2022-10-08
Niente soldi per le bollette. Però per i trans li trovano
(Ivan Romano/Getty Images)
Non è vero che gli aiuti non arrivano perché il governo dimissionario ha le mani legate. Quando vuole agisce, eccome. Prova ne sia che in extremis ha varato il piano Lgbt: una sorta di legge Zan che, cacciata dalla porta, è rientrata dalla finestra. Con tanto di indottrinamento a scuola e di incentivi alle aziende che assumono gay.Nei dibattiti televisivi sento spesso ripetere che, se stiamo affrontando con le mani legate la più grave crisi energetica degli ultimi cinquant’anni, la colpa è di chi ha fatto cadere il governo. Secondo questa tesi, prima l’esecutivo di Mario Draghi sarebbe stato costretto alle dimissioni e poi lasciato privo degli strumenti straordinari per arginare il fenomeno del caro bollette. In realtà, né la prima né la seconda affermazione rispondono al vero. Per quanto riguarda la questione della caduta dell’ex governatore della Banca d’Italia, è sufficiente consultare gli atti parlamentari e così ci si renderà conto che il 20 luglio di quest’anno il governo Draghi ha ottenuto la fiducia. Che poi 95 voti a favore contro 38 siano stati ritenuti insufficienti dal presidente del Consiglio per proseguire il suo mandato, in quanto alla maggioranza mancavano quelli del Movimento 5 stelle, della Lega e di Forza Italia, questa è un’altra faccenda. Il premier si è dimesso perché era cambiato il perimetro della coalizione che lo sosteneva, non perché non avesse i numeri per andare avanti. In altre stagioni abbiamo visto governi puntellati da frotte di voltagabbana trasformati in responsabili e nonostante ci fossero state scissioni anche dolorose, l’esecutivo fino a che ha potuto ha proseguito la propria navigazione. Certo, Draghi è Draghi, cioè un tecnico tutto d’un pezzo, che non è disponibile a compromessi e dunque di restare a Palazzo Chigi avendo contro partiti che prima erano alleati non aveva alcuna voglia. Dunque, ha fatto le valigie, ma non si può dire che sia stato costretto a gettare la spugna.E questa è una prima questione. Ma la seconda, cioè le mani legate dell’esecutivo, è altrettanto falsa. Il governo, se vuole, può fare ciò che ritiene necessario, a maggior ragione se si verifica una situazione imprevista. Quando nelle Marche l’alluvione ha travolto paesi e persone, Draghi non è rimasto con le mani in mano in quanto dimissionario, ma ha dichiarato lo stato d’emergenza e ha mobilitato la Protezione civile. Ci si vuol forse aggrappare all’idea che un conto è un disastro meteorologico e un altro quello economico? Ma è evidente che di fronte a un evento imprevisto, a una disgrazia o a una circostanza eccezionale che rischia di provocare seri danni, chiunque ci sia a Palazzo Chigi è autorizzato a intervenire. Dimissionario o no, con poteri di ordinaria amministrazione o straordinari, il premier resta premier, a maggior ragione di fronte a un pericolo che richiede di essere fronteggiato.La risibile obiezione di chi giustifica l’inattività sul fronte delle bollette con la crisi di governo, dunque, non sta in piedi. Ma per farvi capire ancora di più quanto sia infondata e in malafede questa argomentazione vi cito due casi, anzi due interventi dell’esecutivo. Il primo riguarda la guerra in Ucraina: nonostante sia dimissionario, il governo da luglio a questa parte non si è tirato indietro quando si è trattato di varare provvedimenti o aiuti che riguardassero il conflitto in corso. Prova ne sia che in questi giorni si sta varando l’ennesimo pacchetto di misure in favore di Kiev. Se queste sono possibili nonostante il governo sia dimissionario, volete farmi credere che le conseguenze della guerra scatenata da Putin, ovvero le bollette alle stelle, non si possono affrontare con un provvedimento straordinario? Ma ancor di più, a smontare la versione delle mani legate, contribuisce l’ultima mossa di Palazzo Chigi. Il dipartimento per le pari opportunità, insieme all’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, altra succursale dell’esecutivo, hanno appena varato la «Strategia nazionale Lgbt+» per il triennio 2022-2025. Vi state chiedendo di che si tratti? Del piano pluriennale per la «prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per l’orientamento sessuale e identità di genere». Era urgente? Urgentissimo. Se ne sentiva la mancanza? Ovviamente. Bisognava vararlo a pochi giorni dall’insediamento del nuovo Parlamento e a dieci dal conferimento dell’incarico a un nuovo premier? Certo che sì.In altre parole, poco prima di fare le valige il governo Draghi ha firmato un decreto per concedere congedi parentali ai genitori gay e incentivi alle aziende che assumono transgender. Non solo: la nuova «Strategia nazionale Lgbt+» obbligherà le università a creare un doppio libretto universitario per le persone transgender e le organizzazioni imprenditoriali e sindacali dovranno inserire nei contratti collettivi di lavoro «norme anti-discriminatorie per gli omosessuali». In pratica, negli atenei e nelle fabbriche, gay, lesbiche, ma immaginiamo anche bisessuali e transgender, saranno categorie protette e potranno godere di un trattamento favorevole. A prescindere dalle opinioni sulle misure adottate, erano proprio così urgenti da non poter aspettare il nuovo governo? Ma se quello in carica ha il potere di occuparsi solo dell’ordinaria amministrazione, perché adotta provvedimenti che paiono non urgenti e neppure straordinari? A me pare che la spiegazione stia solo nella necessità di un colpo di mano prima dell’addio.E infatti Elena Bonetti, ministro delle pari opportunità, si è affrettata a specificare che il piano a favore del movimento Lgbt+ è «vincolante». Ma se per i gay si può fare un blitz, perché non li può fare per le famiglie che non ce la fanno a pagare luce e gas?
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)