
Il nostro Paese è un giacimento di preziosità suine. Se Egizi e Greci conoscevano e apprezzavano la carne di maiale messa sotto sale, è in un documento del 1400 che si fa riferimento per la prima volta agli insaccati. E il Sud ha alcune rare prelibatezze.L'Italia è una penisola di salami. Noi, qui, ci occuperemo di quelli normali, di carne suina, insaccati in un budello, ingabbiati in uno spago o steccati tra due legni, a stagionatura più o meno lunga, conditi con sale, pepe, aglio, peperoncino o altri aromi. Ce n'è un giacimento intero in Italia, stracolmo di gioielli del gusto. Una miniera ricca come quella dei sette nani di Biancaneve o come la caverna di Alì Babà. La complessa storia del nostro Paese e l'affamata civiltà contadina («Il maiale è il salvadanaio della famiglia per l'inverno») ci hanno tramandato queste golose preziosità di bocca in bocca. Impossibile presentarli tutti. Limiteremo il giro all'Italia dei salami dimenticati, insoliti e carichi di storia, mettendone in vetrina uno per regione partendo dal sud.Prima un po' di storia. Egizi e Greci conoscevano e apprezzavano la carne di maiale. Ne parla Aristofane nelle commedie, la consigliava Ippocrate 400 anni prima di Cristo in quanto energetica e di facile digestione. Gli Etruschi conoscevano l'arte di insaccare carni. I Romani avevano familiarità con prosciutti e salumi. Catone il censore docet nel De agricoltura, Plinio nella Naturalis historia. Orazio e Giovenale ci scherzano su, Marco Terenzio Varrone nel De re rustica apprezza i maiali padani. Marziale - chiamalo stupido - preferisce il perna, prosciutto di coscia, al petasio, la spalla. Il vocabolario latino degli insaccati è ricchissimo: tomacina è il salame, tomaculum la mortadella, lucanica la salsiccia che i legionari impararono a fare dai lucani e che secoli dopo divenne specialità di veneti e lombardi: la luganega. Altri tipi di salsiccia erano il botulus (da budello) e l'insicium. Insiciarius era il pizzicagnolo. Teodosio Macrobio, scrittore tra il IV e V secolo dopo Cristo, chiama l'insaccato suino caro salita, e cioè carne salata. Salamen, parola tardo latina, indicava qualsiasi cibo messo sotto sale, carne o pesce che fosse.Bisogna arrivare al Quattrocento per aggiustare la mira. Fu un capitano di ventura al soldo dei Visconti, Niccolò Piccinino, guarda caso figlio di un macellaio, a sottoscrivere un documento in cui chiedeva «... porchos viginti a carnibus pro sallamine» e cioè venti maiali per farne insaccati. Erano gli avi dei salami moderni.Altri studiosi di gastronomia sostengono che il primo a dare del salame al salame come lo intendiamo noi, sia stato alla fine del '500 Vincenzo Cervio, addetto al taglio delle carni a Palazzo Farnese, autore de Il trinciante, trattatello sul metodo di affettare la ciccia. Cervio descrisse più tipi di salame, di porco e d'altri animali, e precisò: «Altra sorte di salami li chiamano salsiccioni bolognesi, grossi, e pieni di carne battutta, duri di forte». Conditi con sale e pepe in grani sono i bisnonni del salame veronese, della soppressa vicentina, del salam d'la duja piemontese, del felino emiliano, della finocchiona toscana.Il tour suinicolo inizia in Campania. A Gioi, paesotto a 600 metri d'altezza nel parco nazionale del Cilento, c'è una gemma di rara bontà: la soppressata di Gioi. È una pagnottella fatta con carni suine nobili, tagliate in punta di coltello e insaccate in budello naturale. Aggiunge piacevolezza il filetto di lardo inserito al centro per tutta la lunghezza del salume. Finita la stagionatura, la soppressata viene delicatamente affumicata. Non meraviglia che all'Alma, la scuola internazionale di cucina fondata da Gualtiero Marchesi, sia stata riconosciuta come uno dei migliori salumi d'Italia tra 500 in gara. Racconta orgoglioso Raffaello Paladino, titolare del Piccolo salumicio artigianale di Gioi. «Essere catapultati nell'olimpo