2022-09-18
Il gioco di prestigio di Draghi sugli aiuti. Nemmeno un euro arriva da nuovi fondi
I tanto sbandierati 66 miliardi complessivi di sostegni arrivano da spostamenti interni al bilancio o dall’extragettito Iva.Da venerdì pomeriggio il miracolo biblico della moltiplicazione dei pani e dei pesci è ufficialmente entrato nell’ambito delle possibili soluzioni di politica economica. Abbiamo assistito attoniti alla liturgia di una conferenza stampa in cui il premier Mario Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco hanno reso noto agli italiani di aver messo a loro disposizione ulteriori 14 miliardi di «aiuti», senza aumentare il deficit. Spuntati dal nulla per miracolo.Quella somma si aggiunge a quelle precedentemente stanziate con altri otto decreti a partire da gennaio, per un totale di 66 miliardi. A detta del governo, siamo tra i Paesi europei ad aver erogato i maggiori aiuti a famiglie e imprese colpite dallo straordinario aumenti dei costi energetici.corte costituzionaleQui sosteniamo che invece quegli aiuti sono pari a zero o poco più e si tratta di mere illusioni e artifici contabili. Quei 66 miliardi provengono prevalentemente da due fonti: maggiori tasse versate dai contribuenti e minori spese precedentemente iscritte in bilancio ma poi tagliate per creare nuove coperture. Sul primo fronte spicca l’Iva, in crescita a due cifre perché calcolata su basi imponibili gonfiate dall’inflazione, accompagnata anche da una robusta crescita di Irpef e Ires. Poi segue l’improbabile contributo straordinario sugli extraprofitti delle imprese del settore energetico, il cui gettito appare scritto sull’acqua e che finirà certamente sotto lo scrutinio della Corte costituzionale. Infine, si si aggiunge anche il prelievo, eseguito dal Gse e riversato allo Stato, sugli extraprofitti dalla vendita di energie rinnovabili agli elevati prezzi correnti.Le maggiori imposte che stanno gravando sugli italiani a causa dell’inflazione avrebbero dovuto essere restituite senza ulteriori contropartite. Intestarle sotto la voce «aiuti» è un raggiro. Vorremmo ricordare che questa non è una nostra fantasiosa ipotesi perché negli anni Novanta due decreti legge disciplinarono la restituzione del cosiddetto «fiscal drag», cioè l’aumento del prelievo fiscale conseguente all’aumento dei redditi nominali gonfiati dall’inflazione. Tale restituzione, pur tra mille ostacoli e difficoltà, continuò fino al 2000, ed era condizionata a un’inflazione superiore al 2%. Oggi siamo oltre tale soglia da settembre 2021, con agosto all’8,4%, e dal Mef non giunge nessun cenno in proposito. Incassano e basta. E lo ammettono pure affermando, nella relazione presentata al Parlamento l’8 settembre, che «la revisione al rialzo della previsione delle entrate è attribuibile alla componente tributaria per la quale il monitoraggio, aggiornato con le informazioni disponibili sui versamenti ad agosto segnala un aumento di circa 4 miliardi. Le maggiori entrate tributarie derivano principalmente, dal risultato dei versamenti per imposte dirette, in particolare Irpef e Ires». Tali maggiori entrate, solo tra luglio e agosto, hanno aperto uno spazio fiscale di 6,2 miliardi, a cui si aggiungono le «razionalizzazioni degli stanziamenti di bilancio» e il prelievo sulle rinnovabili, per giungere alla disponibilità totale di circa 14 miliardi. mago HoudiniSu tale tecnica contabile non ha mancato di sollevare qualche perplessità anche l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), sottolineando che, pur essendoci i presupposti per utilizzare quei 6,2 miliardi, «al momento, dunque, non è possibile fornire una valutazione puntuale dei saldi di finanza pubblica». In altre parole, un monito a farla finita.Sul fronte delle spese, si è magnificata anche ieri - non senza sprezzo del ridicolo - l’azione del ministro Franco, abile cacciatore di fondi nelle cosiddette «pieghe del bilancio» (alias «razionalizzazioni»), ma il bilancio non ha «pieghe» di sorta, qualsiasi cosa significhi questa espressione. Il bilancio dello Stato è fatto di «promesse» di spesa (sia perdonata la formula atecnica), quindi se si destinano quelle stesse somme verso nuovi beneficiari, a parità di saldo - come ha ammesso di fare il governo - si sta puramente e semplicemente tradendo una preesistente promessa. Cioè ci sarà qualche impresa, famiglia, Comune o ministero da qualche parte dello Stivale che starà ricevendo dei soldi in meno rispetto a quanto pianificato. Oppure - nel caso quelle somme siano effettivamente eccedenti rispetto alla precedente pianificazione e conseguente fabbisogno dei legittimi beneficiari - si sta ammettendo di non aver saputo correttamente allocare la spesa pubblica secondo le effettive necessità, sbagliando clamorosamente le stime e scoprendo così in ritardo che quelle somme potevano essere liberate per altre finalità. Onestamente, non sappiamo scegliere la peggiore tra queste due possibilità.A livello macroeconomico per valutare l’azione di stimolo del governo verso l’economia conta solo un dato: il saldo finale del fabbisogno statale. Cioè la differenza tra quanto denaro (in questo caso aggiuntivo) lo Stato chiede ai cittadini con imposte e contributi e quanto ne spende con spese correnti ed in conto capitale. Ed i numeri del 2022 sono impietosi. Proprio giovedì Bankitalia ha comunicato che fino a luglio 2022 abbiamo assistito al prevedibile calo del fabbisogno del settore statale rispetto al 2021 per ben 45 miliardi, con gennaio, aprile, luglio e agosto che hanno chiuso addirittura in avanzo. Ma nemmeno un centesimo in più è apparso nel saldo netto da finanziare inizialmente pianificato ricorrendo al mercato. Tutto è stato risolto spostando le stesse somme da un capitolo di spesa all’altro, come i carri armati di Mussolini. Ma così al Mef basterebbe il mago Houdini.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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