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2020-10-15
Il governo incassa un altro scostamento. Ma tiene 23 miliardi chiusi in un cassetto
Roberto Gualtieri (Ansa)
Il Parlamento, dunque, continua ad autorizzare scostamenti di bilancio, con votazioni in cui occorre la maggioranza assoluta; e l'opposizione, a partire dalla Lega, ha ancora una volta evitato di concedere alibi al governo, attestandosi sull'astensione. Ieri pomeriggio poco dopo le 17, infatti, a Palazzo Madama è passata al primo colpo, con i numeri richiesti, la risoluzione dei capigruppo della maggioranza che dava l'ok allo sforamento (per i feticisti dei numeri d'Aula, era la risoluzione numero 100).
Va detto che, al di là della dialettica tra maggioranza e minoranza parlamentare, è anche normale che, vista la pesantissima incertezza che grava sul Recovery fund (sulla sua entità, sui suoi tempi, si potrebbe dire sulla sua stessa esistenza, vista la durezza e l'imprevedibilità del negoziato europeo in corso), l'Italia debba attrezzarsi per fare da sé, nella terra di nessuno - economicamente parlando - dei prossimi mesi. La relativa facilità con cui, da marzo in poi, sono stati autorizzati gli scostamenti si spiega esattamente così.
Il problema - però - è comprendere che cosa accada dopo queste autorizzazioni parlamentari. Il Parlamento dà semaforo verde al governo, ma poi è proprio l'esecutivo a impantanarsi clamorosamente, come ormai dimostrano dati diversi, provenienti da fonti differenti, ma tutti convergenti nel descrivere la paralisi operativa e di spesa.
Qualche giorno fa, è stato il centro studi di Confindustria a lanciare l'allarme nel suo Rapporto di previsione autunno 2020. Ecco cosa si legge alle pagine 31 e 32 di quel documento: «L'effettivo utilizzo delle risorse messe in campo con i Dl adottati dal governo in risposta all'emergenza può essere stimato pari a 76,8 miliardi di euro, circa 23 miliardi in meno di quanto indicato nei documenti di accompagnamento ai decreti». Dapprima il documento evoca come spiegazione un atteggiamento prudente del governo, ma poi avanza anche un altro fattore esplicativo: «Non è da escludere, però, che anche la farraginosità dei provvedimenti adottati e le difficoltà di implementazione possano incidere sull'effettiva erogazione delle risorse. Complessivamente, infatti, gli interventi decisi dal governo prevedono l'adozione di 208 decreti attuativi (137 nel decreto Rilancio, 37 nel decreto Agosto e 34 nel Cura Italia). Di questi, a oggi, ne sono stati adottati soltanto 64». Come si vede, secondo gli industriali, circa un quarto delle risorse risultano non spese, e meno di un terzo dei decreti necessari risultano effettivamente adottati.
Non differiscono molto dalle stime di Confindustria quelle di Openpolis, che allarga l'analisi anche ad altri provvedimenti governativi, oltre a quelli citati. Per il Cura Italia servivano 34 decreti attuativi e ne sono stati adottati solo 24; per il decreto Rilancio ne servivano 137 e ne sono stati adottati 52; per il decreto Semplificazioni ne mancherebbero 38; per il decreto agosto ancora 36.
Considerando anche altri decreti bisognosi di attuazione, il computo complessivo di Openpolis (valorizzato ieri dal Messaggero) parla di ben 200 provvedimenti ancora da varare, circa due su tre di quelli teoricamente necessari. La situazione si aggrava se si considera che in qualche caso ci sono termini temporali da rispettare, e in qualche caso no, il che rende tutto ancora più vago e indistinto.
Tutto ciò apre riflessioni su due piani. Per un verso, c'è una questione di tecnica legislativa: sapendo che si rischia il pantano burocratico, sarebbe bene adottare provvedimenti sostanzialmente autoapplicativi, con un forte grado di automaticità. Per altro verso, c'è la già sottolineata questione delle risorse disponibili ma bloccate: il rischio, molto concretamente, è che si dia l'annuncio mediatico di un intervento, si crei una legittima attesa nei cittadini, e che tutto sia invece inghiottito dalle sabbie mobili di un'attuazione lenta o addirittura inesistente.