dei migliori salumi d'Italia è incredibile».Scavalchiamo l'Appennino per gustare il tocchetto di Lucera. Siamo in provincia di Foggia. Il tocchetto è un insaccato talmente tipico di Lucera che per assaggiarlo bisogna rivolgersi a una delle macellerie del posto. È un Pat, prodotto alimentare tradizionale di limitatissima produzione. È un salame piatto che gli studiosi locali fanno risalire al '700. L'insaccato è legato alla pastorizia. La storia dice (ma è più una leggenda) che i pastori in transumanza dai Monti Dauni al tavoliere lo conservavano sotto la sella dell'asino. È prodotto con la lombata del maiale tagliata a pezzi, impastata con sali e aromi e messa in salamoia per sette giorni. Dopo questo trattamento l'impasto viene introdotto nel budello del maiale, appeso per far perdere il liquido e steccato.La Basilicata, antica terra della lucanica diventata luganega e trasferitasi al nord, resta comunque la piccola patria della salumeria di lusso, la gioielleria Tiffany degli insaccati di pregio. Scegliere la salsiccia a catena di Cancellara è far torto a quella di Bella-Muro, alla Vecchiareddra, alla pezzenta e a un'altra decina di Miss Bontà. Ma scegliere bisogna. E come dice il fantasmagorico Rocco Catalano, selezionatore di eccellenze alimentari e cantore delle bontà lucane, «la salsiccia a catena di Cancellara non è una salsiccia, è una vibrazione che genera felicità, eccitazione». Prodotta con tagli suini di qualità, lavorati a coltello con semi di finocchietto selvatico e polvere di peperone di Senise, si chiama «a catena» perché il budello è formato di quattro anelli. È un insaccato di taglia slim: lungo e magro. Catalano lo fa risalire a tempi antichi, probabilmente al Regno di Napoli. Dalla Basilicata alla Calabria il passo è (relativamente) breve. La mmuttateddra è un salume cosentino della zona di Altomonte, incantevole paese ai piedi del Pollino. Siamo sulla dorsale appenninica della Calabria con il Tirreno sinistra e lo Jonio a destra. È terra di forti suggestioni e robusti sapori. Come la mmuttateddra, mortadella appetitosa da cuocere con altri ingredienti rustici. Il nome rimbalza tra lingua e palato, ma poi entrambi sono ricompensati col piacere. Il salame dei poveri nasce nell'antico mondo contadino calabrese. Il sapore è intenso, vivace. Purtroppo la mmuttateddra rischia, come quel mondo, l'estinzione. Troppo umile, grassa e rozza per tempi con la puzzetta al naso.Ad Altomonte la mmuttateddra è chiamata anche salsiccia pezzente. Enzo Barbieri, storico e vate dei prodotti tipici calabresi, nonché patron del ristorante del Buon Ricordo che da lui prende il nome, spiega: «È un insaccato fatto con le parti meno nobili del maiale: grasso, polmoni, trippa, cuore e pancetta. La carne va impastata con semi di finocchio selvatico, sale, peperoncino piccante in polvere e a scaglie. S'insacca in budelli corti, si fa asciugare per alcuni giorni e infine si mette sotto grasso in vasi di terracotta. La mmuttateddra si cuoce con cicorie selvatiche, fagioli bianchi poverelli. Si usa per fare sughi per pasta casereccia. Nella zuppa contadina è sublime».Poco oltre lo Stretto, medagliato con l'Igp, indicazione geografica protetta, ecco il salame di Sant'Angelo di Brolo che, secondo Cristina Di Carpegna, sociologa, è forse il più antico d'Italia. La sua storia risale all'XI secolo con la conquista normanna della Sicilia che reintroduce l'allevamento dei maiali reietti dagli Arabi. Il matrimonio tra Ruggero e Adelasia del Monferrato apre ai Lombardi, eredi dei Longobardi, grandi allevatori e mangiatori di maiali, la via verso il sud. Ottenuto dalle parti pregiate del maiale dei Nebrodi tagliate a coltello, è chiamato dalla Di Carpegna «salame lombardo, patriottico perché documenta l'antica integrazione tra l'Italia settentrionale e la meridionale».
Emanuele Orsini (Ansa)
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