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2022-09-22
Londra paga le bollette. E noi?
Liz Truss (Ansa)
La corsa a salvare le imprese dal caro gas continua in tutto il nostro continente. Adesso la Gran Bretagna ha deciso che dal mese di ottobre coprirà il 50% del costo delle bollette per l’energia delle imprese per i prossimi sei mesi. Questo annuncio è stato dato in attesa di sapere cosa stabilirà il governo domani per il piano contro il caro energia.
In ogni caso, a partire dal 1 ottobre, e per sei mesi, i prezzi all’ingrosso dell’elettricità e del gas naturale verranno fissati rispettivamente a 211 sterline e a 75 sterline al megawattora. «Ci siamo mossi per impedire che le imprese collassino, proteggere l’occupazione e frenare l’inflazione», ha detto il cancelliere dello Scacchiere, Kwasi Kwarteng. I gruppi del settore hanno accolto favorevolmente il pacchetto, ma hanno avvertito che potrebbe essere necessario ulteriore sostegno dopo l’inverno. Resta inteso che il regime sarà riesaminato dopo tre mesi con un’opzione per estendere il sostegno alle «imprese vulnerabili» - ma non è noto quali settori rientrino nella categoria.
Anche gli ospedali, le scuole e gli enti di beneficenza riceveranno aiuto, ha affermato il governo. La misura, per altro, arriva dopo che i ministri avevano annunciato un piano da 150 miliardi di sterline per aiutare le famiglie per due anni contro il caro bollette. Il primo ministro Liz Truss ha affermato che il governo ha compreso l’«enorme pressione» che le imprese, gli enti di beneficenza e le organizzazioni del settore pubblico devono affrontare. Ha aggiunto che il nuovo schema fornirebbe «certezza e tranquillità». «Esiste il pericolo reale che, prima di mettere in atto il nostro progetto di aiuti, bar, pub e negozi potrebbero chiudere e semplicemente non potevamo permettere che ciò accadesse», ha spiegato la premier alla stampa a New York. «Ecco perché è giusto che il governo prenda una decisione a sostegno delle attività economiche». Ma nonostante i cospicui aiuti (che in Italia ci sogniamo) ci sono anche delle polemiche interne. In molti si chiedono quanto costerà e chi lo pagherà. La certezza è che l’esborso sarà finanziato tramite il ricorso all’indebitamento pubblico. Liz Truss infatti non intende tassare ulteriormente i profitti extra delle società energetiche, come invece chiede l’opposizione laburista. Ma c’è chi dice che l’annuncio è arrivato tardi: «Questo ha lasciato le aziende sotto una nuvola di dannosa incertezza» il commento di Sarah Olney, portavoce del Tesoro Lib dem che ha aggiunto: «Oltre i prossimi sei mesi il governo non ha stabilito un piano e questo costituisce un problema per le imprese che hanno bisogno di prendere decisioni a lungo termine». Oltre a questo, la Gran Bretagna si muove anche per migliorare la propria indipendenza energetica: fra le misure adottate dal neo primo ministro Truss, ci sono 100 nuove licenze di trivellazione nel Mare del Nord, e un potenziamento della produzione di energia nucleare.
Gli aiuti, come da settimane, continuano in tutta Europa. Il governo tedesco ieri ha annunciato che acquisirà il 98,5% di Uniper (per 8 miliardi di euro), il più grande importatore di gas del Paese, per salvare il gruppo dalla bancarotta.
Non solo perché perfino l’Olanda, che si è opposta con forza all’introduzione di un tetto al prezzo del gas che l’Europa importa dall’estero, ha deciso di intervenire sul suo mercato interno con un tetto al costo dell’energia per andare incontro alle famiglie. Un price cap a tutti gli effetti che entrerà in vigore il prossimo gennaio 2023, con aiuti che inizieranno però già da novembre e consisteranno in un limite ai prezzi al consumo di gas e dell’elettricità, rispettivamente di 1,50 euro a metro cubo e 70 centesimi per kilowattora (KWh). Sembra una beffa ma non lo è. Da un lato gli olandesi impediscono che si fissi un tetto comune ma dall’altro pensano giustamente a salvare la loro economia.