Il che determina un corollario perfino surreale. Ovunque, si parla di spese che sarebbero necessarie: ad esempio, per un irrobustimento del trasporto pubblico locale, tema su cui le Regioni chiedono fondi, anche comprensibilmente, a maggior ragione in questa fase in cui si dovrebbero evitare vetture troppo affollate; oppure per esigenze sanitarie, con il ritornello ormai stucchevole dei favorevoli al Mes. Dov'è il paradosso? Sta nel fatto che le risorse ci sono, assolutamente autorizzate dal Parlamento, ma - per una ragione o per l'altra - sono ancora chiuse in qualche cassetto. Al punto che la prima cosa da fare sarebbe un controllo capillare dei decreti mancanti: per adottare quelli che sono ancora effettivamente indispensabili, e invece per eventualmente dirottare su esigenze nel frattempo sopravvenute (o accresciute) le risorse che sarebbero destinate a decreti attuativi ormai divenuti meno necessari o addirittura superflui, alla luce del tempo trascorso e della situazione mutata.
Esecutivo salvo per quattro voti. Il centrodestra resta compatto
La maggioranza supera la prova delle votazioni in Parlamento sullo scostamento di bilancio e sulla Nadef, la Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza. I giallorossi si erano avvicinati a queste votazioni con molta preoccupazione, soprattutto al Senato: l'approvazione dello scostamento di bilancio prevede infatti la necessità di raggiungere la maggioranza assoluta, fissata a Palazzo Madama a quota 161, mentre sulla Nadef è sufficiente la maggioranza dei presenti. Alla fine, al Senato la risoluzione di maggioranza sullo scostamento di bilancio è passata con 165 sì, tre no e 121 astenuti, mentre la Nadef è stata approvata con 164 sì, 120 no e tre astenuti.
Sullo scostamento di bilancio l'opposizione di centrodestra si è astenuta (tranne i senatori Antonio Iannone di Fratelli d'Italia, Carlo Martelli e Gianluigi Paragone, ex M5s iscritti al gruppo misto che hanno votato contro. Sulla Nadef, invece, il centrodestra ha votato contro.
La maggioranza al Senato ha dunque superato la soglia dei 161 voti necessari per approvare lo scostamento di bilancio, collegato alla Nadef, per soli quattro voti, tra i quali quelli dei senatori a vita Mario Monti ed Elena Cattaneo. Sulla carta, a Palazzo Madama i giallorossi possono contare su 171 voti (95 M5s, 35 Pd, 18 Iv, 16 Misto e Maie, sette Autonomie. Ieri erano assenti quattro grillini (Cristiano Anastasi, per il Covid; Virginia La Mura, Tiziana Drago e Marinella Pacifico, queste ultime due in dissenso con il gruppo) e due senatori del Maie assenti per Covid, Adriano Cario e Ricardo Merlo. Sono stati 14 i voti favorevoli arrivati dal Misto, compresi Raffaele Fantetti e Sandra Lonardo, che hanno lasciato di recente Forza Italia. Nessuna crepa dunque nel centrodestra: a dispetto di quanto profetizzavano alcuni addetti ai lavori, Forza Italia non ha offerto alcun «aiutino» alla maggioranza, ma ha votato in perfetta sintonia con Lega e Fratelli d'Italia.
La risoluzione di maggioranza approvata ieri chiede al governo, tra l'altro, più risorse per il sistema sanitario, «proseguendo sulla strada intrapresa, promuovendo una rinnovata rete sanitaria territoriale»; «investimenti per la messa in sicurezza, riqualificazione o costruzione di scuole, asili nido, scuole dell'infanzia»; «misure di sostegno in favore del settore del turismo, dello spettacolo, delle attività commerciali e dei pubblici esercizi che risultino più colpiti dalla pandemia con perdite ingenti, significativi cali di fatturato e la sparizione di molte figure professionali».
«Ancora una volta il governo conferma di essere incapace di intendere e volere. Non è certo con gli strumenti contenuti nella nota di aggiornamento al Def che si possono contrastare gli effetti sulla pandemia e rilanciare l'economia del Paese», attaccano attraverso una nota i senatori della Lega Gian Marco Centinaio, già ministro dell'Agricoltura, Giorgio Maria Bergesio, capogruppo in commissione agricoltura a Palazzo Madama, Gianpaolo Vallardi, presidente della medesima commissione, Rosellina Sbrana, membro della commissione, e William De Vecchis.
