2019-08-26
«Il giallorosso non piace affatto. Per gli italiani è meglio votare»
Carlo Buttaroni, presidente di Tecnè: «Soltanto il 13% auspica un governo M5s-Pd Lega in calo, ma il centrodestra unito vincerebbe. Crescono soprattutto gli indecisi».Una crisi attesa, un lieve calo di fiducia nei leader dei partiti della ex maggioranza, voglia di votare e soprattutto «no» a un governo giallorosso. Sembra questa la fotografia del nostro Paese alla vigilia del termine delle consultazioni al Quirinale secondo Carlo Buttaroni, sociologo e presidente dell'istituto di ricerca Tecnè, che già a febbraio aveva previsto tutto.Quanto piace agli italiani un eventuale governo Pd-M5s?«Solo il 13% indica come auspicabile un governo Pd-M5s. La prospettiva non raccoglie consensi significativi nemmeno tra gli elettori dei due partiti: solo il 22% degli elettori Pd e il 18% di quelli 5s ce l'ha indicata come soluzione alla crisi. Ma abbiamo misurato reazioni a caldo e la politica viene prima dei sondaggi».Non esiste il rischio nel medio periodo di una crescita della sfiducia nei confronti della politica causato da maggioranze di governo che non coincidono con gli orientamenti elettorali degli italiani rilevati nelle elezioni europee?«Il rischio esiste ed è molto concreto, soprattutto se il nuovo governo dovesse mettere in campo politiche impopolari. Penso a un cambio radicale delle politiche migratorie e a politiche economiche più orientate al contenimento del debito invece che alla crescita e a risanare le ferite della parte più sofferente della società». Quanto pesa la crisi politica sul grado di consenso degli elettori verso i partiti?«Benché fosse nell'aria, la crisi di governo ha provocato un sommovimento elettorale, con epicentro proprio nei due partiti di maggioranza, Lega e M5s. La Lega ha perso circa 3 punti rispetto alle europee e ben 7 rispetto a un analogo sondaggio che abbiamo realizzato a inizio agosto. Il M5s, al contrario, è cresciuto di qualche punto. Anche il Pd ha visto incrementare i consensi. Ma le traiettorie degli elettori non sono così dirette, come si potrebbe immaginare. La Lega ha ceduto qualcosa ai 5 stelle ma gran parte degli elettori che ha perso sono andati verso l'area grigia dell'astensione e degli incerti. Il Pd ha preso alla sua sinistra, catalizzando il consenso in chiave anti Salvini. Nel complesso, stimiamo che circa 6 milioni di elettori abbiano cambiato orientamento rispetto alle europee. Soprattutto, è cresciuta l'area d'incertezza e la fluidità elettorale, segno che nelle prossime settimane la geografia elettorale può cambiare di nuovo. Oggi è impossibile dire se assisteremo a un ritorno ai pesi politici usciti dalle urne delle europee oppure se prenderanno forma nuovi equilibri tra i partiti. Può veramente accadere di tutto».Fiducia nei leader, che cosa è cambiato?«Il dato più evidente riguarda il calo della fiducia in Matteo Salvini e la crescita in Giuseppe Conte. Il confronto al Senato tra i due leader è stato vissuto come un duello, la finalissima di una partita di calcio. Per gli elettori, l'ex premier ne è uscito vincitore, almeno ai punti. Conte ha visto crescere molto l'apprezzamento nei suoi confronti nella parte di elettori non leghisti, diventandone la bandiera. Evidentemente però, sotto questo punto di vista Conte partiva avvantaggiato, potendo contare su una base già ampia, costituita non solo dagli elettori pentastellati ma anche da quelli dei partiti di opposizione. Salvini, invece, ha visto scendere la fiducia soprattutto nell'area che non votava Lega ma apprezzava le suggestioni del leader e la capacità di entrare in sintonia con le persone comuni. Per molti di quelli che hanno cambiato opinione, non ha influito negativamente l'apertura della crisi, ma il fatto che il leader della Lega è sembrato, per la prima volta, non avere una traiettoria chiara, un punto di ricaduta delle scelte che faceva. E le dichiarazioni successive, di apertura a un nuovo esecutivo con il M5s, hanno alimentato un certo disorientamento. È come se fosse mancata una narrazione della crisi. Naturalmente, c'è anche una quota di elettori della Lega che ha cambiato giudizio, ma la maggioranza dei leghisti sono a fianco del loro leader. Per quanto riguarda i leader degli altri partiti non ci sono significative variazioni. È cresciuto Zingaretti, in particolare a sinistra. Bene soprattutto Berlusconi, al quale gli elettori riconoscono equilibrio e caratura istituzionale e per il presidente di Forza Italia la crescita dell'apprezzamento è trasversale».Ma al top dell'ammirazione chi c'è?«La vera star è Sergio Mattarella e gli italiani sembrano apprezzarne anche gli “eloquenti silenzi"».Quale è stato però il giudizio sulla crisi?«Che ci fosse elettricità nell'aria era chiaro a tutti. Subito dopo le elezioni europee abbiamo registrato per la prima volta il sorpasso di quanti chiedevano nuove elezioni rispetto a coloro i quali preferivano andare avanti con il governo Conte. L'accelerazione, però, è stata improvvisa e inaspettata e questo ha disorientato l'opinione pubblica. Nel sondaggio che abbiamo realizzato, il 50% degli intervistati ha detto che è stato giusto aprire la crisi, ma solo il 12% ha dichiarato che la scelta di farlo dopo il voto contrario dei 5 stelle alla Tav sia stata l'opzione migliore. Per il 16% il time-out sarebbe dovuto suonare dopo le elezioni europee, per il 22% bisognava fare prima la legge di stabilità e poi aprire la crisi. Insomma, sui tempi della crisi i pareri sono discordanti mentre solo il 38% si augurava che il governo arrivasse a fine legislatura».Per quali motivi sì o no alla crisi?«Il governo Conte ha fatto cose buone, altre meno. Sicuramente è mancato il segno forte che avrebbe dovuto dare lo shock positivo all'economia. È vero che il tempo del governo è stato breve ma un grande piano d'investimenti, una vera e profonda riforma della pubblica amministrazione e un sistema fiscale più equo e semplice è ciò di cui l'Italia ha urgente bisogno. Non sappiamo se il governo uscente sarebbe stato in grado di mettere in campo riforme tali da incidere profondamente sul sistema Paese. Forse sì, forse no. Ma la coabitazione forzata tra Lega e M5s ha dato spesso la sensazione di andare in direzioni diverse. E il problema non è tanto che cosa è scritto nel contratto di governo, ma ciò che ispira le scelte politiche nelle azioni quotidiana. Come insegna appunto la vicenda Tav. Tra Lega e M5s c'è la stessa voglia di cambiamento, ma è inutile nascondere che le visioni degli orizzonti verso cui deve rivolgersi tale cambiamento sono spesso divergenti. E quando due forze spingono in direzioni opposte il risultato è lo stallo. La crisi può essere utile se effettivamente porta a una maggioranza politica che spinge unita verso lo stesso orizzonte. È questo che si aspettano i mercati: riforme che portino alla crescita. Lo spread cresce se c'è incertezza, non quando le scelte sono chiare e orientate».E quindi quanta voglia c'è di votare?«Il 65% chiede nuove elezioni, il 36% le vorrebbe subito in autunno, il 29% dopo la legge di stabilità. Segno che gli italiani vogliono chiarezza. Una chiarezza che nasca dal passaggio elettorale. Un nuovo governo, quale sia la formula di maggioranza, raccoglie consensi decisamente minoritari. E meno di tutti ne ottiene una riedizione della maggioranza M5s e Lega. In ogni caso, la politica, quella con la P maiuscola, viene prima dei sondaggi e chissà, magari un nuovo governo potrebbe essere capace di far cambiare idea agli italiani. È successo in passato, potrebbe succedere anche ora».Intenzioni di voto?«In questo momento gli orientamenti di voto sono estremamente volatili. Nell'ultimo sondaggio, seppur in calo la Lega è risultato il partito di maggioranza relativa, con il 31,3%. Subito dopo c'è il Pd, salito al 24,6%, il M5s al 20,8%, Forza Italia all'8,3% e Fratelli d'Italia al 6,7%. Con questi dati, se si votasse oggi, una maggioranza sicura ci sarebbe soltanto con una coalizione di centrodestra e sarebbe centrale il peso degli azzurri».A parte l'appeal, un partito di Conte quanto peserebbe?«Conte è apprezzato molto dagli elettori 5 stelle e da una parte consistente degli elettori Pd. Esercita anche attrazione negli elettori di centro. Un suo eventuale partito raccoglierebbe consensi soprattutto in queste aree. Ha un potenziale notevole se si votasse oggi, godendo di quello che in termini economici e finanziari si definisce incumbent, cioè una posizione dominante derivante dal ruolo che ha esercitato. È evidente che questa posizione, nel tempo, tende ad affievolirsi. Oggi potrebbe ambire al 10-12%, sottraendo consensi soprattutto al M5s e al Pd. Ma quanto varrebbe tra un mese o due è difficile dirlo».Invece un partito di Renzi quanto vale?«Renzi ha un perimetro potenziale molto più circoscritto ed è più divisivo di Conte. Sicuramente ha le caratteristiche del leader, prova ne è che qualsiasi sua dichiarazione accende i riflettori e fa discutere. Potrebbe guardare a un partito di Renzi una parte degli elettori dem e qualche elettore centrista ma il suo orizzonte, in questo momento, è più difficile stimarlo».Buttaroni, come fate a farvi dire dagli italiani tutte queste cose? «Il metodo di rilevamento è misto, si basa su interviste telefoniche effettuate su rete fissa e mobile e su internet. Il campione che utilizziamo è rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne. Ma accanto ai tradizionali sondaggi abbiamo sviluppato una nuova metodologia predittiva basata sulle teorie di John Nash che ci sta dando molte soddisfazioni. Si tratta di un modello probabilistico, analogo a quelli che si usano per stimare gli andamenti finanziari. Non restituisce percentuali di voto ma campi di probabilità rispetto al fatto che si possano verificare alcuni eventi. Nel rapporto di febbraio avevamo previsto le tensioni all'interno della maggioranza e con una probabilità del 91% una crisi di governo, tra luglio e i primi di agosto, che avrebbe portato a una nuova maggioranza o a elezioni anticipate. Avevamo previsto anche le tensioni all'interno dei partiti. Insomma, ciò che sta succedendo ce lo aspettavamo».