2020-06-19
Il governo corre a prendere la comanda del Quirinale per i negoziati con l’Europa
Il Consiglio Ue di oggi è «informale», eppure premier e ministri sono andati a ricevere ordini dal Colle. Ma senza mandato parlamentare, Conte sarà disarmato con Bruxelles.Contrordine, compagni! Il Consiglio europeo in programma per oggi non era forse «decisivo» l'altro ieri, ma deve improvvisamente esserlo diventato ieri. Si ricorderà infatti che la poco credibile motivazione addotta per giustificare il fatto che, per la seconda volta consecutiva, il premier si presenta a un vertice Ue senza il voto di risoluzioni parlamentari, ma solo a seguito di una cosiddetta «informativa» (speech in Aula del governo, dibattito, ma nessun voto di documenti) era appunto il presunto carattere «interlocutorio» del Consiglio («solo un incontro informale», dicevano i giallorossi). Dunque, si arrampicavano sugli specchi i rappresentanti del governo, non essendo ancora giunto il momento decisivo del negoziato, non sarebbe stato necessario votare risoluzioni di maggioranza e di opposizione. Tesi confutata a Palazzo Madama anche dal senatore a vita Mario Monti, non certo un pericoloso sovranista, che ha ricordato l'esistenza della legge 234 del 2012. In realtà tutti sanno che le giustificazioni del governo erano solo delle scuse: i grillini sono tuttora spaccati sul Mes, si parla al Senato di una ventina di dissidenti, e dunque Giuseppe Conte preferisce rimanere nell'ambiguità e tenersi le mani libere. Fosse per lui, il Parlamento sarebbe sentito non prima e dopo, ma soltanto dopo il negoziato europeo, cioè al momento della ratifica, puntando - a quel punto - sulla logica del fatto compiuto. Però, in nome del più classico doppio standard, ieri le cose sono cambiate, perché una nutrita delegazione del governo (Giuseppe Conte, più i ministri Luigi Di Maio, Roberto Gualtieri, Enzo Amendola e il sottosegretario Riccardo Fraccaro) è salita al Quirinale a prendere o a mettere a punto la linea. Dopo l'incontro, sono trapelati due messaggi di segno opposto. Uno più ottimista: «È emersa soddisfazione perché le posizioni iniziali dell'Italia sugli aiuti per i singoli Paesi sono oggi patrimonio comune dell'Europa». Peccato che il secondo messaggio, più pessimista, sia suonato come smentita del primo: «C'è la consapevolezza delle residue difficoltà che vanno ancora superate in sede di negoziato. Occorrono risposte concrete e in tempi rapidi per l'utilizzo dei fondi che arriveranno dall'Europa». Insomma, strada in salita. Per la cronaca, il Consiglio Ue sarà oggi in teleconferenza: si discuterà non solo del Recovery fund e del quadro finanziario pluriennale 2021-2027, ma pure di altri temi rilevantissimi tra cui la trattativa con il Regno Unito dopo la Brexit. Tutte cose che Conte e i suoi hanno discusso con Sergio Mattarella, ma su cui non hanno voluto un voto parlamentare. Giova ricordare un aspetto solo apparentemente tecnico, ma con una pesantissima conseguenza politica e negoziale. Come sono costruite le risoluzioni parlamentari? C'è una parte introduttiva (la formula usata nel documento è «considerato che») in cui ciascun gruppo politico mette in fila osservazioni, elementi di contesto, valutazioni varie, e poi c'è la parte più importante, quella dispositiva (introdotta dalla formula: «La Camera - oppure il Senato - impegna il governo a…»), in cui i presentatori del testo fissano i punti politici che ritengono vincolanti per il governo, quelli a cui l'esecutivo dovrà attenersi. Prima delle votazioni, un rappresentante del governo esprime il parere sulle risoluzioni, spiegando ai parlamentari quali intenda accogliere e quali no, eventualmente anche indicando le singole parti da recepire o da respingere: dopo di che, il voto dell'Aula rende una o più risoluzioni politicamente vincolanti. In genere, il governo recepisce la risoluzione della maggioranza e respinge quella dell'opposizione: ma, in particolare quando si tratta di politica internazionale, può anche accadere che più documenti siano recepiti dall'esecutivo, e quindi votati dal Parlamento. Perché questa spiegazione dettagliata? Perché avere alle spalle una risoluzione parlamentare non è solo un obbligo formale, ma un'opportunità politica per un governo impegnato in una delicata trattativa internazionale. Il teatro europeo non è mai un luogo facile da frequentare, le insidie sono sempre dietro l'angolo, e quindi, all'apparire di condizioni irricevibili, può essere di grande aiuto per un primo ministro avere in tasca un documento che gli consenta di dire: «Queste cose il mio Parlamento non mi permette di accettarle». Se invece si va a una trattativa «nudi» e senza protezioni, è molto più facile ritrovarsi disarmati. Controprova? Quando gli altri Paesi (si pensi alla solita Olanda) vogliono fissare dei paletti negoziali molto rigidi, fanno sempre in modo che il loro premier arrivi al vertice Ue avendo alle spalle un voto parlamentare vincolante nel loro Paese, proprio per irrobustire la capacità negoziale del loro esecutivo.E allora come si spiega la scelta del governo italiano, oltre al già citato tema dei grillini divisi sul Mes? La spiegazione più maliziosa e più dolorosa porta a ritenere che arrivare disarmati alla fase decisiva della trattativa, e quindi essere costretti a subire le decisioni altrui, non sia un incidente casuale, ma una volontà precisa, figlia del modo in cui questo governo è nato: per rispondere a Bruxelles, più che alla maggioranza degli elettori italiani.