«Al Senato», ha commentato il premier Giuseppe Conte, «c'è stato un ampio riscontro della tenuta della maggioranza: abbiamo superato il quorum minimo richiesto. Al Senato c'era una situazione più delicata perché abbiamo numeri più ristretti e qualche parlamentare non arruolato per la pandemia in corso e le precauzioni che vanno adottate». Qualche ora dopo, anche la Camera dei deputati ha approvato, con 324 voti favorevoli, 203 astenuti e nessun contrario, la risoluzione di maggioranza sullo scostamento di bilancio. La risoluzione di maggioranza sulla Nadef è invece passata con 325 sì, 199 contrari e sei astenuti.
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Confindustria: «Dei 100 stanziati negli scorsi mesi, un quarto non utilizzato. Colpa anche di provvedimenti farraginosi».La maggioranza assoluta in Senato raggiunta per un pelo. Approvata pure la Nadef.Lo speciale contiene due articoli.Il Parlamento, dunque, continua ad autorizzare scostamenti di bilancio, con votazioni in cui occorre la maggioranza assoluta; e l'opposizione, a partire dalla Lega, ha ancora una volta evitato di concedere alibi al governo, attestandosi sull'astensione. Ieri pomeriggio poco dopo le 17, infatti, a Palazzo Madama è passata al primo colpo, con i numeri richiesti, la risoluzione dei capigruppo della maggioranza che dava l'ok allo sforamento (per i feticisti dei numeri d'Aula, era la risoluzione numero 100).Va detto che, al di là della dialettica tra maggioranza e minoranza parlamentare, è anche normale che, vista la pesantissima incertezza che grava sul Recovery fund (sulla sua entità, sui suoi tempi, si potrebbe dire sulla sua stessa esistenza, vista la durezza e l'imprevedibilità del negoziato europeo in corso), l'Italia debba attrezzarsi per fare da sé, nella terra di nessuno - economicamente parlando - dei prossimi mesi. La relativa facilità con cui, da marzo in poi, sono stati autorizzati gli scostamenti si spiega esattamente così.Il problema - però - è comprendere che cosa accada dopo queste autorizzazioni parlamentari. Il Parlamento dà semaforo verde al governo, ma poi è proprio l'esecutivo a impantanarsi clamorosamente, come ormai dimostrano dati diversi, provenienti da fonti differenti, ma tutti convergenti nel descrivere la paralisi operativa e di spesa. Qualche giorno fa, è stato il centro studi di Confindustria a lanciare l'allarme nel suo Rapporto di previsione autunno 2020. Ecco cosa si legge alle pagine 31 e 32 di quel documento: «L'effettivo utilizzo delle risorse messe in campo con i Dl adottati dal governo in risposta all'emergenza può essere stimato pari a 76,8 miliardi di euro, circa 23 miliardi in meno di quanto indicato nei documenti di accompagnamento ai decreti». Dapprima il documento evoca come spiegazione un atteggiamento prudente del governo, ma poi avanza anche un altro fattore esplicativo: «Non è da escludere, però, che anche la farraginosità dei provvedimenti adottati e le difficoltà di implementazione possano incidere sull'effettiva erogazione delle risorse. Complessivamente, infatti, gli interventi decisi dal governo prevedono l'adozione di 208 decreti attuativi (137 nel decreto Rilancio, 37 nel decreto Agosto e 34 nel Cura Italia). Di questi, a oggi, ne sono stati adottati soltanto 64». Come si vede, secondo gli industriali, circa un quarto delle risorse risultano non spese, e meno di un terzo dei decreti necessari risultano effettivamente adottati. Non differiscono molto dalle stime di Confindustria quelle di Openpolis, che allarga l'analisi anche ad altri provvedimenti governativi, oltre a quelli citati. Per il Cura Italia servivano 34 decreti attuativi e ne sono stati adottati solo 24; per il decreto Rilancio ne servivano 137 e ne sono stati adottati 52; per il decreto Semplificazioni ne mancherebbero 38; per il decreto agosto ancora 36.Considerando anche altri decreti bisognosi di attuazione, il computo complessivo di Openpolis (valorizzato ieri dal Messaggero) parla di ben 200 provvedimenti ancora da varare, circa due su tre di quelli teoricamente necessari. La situazione si aggrava se si considera