Insomma dopo Francia, Spagna, Germania, Svezia, Ungheria e tanti altri Paesi adesso anche Gran Bretagna e Olanda intervengono pesantemente per salvare il mercato interno dalla crisi energetica, per cercare di mettere un freno all’enorme crisi finanziaria in arrivo. Noi, invece, alla finestra a guardare. Aspettando Bruxelles.
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La decisione di Downing Street: lo Stato coprirà il 50% delle bollette alle imprese. «Mossa obbligata per proteggere il sistema economico e arrestare l’inflazione».Il grido d’allarme delle associazioni dilettantistiche: da Roma solo poche briciole. «La gestione di una vasca olimpionica passerà da 350.000 euro a oltre 1 milione».Lo speciale contiene due articoliLa corsa a salvare le imprese dal caro gas continua in tutto il nostro continente. Adesso la Gran Bretagna ha deciso che dal mese di ottobre coprirà il 50% del costo delle bollette per l’energia delle imprese per i prossimi sei mesi. Questo annuncio è stato dato in attesa di sapere cosa stabilirà il governo domani per il piano contro il caro energia.In ogni caso, a partire dal 1 ottobre, e per sei mesi, i prezzi all’ingrosso dell’elettricità e del gas naturale verranno fissati rispettivamente a 211 sterline e a 75 sterline al megawattora. «Ci siamo mossi per impedire che le imprese collassino, proteggere l’occupazione e frenare l’inflazione», ha detto il cancelliere dello Scacchiere, Kwasi Kwarteng. I gruppi del settore hanno accolto favorevolmente il pacchetto, ma hanno avvertito che potrebbe essere necessario ulteriore sostegno dopo l’inverno. Resta inteso che il regime sarà riesaminato dopo tre mesi con un’opzione per estendere il sostegno alle «imprese vulnerabili» - ma non è noto quali settori rientrino nella categoria.Anche gli ospedali, le scuole e gli enti di beneficenza riceveranno aiuto, ha affermato il governo. La misura, per altro, arriva dopo che i ministri avevano annunciato un piano da 150 miliardi di sterline per aiutare le famiglie per due anni contro il caro bollette. Il primo ministro Liz Truss ha affermato che il governo ha compreso l’«enorme pressione» che le imprese, gli enti di beneficenza e le organizzazioni del settore pubblico devono affrontare. Ha aggiunto che il nuovo schema fornirebbe «certezza e tranquillità». «Esiste il pericolo reale che, prima di mettere in atto il nostro progetto di aiuti, bar, pub e negozi potrebbero chiudere e semplicemente non potevamo permettere che ciò accadesse», ha spiegato la premier alla stampa a New York. «Ecco perché è giusto che il governo prenda una decisione a sostegno delle attività economiche». Ma nonostante i cospicui aiuti (che in Italia ci sogniamo) ci sono anche delle polemiche interne. In molti si chiedono quanto costerà e chi lo pagherà. La certezza è che l’esborso sarà finanziato tramite il ricorso all’indebitamento pubblico. Liz Truss infatti non intende tassare ulteriormente i profitti extra delle società energetiche, come invece chiede l’opposizione laburista. Ma c’è chi dice che l’annuncio è arrivato tardi: «Questo ha lasciato le aziende sotto una nuvola di dannosa incertezza» il commento di Sarah Olney, portavoce del Tesoro Lib dem che ha aggiunto: «Oltre i prossimi sei mesi il governo non ha stabilito un piano e questo costituisce un problema per le imprese che hanno bisogno di prendere decisioni a lungo termine». Oltre a questo, la Gran Bretagna si muove anche per migliorare la propria indipendenza energetica: fra le misure adottate dal neo primo ministro Truss, ci sono 100 nuove licenze di trivellazione nel Mare del Nord, e un potenziamento della produzione di energia nucleare.Gli aiuti, come da settimane, continuano in tutta Europa. Il governo tedesco ieri ha annunciato che acquisirà il 98,5% di