capitali mediorientali. Al momento, però, mancano cifre e progetti industriali strutturati. Restano solo indiscrezioni.
Sullo sfondo continua intanto a emergere il nome di Andrea Agnelli. L’ex presidente dei nove scudetti ha concluso la squalifica e raccoglie il consenso di una parte ampia della tifoseria, che lo sogna come possibile punto di ripartenza. L’ipotesi che circola immagina un ritorno sostenuto da imprenditori internazionali, anche mediorientali, in un contesto in cui il fondo saudita Pif, guidato dal principe ereditario Mohammed bin Salman e già proprietario del Newcastle, si è imposto come uno dei principali attori globali del calcio.
Un asse che non si esaurisce sul terreno sportivo. Lo stesso filone saudita riaffiora nel dossier Gedi, ormai entrato nella fase conclusiva. La presenza dell’imprenditore greco Theodore Kyriakou, fondatore del gruppo Antenna, rimanda a un perimetro di relazioni che incrocia capitali internazionali e investimenti promossi dal regno saudita. In questo quadro, Gedi - che comprende Repubblica, Stampa e Radio Deejay - è l’unico asset destinato a cambiare mano, mentre Exor ha tracciato una linea netta: il gruppo editoriale segue una strada propria, la Juventus resta fuori (al momento) da qualsiasi ipotesi di cessione.
Jaki sembra un re Mida al contrario: uccide ciò che tocca ma rimane ricco
Finanziere puro. John Elkann, abilissimo a trasformare stabilimenti e impianti, operai e macchinari, sudore e fatica in figurine panini da comprare e vendere. Ma quando si tratta di gestire aziende «vere», quelle che producono, vincono o informano, la situazione si complica. È un po’ come vedere un mago dei numeri alle prese con un campo di calcio per stabilirne il valore e stabilire il valore dei soldi. Ma la palla… beh, la palla non sempre entra in porta. Peccato. Andrà meglio la prossima volta.
Prendiamo Ferrari. Il Cavallino rampante, che una volta dominava la Formula 1, oggi ha perso la capacità di galoppare. Elkann vende il 4% della società per circa 3 miliardi: applausi dagli azionisti, brindisi familiare, ma la pista? Silenziosa. Il titolo è un lontano ricordo. I tifosi hanno esaurito la pazienza rifugiandosi nell’ironia: «Anche per quest’anno vinceremo il Mondiale l’anno prossimo». E cosi gli azionisti. Da quando Elkann ha collocato quelle azioni il titolo scende e basta. Era diventato il gioiello di Piazza Affari. Dopo il blitz di Elkann per arricchire Exor il lento declino.
E la Juventus? Sotto Andrea Agnelli aveva conquistato nove scudetti di fila, un record che ha fatto parlare tutta Italia. Oggi arranca senza gloria. Racconta Platini di una breve esibizione dell’erede di Agnelli in campo. Pochi minuti e si fa sostituire. Rifiata, chiede di rientrare. Il campione francese lo guarda sorridendo: «John, questo è calcio non è basket». Elkann osserva da lontano, contento dei bilanci Exor e delle partecipazioni finanziarie, mentre tifosi e giornalisti discutono sulle strategie sportive. La gestione lo annoia, ma la rendita finanziaria quella è impeccabile.
Gedi naviga tra conti in rosso e sfide editoriali perdenti. Cairo, dall’altra parte, rilancia il Corriere della Sera con determinazione e nuovi investimenti. Elkann sorride: non è un problema gestire giornali, se sai fare finanza. La lezione è chiara: le aziende si muovono, ma i capitali contano di più.
Stellantis? La storia dell’auto italiana. La storia della dinastia. Ora un condominio con la famiglia Peugeot. Elkann lascia fare, osserva i mercati e, quando serve, vende o alleggerisce le partecipazioni. Anche qui, la gestione operativa non è il punto forte: ciò che conta è il risultato finanziario, non il numero di auto prodotte o le fabbriche gestite.
E gli investimenti? Alcuni brillano, altri richiedono pazienza. Philips è un esempio recente: un investimento ambizioso che riflette la strategia di diversificazione di Exor, con qualche rischio incorporato. Ma se si guarda al quadro generale, Elkann ha accumulato oltre 4 miliardi di liquidità entro metà 2025, grazie a vendite mirate e partnership strategiche. Una cifra sufficiente per pensare a nuove acquisizioni e opportunità, senza perdere il sorriso.
Perché poi quello che conta per John è altro. Il gruppo Exor continua a crescere in valore. Gli azionisti vedono il titolo passare da un minimo storico di 13,44 euro nel 2011 a circa 72 euro oggi, e sorridono. La famiglia Elkann Agnelli si gode i frutti degli investimenti, mentre il mondo osserva: Elkann è il finanziere perfetto, sa fare ciò che conta davvero, cioè far crescere la ricchezza e proteggere gli asset della famiglia.
In fondo, Elkann ci ricorda che la finanza ha il suo fascino anche quando la gestione aziendale è complicata: vendere, comprare, accumulare, investire con giudizio (e un pizzico di fortuna) può essere altrettanto emozionante che vincere scudetti, titoli di Formula 1 o rilanciare giornali. Il sorriso di chi ha azioni Exor vale più di qualsiasi trofeo, e dopotutto, questo è il suo segreto.
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