che in qualche caso ci sono termini temporali da rispettare, e in qualche caso no, il che rende tutto ancora più vago e indistinto. Tutto ciò apre riflessioni su due piani. Per un verso, c'è una questione di tecnica legislativa: sapendo che si rischia il pantano burocratico, sarebbe bene adottare provvedimenti sostanzialmente autoapplicativi, con un forte grado di automaticità. Per altro verso, c'è la già sottolineata questione delle risorse disponibili ma bloccate: il rischio, molto concretamente, è che si dia l'annuncio mediatico di un intervento, si crei una legittima attesa nei cittadini, e che tutto sia invece inghiottito dalle sabbie mobili di un'attuazione lenta o addirittura inesistente. Il che determina un corollario perfino surreale. Ovunque, si parla di spese che sarebbero necessarie: ad esempio, per un irrobustimento del trasporto pubblico locale, tema su cui le Regioni chiedono fondi, anche comprensibilmente, a maggior ragione in questa fase in cui si dovrebbero evitare vetture troppo affollate; oppure per esigenze sanitarie, con il ritornello ormai stucchevole dei favorevoli al Mes. Dov'è il paradosso? Sta nel fatto che le risorse ci sono, assolutamente autorizzate dal Parlamento, ma - per una ragione o per l'altra - sono ancora chiuse in qualche cassetto. Al punto che la prima cosa da fare sarebbe un controllo capillare dei decreti mancanti: per adottare quelli che sono ancora effettivamente indispensabili, e invece per eventualmente dirottare su esigenze nel frattempo sopravvenute (o accresciute) le risorse che sarebbero destinate a decreti attuativi ormai divenuti meno necessari o addirittura superflui, alla luce del tempo trascorso e della situazione mutata. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-governo-incassa-un-altro-scostamento-ma-tiene-23-miliardi-chiusi-in-un-cassetto-2648214526.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="esecutivo-salvo-per-quattro-voti-il-centrodestra-resta-compatto" data-post-id="2648214526" data-published-at="1602746897" data-use-pagination="False"> Esecutivo salvo per quattro voti. Il centrodestra resta compatto La maggioranza supera la prova delle votazioni in Parlamento sullo scostamento di bilancio e sulla Nadef, la Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza. I giallorossi si erano avvicinati a queste votazioni con molta preoccupazione, soprattutto al Senato: l'approvazione dello scostamento di bilancio prevede infatti la necessità di raggiungere la maggioranza assoluta, fissata a Palazzo Madama a quota 161, mentre sulla Nadef è sufficiente la maggioranza dei presenti. Alla fine, al Senato la risoluzione di maggioranza sullo scostamento di bilancio è passata con 165 sì, tre no e 121 astenuti, mentre la Nadef è stata approvata con 164 sì, 120 no e tre astenuti. Sullo scostamento di bilancio l'opposizione di centrodestra si è astenuta (tranne i senatori Antonio Iannone di Fratelli d'Italia, Carlo Martelli e Gianluigi Paragone, ex M5s iscritti al gruppo misto che hanno votato contro. Sulla Nadef, invece, il centrodestra ha votato contro. La maggioranza al Senato ha dunque superato la soglia dei 161 voti necessari per approvare lo scostamento di bilancio, collegato alla Nadef, per soli quattro voti, tra i quali quelli dei senatori a vita Mario Monti ed Elena Cattaneo. Sulla carta, a Palazzo Madama i giallorossi possono contare su 171 voti (95 M5s, 35 Pd, 18 Iv, 16 Misto e Maie, sette Autonomie. Ieri erano assenti quattro grillini (Cristiano Anastasi, per il Covid; Virginia La Mura, Tiziana Drago e Marinella Pacifico, queste ultime due in dissenso con il gruppo) e due senatori del Maie assenti per Covid, Adriano Cario e Ricardo Merlo. Sono stati 14 i voti favorevoli arrivati dal Misto, compresi Raffaele Fantetti e Sandra Lonardo, che hanno lasciato di recente Forza Italia. Nessuna crepa dunque nel centrodestra: a dispetto di quanto profetizzavano alcuni addetti ai lavori, Forza Italia non ha offerto alcun «aiutino» alla maggioranza, ma ha votato in perfetta sintonia con Lega e Fratelli d'Italia. La risoluzione di maggioranza approvata ieri chiede