Uniper (per 8 miliardi di euro), il più grande importatore di gas del Paese, per salvare il gruppo dalla bancarotta. Non solo perché perfino l’Olanda, che si è opposta con forza all’introduzione di un tetto al prezzo del gas che l’Europa importa dall’estero, ha deciso di intervenire sul suo mercato interno con un tetto al costo dell’energia per andare incontro alle famiglie. Un price cap a tutti gli effetti che entrerà in vigore il prossimo gennaio 2023, con aiuti che inizieranno però già da novembre e consisteranno in un limite ai prezzi al consumo di gas e dell’elettricità, rispettivamente di 1,50 euro a metro cubo e 70 centesimi per kilowattora (KWh). Sembra una beffa ma non lo è. Da un lato gli olandesi impediscono che si fissi un tetto comune ma dall’altro pensano giustamente a salvare la loro economia.Insomma dopo Francia, Spagna, Germania, Svezia, Ungheria e tanti altri Paesi adesso anche Gran Bretagna e Olanda intervengono pesantemente per salvare il mercato interno dalla crisi energetica, per cercare di mettere un freno all’enorme crisi finanziaria in arrivo. Noi, invece, alla finestra a guardare. Aspettando Bruxelles.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-governo-inglese-apre-il-portafogli-2658319109.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="particle-1" data-post-id="2658319109" data-published-at="1663785306" data-use-pagination="False"> div class="GN4_subheadline"> Alla vigilia dell’autunno lo sport dilettantisco italiano rischia il fallimento. All’origine del tracollo, che avrebbe conseguenze economiche e sociali devastanti per il Paese, c’è il rincaro dell’energia dovuto alle sanzioni contro la Russia. Come se non fosse bastato il biennio pandemico, adesso è la congiuntura economica che fa schizzare alle stelle i costi per la realizzazione, e soprattutto manutenzione, degli impianti sportivi. Uno dei casi che rappresenta al meglio il problema energetico è quello delle piscine. Nonostante i numerosi appelli per un maggiore sostegno economico, agli imprenditori del settore sono arrivate solo poche briciole. Nel 2022 il governo ha varato quattro provvedimenti per i gestori delle strutture natatorie e d’impiantistica sportiva: tre Dpcm e il recente dl Aiuti bis. Nel primo intervento, del 28 gennaio 2022, i fondi complessivi a disposizione per le piscine ammontavano a 30 milioni di euro, denaro che è stato erogato solo cinque mesi dopo, per la precisione lo scorso giugno, quando i gestori hanno intascato una cifra tra i 35.000 e i 112.000 euro. Nel secondo Dpcm ufficializzato lo scorso 10 giugno, le somme a disposizione per le piscine ammontano a 47 milioni; invece per quanto riguarda l’accreditamento siamo ancora in fase istruttoria e si stima che i gestori riceveranno un minimo di 25.000 euro (cifra che può aumentare in base al numero delle strutture gestite). Il terzo Dpcm del 30 giugno scorso garantisce 53 milioni per gli impianti sportivi, però come nel caso precedente il denaro, che oscilla tra i 15.000 e i 60.000 euro, deve essere ancora accreditato. Infine, come detto, il Dl aiuti bis che per lo sport stanzia 50 milioni di euro, di cui almeno la metà dovrebbe essere destinata alle piscine. «Inutile girarci intorno, c’è un evidente problema di cassa. La maggior parte dei fondi che sono stati stanziati», spiega alla Verità il presidente di Maker (realtà che gestisce 16 impianti fra piscine e palestre, e che aggrega gestori di impiantistica sportiva), Gianluca Argiolas, «non sono ancora arrivati. Se non paghiamo le bollette di luce e gas, ci staccano l’utenza». E ancora: «Sopravvive solo chi riesce a tamponare, ancora per qualche mese, l’emergenza. Per essere ancora più chiari: una piscina da 25 metri fino al 2019, spendeva per luce e gas 120.000 euro all’anno. Nel 2023 ne pagherà 550.000. L’olimpionica da 50 metri, invece, costava 350.000 euro annui, l’anno prossimo più di 1 milione. Costi energetici maggiorati di 700-800.000 euro non sono sostenibili». «A questo bisogna aggiungere che i gestori hanno il 30% in meno di ricavi per il Covid, alcune persone hanno ancora paura a recarsi nelle strutture. Senza dimenticare i costi aumentati per le famiglie, anch’esse alle prese con le bollette. E quindi ovviamente», conclude Argiolas, «hanno meno soldi da utilizzare per lo sport. È una tempesta perfetta». Va da sé che con questa congiuntura è improbabile che crescano nuovi campioni del calibro di Thomas Ceccon e Benedetta Pilato. Di fronte ai costi dell’energia pure il mondo della palla ovale non sorride, anzi. L’Unione rugby capitolina, con i suoi 600 iscritti, è la società più grande del Lazio. Dove bambini a partire dai cinque anni, fino agli over 42 possono fare attività sportiva. E non è finita qui perché ci sono gli «implaccabili», la formazione dove giocano anche persone diversamente abili. «In Italia purtroppo lo sport non è accessibile a tutti, anche se noi», racconta uno dei dirigenti della società, Cesare Marrucci, «proviamo a fare il contrario. È chiaro che veniamo incontro alle esigenze dei nostri tesserati, magari dilazionando il pagamento della quota. Però a volte non basta perché i genitori per la vergogna preferiscono non mandare più i figli al campo. Nel corso degli ultimi anni sono aumentate le persone che si rivolgono alla nostra onlus pur di continuare l’attività sportiva gratuitamente». D’altronde un anno di rugby per un ragazzo adolescente costa circa 800 euro, somma che comprende l’iscrizione alla squadra e il completino da gioco. Un esborso non indifferente per molte famiglie, a maggior ragione in una fase post pandemica aggravata dal rincaro energetico. Che farà sentire i suoi effetti più duri durante il tradizionale periodo di iscrizione, ovvero settembre e ottobre. «Avremo meno tesserati? Lo scopriremo fra un mese», rivela Marrucci. Poi c’è il capitolo costi per la società. A tal proposito non usa mezzi termini: «Sono triplicati. D’altronde abbiamo un ristorante del club e due campi da gioco: uno per l’allenamento e l’altro, in erba, per le gare. Lo tuteliamo, utilizzandolo il meno possibile. Il manto erboso ha bisogno d’acqua e per averlo sempre disponibile abbiamo fatto importanti lavori di manutenzione a inizio stagione». Per approfondire gli effetti del problema energetico sullo sport italiano, a tutti i livelli, basta ricordare cosa ha proposto due giorni fa il presidente della Lego Pro (primo livello della piramide professionistica del calcio), Francesco Ghirelli: «In pieno inverno le gare di serie C potrebbero essere anticipate ad orari mattutini. Il costo dell’energia per i club di serie C rischia di produrre danni pesanti e di far svanire le politiche di contenimento dei costi». Dal calcio al tennis lo spartito non cambia. C’è chi ha suggerito di giocare all’aperto anche d’inverno, una proposta di non facile realizzazione. L’unica cosa certa sono i costi per le tensostrutture, mediamente costavano ai gestori 50.000 euro all’anno, con il prezzo attuale di luce e gas gli importi in bolletta si aggireranno sui 200.000 euro. Gioco, partita, incontro.
Gabriele D'Annunzio (Ansa)
Il patrimonio mondiale dell’umanità rappresentato dalla cucina italiana sarà pure «immateriale», come da definizione Unesco, ma è fatto di carne, ossa, talento e creatività. È il risultato delle centinaia di migliaia di persone che, nel corso dei secoli e dei millenni, hanno affinato tecniche, scoperto ingredienti, assemblato gusti, allevato animali con amore e coltivato la terra con altrettanta dedizione. Insomma, dietro la cucina italiana ci sono... gli italiani.
Ed è a tutti questi peones e protagonisti della nostra storia che il riconoscimento va intestato. Ma anche a chi assapora le pietanze in un ristorante, in un bistrot o in un agriturismo. Alla fine, se ci si pensa, la cucina italiana siamo tutti noi: sono i grandi chef come le mamme o le nonne che si danno da fare tra le padelle della cucina. Sono i clienti dei ristoranti, gli amanti dei formaggi come dei salumi. Sono i giornalisti che fanno divulgazione, sono i fotografi che immortalano i piatti, sono gli scrittori che dedicano pagine e pagine delle loro opere ai manicaretti preferiti dal protagonista di questo o quel romanzo. Insomma, la cucina è cultura, identità, passato e anche futuro.
Giancarlo Saran, gastropenna di questo giornale, ha dato alle stampe Peccatori di gola 2 (Bolis edizioni, 18 euro, seguito del fortunato libro uscito nel 2024 vincitore del Premio selezione Bancarella cucina), volume contenente 13 ritratti di personaggi di spicco del mondo dell’italica buona tavola («Un viaggio curioso e goloso tra tavola e dintorni, con illustri personaggi del Novecento compresi alcuni insospettabili», sentenzia l’autore sulla quarta di copertina). Ci sono il «fotografo» Bob Noto e l’attore Ugo Tognazzi, l’imprenditore Giancarlo Ligabue e gli scrittori Gabriele D’Annunzio, Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. E poi ancora Lella Fabrizi (la sora Lella), Luciano Pavarotti, Pietro Marzotto, Gianni Frasi, Alfredo Beltrame, Giuseppe Maffioli, Pellegrino Artusi.
Un giro d’Italia culinario, quello di Saran, che testimonia come il riconoscimento Unesco potrebbe dare ulteriore valore al nostro made in Italy, con risvolti di vario tipo: rispetto dell’ambiente e delle nostre tradizioni, volano per l’economia e per il turismo, salvaguardia delle radici dal pericolo di una appiattente omologazione sociale e culturale. Sfogliando Peccatori 2, si può possono scovare, praticamente a ogni pagina, delle chicche. Tipo, la passione di D’Annunzio per le uova e la frittata. Scrive Saran: «D’Annunzio aveva un’esperienza indelebile legata alle frittate, che ebbe occasione di esercitare in diretta nelle giornate di vacanza a Francavilla con i suoi giovani compagni di ventura in cui, a rotazione, erano chiamati “l’uno a sfamare tutti gli altri”. Lasciamogli la cronaca in diretta. Chi meglio di lui. “In un pomeriggio di luglio ci attardavamo nella delizia del bagno quando mi fu rammentato, con le voci della fame, toccare a me le cura della cucina”. La affronta come si deve. “Non mancai di avvolgermi in una veste di lino rapita a Ebe”, la dea della giovinezza, “e di correre verso la vasta dimora costruita di tufo e adornata di maioliche paesane”. Non c’è storia: “Ruppi trentatré uova e, dopo averle sbattute, le agguagliai (mischiai) nella padella dal manico di ferro lungo come quello di una chitarra”. La notte è illuminata dal chiaro di luna che si riflette sulle onde, silenziose in attesa, e fu così che “adunai la sapienza e il misurato vigore... e diedi il colpo attentissimo a ricevere la frittata riversa”. Ma nulla da fare, questa, volando nel cielo non ricadde a terra, ovvero sulla padella. E qui avviene il miracolo laico. “Nel volgere gli occhi al cielo scorsi nel bagliore del novilunio la tunica e l’ala di un angelo”. Il finale conseguente. “L’angelo, nel passaggio, aveva colta la frittata in aria, l’aveva rapita, la sosteneva con le dita” con la missione imperativa di recarla ai Beati, “offerta di perfezione terrestre...”, di cui lui era stato (seppur involontario) protagonista. “Io mi vanto maestro insuperabile nell’arte della frittata per riconoscimento celestiale”.
La buona e sana cucina, dunque, ha come traino produttori e ristoratori «ma ancor più valore aggiunto deriva da degni ambasciatori e, con questo, i Peccatori di gola credo meritino piena assoluzione», conclude l’autore.
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Dal primo luglio 2026, in tutta l’Unione europea entrerà in vigore un contributo fisso di tre euro per ciascun prodotto acquistato su internet e spedito da Paesi extra-Ue, quando il valore della spedizione è inferiore a 150 euro. L’orientamento politico era stato definito già il mese scorso; la riunione di ieri del Consiglio Ecofin (12 dicembre) ne ha reso operativa l’applicazione, stabilendone i criteri.
Il prelievo di 3 euro si applicherà alle merci in ingresso nell’Unione europea per le quali i venditori extra-Ue risultano registrati allo sportello unico per le importazioni (Ioss) ai fini Iva. Secondo fonti di Bruxelles, questo perimetro copre «il 93% di tutti i flussi di e-commerce verso l’Ue».
In realtà, la misura non viene presentata direttamente come un’iniziativa mirata contro la Cina, anche se è dalla Repubblica Popolare che proviene la quota maggiore di pacchi. Una delle preoccupazioni tra i ministri è che parte della merce venga immessa nel mercato unico a prezzi artificialmente bassi, anche attraverso pratiche di sottovalutazione, per aggirare le tariffe che si applicano invece alle spedizioni oltre i 150 euro. La Commissione europea stima che nel 2024 il 91% delle spedizioni e-commerce sotto i 150 euro sia arrivato dalla Cina; inoltre, valutazioni Ue indicano che fino al 65% dei piccoli pacchi in ingresso potrebbe essere dichiarato a un valore inferiore al reale per evitare i dazi doganali.
«La decisione sui dazi doganali per i piccoli pacchi in arrivo nell’Ue è importante per garantire una concorrenza leale ai nostri confini nell’era odierna dell’e-commerce», ha detto il commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič. Secondo il politico slovacco, «con la rapida espansione dell’e-commerce, il mondo sta cambiando rapidamente e abbiamo bisogno degli strumenti giusti per stare al passo».
La decisione finale da parte di Bruxelles arriva dopo un iter normativo lungo cinque anni. La Commissione europea aveva messo sul tavolo, nel maggio 2023, la cancellazione dell’esenzione dai dazi doganali per i pacchi con valore inferiore a 150 euro, inserendola nel pacchetto di riforma doganale. Nella versione originaria, l’entrata in vigore era prevista non prima della metà del 2028. Successivamente, il Consiglio ha formalizzato l’abolizione dell’esenzione il 13 novembre 2025, chiedendo però di anticipare l’applicazione già al 2026.
C’è poi un secondo balzello messo a punto dall’esecutivo Meloni. Si tratta di un emendamento che prevede l’introduzione di un contributo fisso di due euro per ogni pacco spedito con valore dichiarato fino a 150 euro.
La misura, però, non sarebbe limitata ai soli invii provenienti da Paesi extra-Ue. Rispetto alle ipotesi circolate in precedenza, l’impostazione è stata ampliata: se approvata, la tassa finirebbe per applicarsi a tutte le spedizioni di piccoli pacchi, indipendentemente dall’origine, quindi anche a quelle spedite dall’Italia. In origine, l’idea sembrava mirata soprattutto a intercettare le micro-spedizioni generate da piattaforme come Shein o Temu. Il punto, però, è che colpire esclusivamente i pacchi extra-europei avrebbe reso la misura assimilabile a un dazio, materia che rientra nella competenza dell’Unione europea e non dei singoli Stati membri. Per evitare questo profilo di incompatibilità, l’emendamento alla manovra 2026 ha quindi «generalizzato» il prelievo, estendendolo all’intero perimetro delle spedizioni. L’effetto pratico è evidente: la tassa non impatterebbe solo sulle piattaforme asiatiche, ma anche sugli acquisti effettuati su Amazon, eBay e, in generale, su qualsiasi negozio online che spedisca pacchi entro quella soglia di valore dichiarato.
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Ansa
Insomma: il vento è cambiato. E non spinge più la solita, ingombrante, vela francese che negli ultimi anni si era abituata a intendere l’Italia come un’estensione naturale della Rive Gauche.
E invece no. Il pendolo torna indietro. E con esso tornano anche ricordi e fantasie: Piersilvio Berlusconi sogna la Francia. Non quella dei consessi istituzionali, ma quella di quando suo padre, l’unico che sia riuscito a esportare il varietà italiano oltre le Alpi, provò l’avventura di La Cinq.
Una televisione talmente avanti che il presidente socialista François Mitterrand, per non farla andare troppo lontano, decise di spegnerla. Letteralmente.
Erano gli anni in cui gli italiani facevano shopping nella grandeur: Gianni Agnelli prese una quota di Danone e Raul Gardini mise le mani sul più grande zuccherificio francese, giusto per far capire che il gusto per il raffinato non ci era mai mancato. Oggi al massimo compriamo qualche croissant a prezzo pieno.
Dunque, Berlusconi – quello junior, stavolta – può dirlo senza arrossire: «La Francia sarebbe un sogno». Si guarda intorno, valuta, misura il terreno: Tf1 e M6.
La prima, dice, «ha una storia imprenditoriale solida»: niente da dire, anche le fortezze hanno i loro punti deboli. Con la seconda, «una finta opportunità». Tradotto: l’affare che non c’è, ma che ti fa perdere lo stesso due settimane di telefonate.
Il vero punto, però, è che mentre noi guardiamo a Parigi, Parigi si deve rassegnare. Lo dimostra il clamoroso stop di Crédit Agricole su Bpm, piantato lì come un cartello stradale: «Fine delle ambizioni». Con Bank of America che conferma la raccomandazione «Buy» su Mps e alza il target price a 11 euro. E non c’è solo questo. Natixis ha dovuto rinunciare alla cassaforte di Generali dov’è conservata buona parte del risparmio degli italiani. Vivendi si è ritirata. Tim è tornata italiana.
Il pendolo, dicevamo, ha cambiato asse. E spinge ben più a Ovest. Certo Parigi rimane il più importante investitore estero in Italia. Ma il vento della geopolitica e cambiato. Il nuovo asse si snoda tra Washington e Roma Gli americani non stanno bussando alla porta: sono già entrati.
E non con due spicci.
Ieri le due sigle più «Miami style» che potessero atterrare nel dossier Ilva – Bedrock Industries e Flacks Group – hanno presentato le loro offerte. Americani entrambi. Dall’odore ancora fresco di oceano, baseball e investimenti senza fronzoli.
E non è un caso isolato.
In Italia operano oltre 2.700 imprese a partecipazione statunitense, che generano 400.000 posti di lavoro. Non esattamente compratori di souvenir. Sono radicati nei capannoni, nella logistica, nelle tecnologie, nei servizi, nella manifattura. Un pezzo intero di economia reale. Poi c’è il capitolo dei giganti della finanza globale: BlackRock, Vanguard, i soliti nomi che quando entrano in una stanza fanno più rumore del tuono. Hanno fiutato l’aria e annusato l’Italia come fosse un tartufo bianco d’Alba: raro, caro e conveniente.
Gli incontri istituzionali degli ultimi anni parlano chiaro: data center, infrastrutture, digitalizzazione, energia.
Gli americani non si accontentano. Puntano al core del futuro: tecnologia, energia, scienza della vita, space economy, agritech.
Dopo l’investimento di Kkr nella rete fissa Telecom - uno dei deal più massicci degli ultimi quindici anni - la direzione è segnata: Washington ha scoperto che l’Italia rende.
A ottobre 2025 la grande conferma: missione economica a Washington, con una pioggia di annunci per oltre 4 miliardi di euro di nuovi investimenti. Non bonus, non promesse, ma progetti veri: space economy, sostenibilità, energia, life sciences, agri-tech, turism. Tutti settori dove l’Italia è più forte di quanto creda, e più sottovalutata di quanto dovrebbe.
A questo punto il pendolo ha parlato: gli americani investono, i francesi frenano.
E chissà che, alla fine, non si chiuda il cerchio: gli Usa tornano in Italia come investitori netti, e Berlusconi torna in Francia come ai tempi dell’avventura di La Cinq.
Magari senza che un nuovo Mitterrand tolga la spina.
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