2020-07-12
Il gigante ferito dalla furia del vento svetta lo stesso nella Città giardino
Villa Mirabello, Varese (Wikipedia)
Il cedro del Libano di Villa Mirabello domina su Varese. Spezzato dalle intemperie, non perde il fascino del suo nome.Varese è orfana della sua grande pianta. Svettava nel cuore della città, a pochi passi dal corso principale e dalle piazze pedonali, di certo non era la più vecchia, la più alta o la più grande, per dimensione. Ma i varesini erano affezionati, si davano appuntamento spesso ai piedi del «piantùn». Era un cedro dell'Atlante che svettava in via Veratti, alto 24 metri, circonferenza del tronco superiore ai cinque metri. Da quel che ricostruiscono gli autori del prezioso volume Alberi & Varese, di Carlo Mezza e Daniele Zanzi (Quirici edizioni), l'albero venne piantato intorno al 1870 da Giulio Adamoli, «ardente patriota, ex garibaldino, senatore del Regno», nel margine del proprio giardino, poi ovviamente ridotto e divorato dall'inarrestabile fame di cemento del piano regolatore. Ultimo testimone di quel tempo rimaneva il cedro, vero totem vegetale della città lombarda. Negli ultimi anni la malattia e interventi discussi ne hanno compromesso la vitalità.Varese però è una città giardino. Tante le residenze storiche che la circondano, sia lungo il lago che sulle colline che la cingono, dove riposano alberi secolari. Olmi, ippocastani, pioppi, pini, gelsi, tigli, castagni, corbezzoli, araucarie, cipressi, magnolie, faggi, sughere, palme, carpini, ginkgo, farnie, platani, sequoie e tanti cedri impreziosiscono i giardini e gli spazi verdi della città. Ogni stagione ha i propri protagonisti ma di certo la perenne vibrazione delle ampie chiome dei cedri di origine esotica la fa da padrona, non soltanto in questa città, ma nelle località che circondano i laghi del nord Italia. Quel che si dice di Varese può valere per Como, Bellagio, Cernobbio, Lecco, Verbania o Sirmione. Tanto che parrebbe irreale pensare che soltanto cinque o sei secoli fa di queste folte chiome sparate in cielo non vi fosse traccia. Eppure, nonostante i cedri siano noti dall'antichità, pensiamo ad esempio alle colonne del tempio di Gerusalemme, costituite da singoli tronchi di profumato cedro del Libano, l'importazione e la disseminazione pressoché sistematica delle tre specie - l'asiatico Cedrus deodara, dal Bhutan, l'africano Cedrus atlantica, dal Marocco, e il mediorientale Cedrus libani, da Libano, Cipro, Turchia e Siria - viene attestata nel corso del XVII-XVIII secolo.Per vastità d'architettura l'albero più esplosivo è il cedro del Libano, che anche a Varese ha mostrato tutta la sua magnificenza, andando a comporre, nel corso di un secolo e mezzo, il campione monumentale che svetta sulla collina di Villa Mirabello, punto panoramico al di sopra dei giardini della Villa comunale. Misure ufficiali: altezza metri 28,5, circonferenza dei tronchi che si annodano alla sua base, un coacervo di crescite e concrescite, metri nove. Purtroppo uno dei grandi rami che sfuggivano al suo centro, recentemente, ha ceduto alla forza dei venti, uno schianto che ha incrinato la sontuosa intoccabilità che questo albero suggeriva. Ma è nella natura stessa della natura spezzarsi, frangersi, creparsi. I grandi alberi spesso sono quel che ne risulta, sono sopravvissuti allo scorrere incalzante dei secoli, agli episodi drammatici della difficoltosa convivenza degli uomini, e al battere, incessante, della gran cassa dei capricci atmosferici. Ora, i giardini che circondano il grande cedro meriterebbero una visita scrupolosa, costellati come sono di molte specie esotiche e autoctone, ma il richiamo dello spirito selvatico che abita il grande cedro è potente. Anzitutto la sua chioma ampia, che parte dalla cima e si distribuisce armoniosamente tutta intorno, in cerchio, arrivando a schiacciare le proprie ombre al terreno. Poi, una volta superata la sua vigilanza, la maestosa composizione delle curve che dipingono questo pozzo scuro di cortecce e branche primarie e secondarie. La ramificazione proietta un bosco sospeso che si disegna sopra le nostre teste. Che vi sia il sole a picco sulla città, o che la neve abbia macchiato di bianco la scura legione aghiforme, l'albero è una sinfonia parlante come poche altre se ne possono incontrare nelle città italiane. Le quali non sono affatto sprovviste di alberi monumento, anzi, lo vedremo nei mesi a seguire. Ma di certo non è facile incontrare alberi tanto articolati. L'arboricoltore Daniele Zanzi, che da anni se ne prende cura, ipotizza che sia stato messo a dimora per la visita del futuro re Vittorio Emanuele di Savoia, il 17 agosto 1859, alla vigilia dell'unità nazionale. I cedri del Libano un tempo ricoprivano i monti del Paese che ne porta l'effigie al centro della bandiera, ma oggi ne sono rimaste riserve contenute, come la celebre Foresta dei Cedri di Dio, sulle pendici del Monte Makmel, la biosfera di Al-Shouf, sul Monte Barouk, le foreste di Tannaurine e Jaj, sul Monte Libano. Non mancano esemplari annosi, si stima oltre i 2.000 anni. Non a caso il poeta Alphonse de Lamartine diceva che questi alberi «conoscono la storia della Terra meglio della storia stessa».Fra i diversi altri grandi alberi della città merita una visita la sequoia gigante (Sequoiadendron giganteum) del cortile dell'Istituto dei Salesiani, in via Cesare Battisti: metri 31 di altezza, circonferenza del tronco che sfiora gli otto metri, le sue dimensioni ragguardevoli, sebbene minute rispetto ai padri e ai nonni ultramillenari e californiani, ne fanno la sequoia della propria specie più grande presente in una città italiana. Gli altri grandi esemplari si trovano nelle residenze private e pubbliche della campagna o in cittadine più ridimensionate, quali ad esempio Merano, Longarone (BL), Bee (VB) o Torre Pellice (TO).Scelta musica del giorno: Deep in the forest della cantante e compositrice scandinava Sinikka Langeland; un avanzare metodico fra le linee verticali di un bosco organizzato dall'ingegno umano, finché il ricordo e il dolore non ci raggiunge e appicca un fuoco negli occhi del camminante che avanzava forte, sicuro e sereno in una foresta. Pochi passi e il sangue scorre al contrario. Pochi respiri e la pioggia risale dalle foglie al cielo. Pochi passi e di nuovo il mondo è sottosopra e confuso. Poi tutto passa, il nodo si scioglie, e ricominciamo a fluire come l'acqua di un ruscello sottile quanto un filo di perle. La canzone venne registrata nell'album d'esordio, Starflowers (1996, ECM - garanzia suprema), ma esiste una versione più recente registrata nel 2018 nella chiesa di True Finnskog, disponibile su Youtube. La stessa artista ha prodotto nel 2015 un incantevole lavoro strumentale che contiene alcuni poemi cantati del premio nobel Tomas Tranströmer, titolo: The Half-Finished Heaven, Il paradiso terminato a metà, Il paradiso mezzo-finito. Non sarebbe una descrizione calzante della vita di ciascuno di noi?
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