al governo, tra l'altro, più risorse per il sistema sanitario, «proseguendo sulla strada intrapresa, promuovendo una rinnovata rete sanitaria territoriale»; «investimenti per la messa in sicurezza, riqualificazione o costruzione di scuole, asili nido, scuole dell'infanzia»; «misure di sostegno in favore del settore del turismo, dello spettacolo, delle attività commerciali e dei pubblici esercizi che risultino più colpiti dalla pandemia con perdite ingenti, significativi cali di fatturato e la sparizione di molte figure professionali». «Ancora una volta il governo conferma di essere incapace di intendere e volere. Non è certo con gli strumenti contenuti nella nota di aggiornamento al Def che si possono contrastare gli effetti sulla pandemia e rilanciare l'economia del Paese», attaccano attraverso una nota i senatori della Lega Gian Marco Centinaio, già ministro dell'Agricoltura, Giorgio Maria Bergesio, capogruppo in commissione agricoltura a Palazzo Madama, Gianpaolo Vallardi, presidente della medesima commissione, Rosellina Sbrana, membro della commissione, e William De Vecchis. «Al Senato», ha commentato il premier Giuseppe Conte, «c'è stato un ampio riscontro della tenuta della maggioranza: abbiamo superato il quorum minimo richiesto. Al Senato c'era una situazione più delicata perché abbiamo numeri più ristretti e qualche parlamentare non arruolato per la pandemia in corso e le precauzioni che vanno adottate». Qualche ora dopo, anche la Camera dei deputati ha approvato, con 324 voti favorevoli, 203 astenuti e nessun contrario, la risoluzione di maggioranza sullo scostamento di bilancio. La risoluzione di maggioranza sulla Nadef è invece passata con 325 sì, 199 contrari e sei astenuti.
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Era inoltre il 22 dicembre, quando il Times of Israel ha riferito che «Israele ha avvertito l'amministrazione Trump che il corpo delle Guardie della rivoluzione Islamica dell'Iran potrebbe utilizzare un'esercitazione militare in corso incentrata sui missili come copertura per lanciare un attacco contro Israele». «Le probabilità di un attacco iraniano sono inferiori al 50%, ma nessuno è disposto a correre il rischio e a dire che si tratta solo di un'esercitazione», ha in tal senso affermato ad Axios un funzionario di Gerusalemme.
Tutto questo, mentre il 17 dicembre il direttore del Mossad, David Barnea, aveva dichiarato che lo Stato ebraico deve «garantire» che Teheran non si doti dell’arma atomica. «L'idea di continuare a sviluppare una bomba nucleare batte ancora nei loro cuori. Abbiamo la responsabilità di garantire che il progetto nucleare, gravemente danneggiato, in stretta collaborazione con gli americani, non venga mai attivato», aveva detto.
Insomma, la tensione tra Gerusalemme e Teheran sta tornando a salire. Ricordiamo che, lo scorso giugno, le due capitali avevano combattuto la «guerra dei dodici giorni»: guerra, nel cui ambito gli Stati Uniti avevano colpito tre siti nucleari iraniani, per poi mediare un cessate il fuoco con l’aiuto del Qatar. Non dimentichiamo inoltre che Trump punta a negoziare un nuovo accordo sul nucleare di Teheran con l’obiettivo di scongiurare l’eventualità che gli ayatollah possano conseguire l’arma atomica. Uno scenario, quest’ultimo, assai temuto tanto dagli israeliani quanto dai sauditi.
Il punto è che le rinnovate tensioni tra Israele e Teheran si stanno verificando in una fase di fibrillazione tra lo Stato ebraico e la Casa Bianca. Trump è rimasto irritato a causa del recente attacco militare di Gerusalemme a Gaza, mentre Netanyahu non vede di buon occhio la possibile vendita di caccia F-35 al governo di Doha. Bisognerà quindi vedere se, nei prossimi giorni, il dossier iraniano riavvicinerà o meno il presidente americano e il premier israeliano.
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Il Comune fiorentino sposa l’appello del Maestro per riportare a casa le spoglie di Cherubini e cambiare nome al Teatro del Maggio, in onore di Vittorio Gui. Partecipano al dibattito il direttore del Conservatorio, Pucciarmati, e il violinista Rimonda.
