2020-03-17
Il Gaucho in carcere manca l’ultimo dribbling
Dopo aver trionfato con le maglie di Barcellona e Brasile, Ronaldinho è finito dietro le sbarre in Paraguay per un passaporto falso. Per farlo uscire su cauzione il giudice ha chiesto 1,5 milioni. Intanto al torneo dei detenuti ha dato spettacolo, vincendo un maialino.Urge scomodare il dottor Faust, il sulfureo erudito che evocò Mefistofele in persona pur di allearsi con la progettualità suprema, trasformare gli eventi, creare le cose dal nulla per goderne senza misura. Della sua vicenda, due sono le varianti più note: il Faust raccontato da Cristopher Marlowe, al termine di una vita ricca, non beneficiava di redenzione e finiva dritto ad arrostire all'inferno. Quello di Johann Wolfgang Goethe, con uno scatto da attaccante di razza, dribblava la dannazione eterna e si salvava all'ultima pagina. Difficile prevedere quale Faust si attagli meglio alla parabola esistenziale di Ronaldo de Assis Moreira, per tutti Ronaldinho. Talento brasiliano del pallone tra i più definitivi e puri, è stato un Faust degli stadi che, come tutti i geni, qualcosa di diabolico doveva possedere per forza, essendo riuscito nel compito anelato da ogni calciatore in carriera: far sembrare all'apparenza facili, giocate in verità impossibili. Ma del genio, Ronaldinho, possiede anche quella qualità che gli stereotipi vorrebbero affibbiargli d'ufficio, la sregolatezza. Lui è della razza dei Garrincha, dei George Best, dei Maradona, per classe e per predilezione alla bisboccia. In questo periodo sta trascorrendo i giorni che lo separano dal compimento del suo quarantesimo compleanno - è nato il 21 marzo del 1980 a Porto Alegre - in un carcere di Asuncion, Paraguay, col fratello manager, Roberto de Assis. L'accusa è seria. I due avrebbero falsificato i loro passaporti con numeri di matricola che farebbero capo a due donne. La loro permanenza in gattabuia è vincolata all'entità della cauzione. I legali di Ronaldinho hanno presentato istanza di scarcerazione, con conseguente trasferimento agli arresti domiciliari, proponendo di sborsare l'equivalente di 800.000 euro. Il giudice Gustavo Amarilla avrebbe respinto la richiesta, facendo leva sulle cospicue capacità finanziarie degli imputati, rilanciando fino a un milione e mezzo di euro. Nell'attesa, fioccano i selfie dei compagni di cella dell'asso sudamericano - detenuto in un settore in cui abbondano ex agenti di polizia e burocrati corrotti - che pare sorridente come ce lo ricordiamo ai tempi d'oro, con quegli occhi un po' fuori dalle orbite quasi a richiamare un'iperattività tiroidea, i capelli lunghi, i denti in bella mostra che renderebbero scontato il paragone con qualche simpatico roditore. Sia chiaro, i suoi piedi sono fatati ancora adesso. Qualche giorno fa ha disputato una partita di calcetto nel penitenziario, portando la sua squadra a trionfare per 11 a 2, sfornando 5 gol e 6 assist e riscuotendo come premio un bel maiale arrosto di 16 chili che ne puntellerà gli avamposti adiposi da ex atleta ormai pingue, rammentando un detto sempreverde: «A tavola non si invecchia». Sulle prime, gli accordi prevedevano il divieto per lui di segnare, per non rendere la vita troppo difficile agli avversari, ma come si fa a chiedere a Ronaldinho di non gonfiare la rete? Sarebbe come chiedere a un falco di non volare. Ed è sconfortante, vedere dietro alle sbarre questo gioiello umano che del nobile pennuto possedeva grazia e istinto predatorio. Vincitore del Pallone d'oro nel 2005, due volte Fifa world player of the year, inserito da Pelè nella Top 100 dei più forti calciatori viventi, un Mondiale e una Copa America con la Selecao. Fama e gloria condivise con il connazionale Ronaldo, e con Kakà. Gli inizi nella squadra del Gremio ne misero in mostra le doti. Una predilezione per le giocate spettacolari, la tendenza a occupare la trequarti del campo sul versante sinistro, smaccata propensione all'avanzamento in area. Un anno e mezzo al Psg gli è servito per prendere confidenza col calcio europeo. Fino alla consacrazione con la maglia del Barcellona, nel luglio 2003. I catalani sulle prime avevano puntato su David Beckham, ma l'affare non andò in porto. Arrivò lui. