2020-10-15
Il governo incassa un altro scostamento. Ma tiene 23 miliardi chiusi in un cassetto
Confindustria: «Dei 100 stanziati negli scorsi mesi, un quarto non utilizzato. Colpa anche di provvedimenti farraginosi».La maggioranza assoluta in Senato raggiunta per un pelo. Approvata pure la Nadef.Lo speciale contiene due articoli.Il Parlamento, dunque, continua ad autorizzare scostamenti di bilancio, con votazioni in cui occorre la maggioranza assoluta; e l'opposizione, a partire dalla Lega, ha ancora una volta evitato di concedere alibi al governo, attestandosi sull'astensione. Ieri pomeriggio poco dopo le 17, infatti, a Palazzo Madama è passata al primo colpo, con i numeri richiesti, la risoluzione dei capigruppo della maggioranza che dava l'ok allo sforamento (per i feticisti dei numeri d'Aula, era la risoluzione numero 100).Va detto che, al di là della dialettica tra maggioranza e minoranza parlamentare, è anche normale che, vista la pesantissima incertezza che grava sul Recovery fund (sulla sua entità, sui suoi tempi, si potrebbe dire sulla sua stessa esistenza, vista la durezza e l'imprevedibilità del negoziato europeo in corso), l'Italia debba attrezzarsi per fare da sé, nella terra di nessuno - economicamente parlando - dei prossimi mesi. La relativa facilità con cui, da marzo in poi, sono stati autorizzati gli scostamenti si spiega esattamente così.Il problema - però - è comprendere che cosa accada dopo queste autorizzazioni parlamentari. Il Parlamento dà semaforo verde al governo, ma poi è proprio l'esecutivo a impantanarsi clamorosamente, come ormai dimostrano dati diversi, provenienti da fonti differenti, ma tutti convergenti nel descrivere la paralisi operativa e di spesa. Qualche giorno fa, è stato il centro studi di Confindustria a lanciare l'allarme nel suo Rapporto di previsione autunno 2020. Ecco cosa si legge alle pagine 31 e 32 di quel documento: «L'effettivo utilizzo delle risorse messe in campo con i Dl adottati dal governo in risposta all'emergenza può essere stimato pari a 76,8 miliardi di euro, circa 23 miliardi in meno di quanto indicato nei documenti di accompagnamento ai decreti». Dapprima il documento evoca come spiegazione un atteggiamento prudente del governo, ma poi avanza anche un altro fattore esplicativo: «Non è da escludere, però, che anche la farraginosità dei provvedimenti adottati e le difficoltà di implementazione possano incidere sull'effettiva erogazione delle risorse. Complessivamente, infatti, gli interventi decisi dal governo prevedono l'adozione di 208 decreti attuativi (137 nel decreto Rilancio, 37 nel decreto Agosto e 34 nel Cura Italia). Di questi, a oggi, ne sono stati adottati soltanto 64». Come si vede, secondo gli industriali, circa un quarto delle risorse risultano non spese, e meno di un terzo dei decreti necessari risultano effettivamente adottati. Non differiscono molto dalle stime di Confindustria quelle di Openpolis, che allarga l'analisi anche ad altri provvedimenti governativi, oltre a quelli citati. Per il Cura Italia servivano 34 decreti attuativi e ne sono stati adottati solo 24; per il decreto Rilancio ne servivano 137 e ne sono stati adottati 52; per il decreto Semplificazioni ne mancherebbero 38; per il decreto agosto ancora 36.Considerando anche altri decreti bisognosi di attuazione, il computo complessivo di Openpolis (valorizzato ieri dal Messaggero) parla di ben 200 provvedimenti ancora da varare, circa due su tre di quelli teoricamente necessari. La situazione si aggrava se si considera che in qualche caso ci sono termini temporali da rispettare, e in qualche caso no, il che rende tutto ancora più vago e indistinto. Tutto ciò apre riflessioni su due piani. Per un verso, c'è una questione di tecnica legislativa: sapendo che si rischia il pantano burocratico, sarebbe bene adottare provvedimenti sostanzialmente autoapplicativi, con un forte grado di automaticità. Per altro verso, c'è la già sottolineata questione delle risorse disponibili ma bloccate: il rischio, molto concretamente, è che si dia l'annuncio mediatico di un intervento, si crei una legittima attesa nei cittadini, e che tutto sia invece inghiottito dalle sabbie mobili di un'attuazione lenta o addirittura inesistente. Il che determina un corollario perfino surreale. Ovunque, si parla di spese che sarebbero necessarie: ad esempio, per un irrobustimento del trasporto pubblico locale, tema su cui le Regioni chiedono fondi, anche comprensibilmente, a maggior ragione in questa fase in cui si dovrebbero evitare vetture troppo affollate; oppure per esigenze sanitarie, con il ritornello ormai stucchevole dei favorevoli al Mes. Dov'è il paradosso? Sta nel fatto che le risorse ci sono, assolutamente autorizzate dal Parlamento, ma - per una ragione o per l'altra - sono ancora chiuse in qualche cassetto. Al punto che la prima cosa da fare sarebbe un controllo capillare dei decreti mancanti: per adottare quelli che sono ancora effettivamente indispensabili, e invece per eventualmente dirottare su esigenze nel frattempo sopravvenute (o accresciute) le risorse che sarebbero destinate a decreti attuativi ormai divenuti meno necessari o addirittura superflui, alla luce del tempo trascorso e della situazione mutata. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-governo-incassa-un-altro-scostamento-ma-tiene-23-miliardi-chiusi-in-un-cassetto-2648214526.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="esecutivo-salvo-per-quattro-voti-il-centrodestra-resta-compatto" data-post-id="2648214526" data-published-at="1602746897" data-use-pagination="False"> Esecutivo salvo per quattro voti. Il centrodestra resta compatto La maggioranza supera la prova delle votazioni in Parlamento sullo scostamento di bilancio e sulla Nadef, la Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza. I giallorossi si erano avvicinati a queste votazioni con molta preoccupazione, soprattutto al Senato: l'approvazione dello scostamento di bilancio prevede infatti la necessità di raggiungere la maggioranza assoluta, fissata a Palazzo Madama a quota 161, mentre sulla Nadef è sufficiente la maggioranza dei presenti. Alla fine, al Senato la risoluzione di maggioranza sullo scostamento di bilancio è passata con 165 sì, tre no e 121 astenuti, mentre la Nadef è stata approvata con 164 sì, 120 no e tre astenuti. Sullo scostamento di bilancio l'opposizione di centrodestra si è astenuta (tranne i senatori Antonio Iannone di Fratelli d'Italia, Carlo Martelli e Gianluigi Paragone, ex M5s iscritti al gruppo misto che hanno votato contro. Sulla Nadef, invece, il centrodestra ha votato contro. La maggioranza al Senato ha dunque superato la soglia dei 161 voti necessari per approvare lo scostamento di bilancio, collegato alla Nadef, per soli quattro voti, tra i quali quelli dei senatori a vita Mario Monti ed Elena Cattaneo. Sulla carta, a Palazzo Madama i giallorossi possono contare su 171 voti (95 M5s, 35 Pd, 18 Iv, 16 Misto e Maie, sette Autonomie. Ieri erano assenti quattro grillini (Cristiano Anastasi, per il Covid; Virginia La Mura, Tiziana Drago e Marinella Pacifico, queste ultime due in dissenso con il gruppo) e due senatori del Maie assenti per Covid, Adriano Cario e Ricardo Merlo. Sono stati 14 i voti favorevoli arrivati dal Misto, compresi Raffaele Fantetti e Sandra Lonardo, che hanno lasciato di recente Forza Italia. Nessuna crepa dunque nel centrodestra: a dispetto di quanto profetizzavano alcuni addetti ai lavori, Forza Italia non ha offerto alcun «aiutino» alla maggioranza, ma ha votato in perfetta sintonia con Lega e Fratelli d'Italia. La risoluzione di maggioranza approvata ieri chiede al governo, tra l'altro, più risorse per il sistema sanitario, «proseguendo sulla strada intrapresa, promuovendo una rinnovata rete sanitaria territoriale»; «investimenti per la messa in sicurezza, riqualificazione o costruzione di scuole, asili nido, scuole dell'infanzia»; «misure di sostegno in favore del settore del turismo, dello spettacolo, delle attività commerciali e dei pubblici esercizi che risultino più colpiti dalla pandemia con perdite ingenti, significativi cali di fatturato e la sparizione di molte figure professionali». «Ancora una volta il governo conferma di essere incapace di intendere e volere. Non è certo con gli strumenti contenuti nella nota di aggiornamento al Def che si possono contrastare gli effetti sulla pandemia e rilanciare l'economia del Paese», attaccano attraverso una nota i senatori della Lega Gian Marco Centinaio, già ministro dell'Agricoltura, Giorgio Maria Bergesio, capogruppo in commissione agricoltura a Palazzo Madama, Gianpaolo Vallardi, presidente della medesima commissione, Rosellina Sbrana, membro della commissione, e William De Vecchis. «Al Senato», ha commentato il premier Giuseppe Conte, «c'è stato un ampio riscontro della tenuta della maggioranza: abbiamo superato il quorum minimo richiesto. Al Senato c'era una situazione più delicata perché abbiamo numeri più ristretti e qualche parlamentare non arruolato per la pandemia in corso e le precauzioni che vanno adottate». Qualche ora dopo, anche la Camera dei deputati ha approvato, con 324 voti favorevoli, 203 astenuti e nessun contrario, la risoluzione di maggioranza sullo scostamento di bilancio. La risoluzione di maggioranza sulla Nadef è invece passata con 325 sì, 199 contrari e sei astenuti.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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