Muwaffaq Tarif, lo sceicco leader religioso della comunità drusa israeliana
Il gruppo numericamente più importante è in Siria, dove si stima che vivano circa 700.000 drusi, soprattutto nel Governatorato di Suwayda e nei sobborghi meridionali della capitale Damasco. In Libano rappresentano il 5% del totale degli abitanti e per una consolidata consuetudine del Paese dei Cedri uno dei comandanti delle forze dell’ordine è di etnia drusa. In Giordania sono soltanto 20.000 su una popolazione di 11 milioni, ma l’attuale vice-primo ministro e ministro degli Esteri Ayman Safadi è un druso. In Israele sono membri attivi della società e combattono nelle Forze di difesa israeliane (Idf) in una brigata drusa. Sono circa 150.000 distribuiti nel nNord di Israele fra la Galilea e le Alture del Golan, ma abitano anche in alcuni quartieri di Tel Aviv.
Lo sceicco Muwaffaq Tarif è il leader religioso della comunità drusa israeliana e la sua famiglia guida la comunità dal 1753, sotto il dominio ottomano. Muwaffaq Tarif ha ereditato il ruolo di guida spirituale alla morte del nonno Amin Tarif, una figura fondamentale per i drusi tanto che la sua tomba è meta di pellegrinaggio.
Sceicco quali sono i rapporti con le comunità druse sparpagliate in tutto il Medio Oriente?
«Siamo fratelli nella fede e nell’ideale, ci unisce qualcosa di profondo e radicato che nessuno potrà mai scalfire. Viviamo in nazioni diverse ed anche con modalità di vita differenti, ma restiamo drusi e questo influisce su ogni nostra scelta. Nella storia recente non sempre siamo stati tutti d’accordo, ma resta il rispetto. Per noi è fondamentale che passi il concetto che non abbiamo nessuna rivendicazione territoriale o secessionista, nessuno vuole creare una “nazione drusa”, non siamo come i curdi, noi siamo cittadini delle nazioni in cui viviamo, siamo israeliani, siriani, libanesi e giordani».
I drusi israeliani combattono nell’esercito di Tel Aviv, mentre importanti leader libanesi come Walid Jumblatt si sono sempre schierati dalla parte dei palestinesi.
«Walid Jumblatt è un politico che vuole soltanto accumulare ricchezze e potere e non fare il bene della sua gente. Durante la guerra civile libanese è stato fra quelli che appoggiavano Assad e la Siria che voleva annettere il Libano e quindi ogni sua mossa mira soltanto ad accrescere la sua posizione. Fu mio nonno ha decidere che il nostro rapporto con Israele doveva essere totale e noi siamo fedeli e rispettosi. La fratellanza con le altre comunità non ci impone un pensiero unico e quindi c’è molta libertà, anche politica nelle nostre scelte».
In Siria c’è un nuovo governo, un gruppo di ex qaedisti che hanno rovesciato Assad in 11 giorni e che adesso si stanno presentando al mondo come moderati. Nei mesi scorsi però i drusi siriani sono stati pesantemente attaccati dalle tribù beduine e Israele ha reagito militarmente per difendere la sua comunità.
«Israele è l’unica nazione che si è mossa per aiutare i drusi siriani massacrati. Oltre 2000 morti, stupri ed incendi hanno insanguinato la provincia di Suwayda, tutto nell’indifferenza della comunità internazionale. Il governo di Damasco è un regime islamista e violento che vuole distruggere tutte le minoranze, prima gli Alawiti ed adesso i drusi. Utilizzano le milizie beduine, ma sono loro ad armarle e permettergli di uccidere senza pietà gente pacifica. Siamo felici che l’aviazione di Tel Aviv sia intervenuta per fermare il genocidio dei drusi, volevamo intervenire personalmente in sostegno ai fratelli siriani, ma il governo israeliano ha chiuso la frontiera. Al Shara è un assassino sanguinario che ci considera degli infedeli da eliminare, non bisogna credere a ciò che racconta all’estero. La Siria è una nazione importante ed in tanti vogliono destabilizzarla per colpire tutto il Medio Oriente. Siamo gente semplice e povera, ma voglio comunque fare un appello al presidente statunitense Donald Trump di non credere alle bugie dei tagliagole di Damasco e di proteggere i drusi della Siria».
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Con Luciano Pignataro commentiamo l'iscrizione della nostra grande tradizione gastronomica nel patrimonio immateriale dell'umanità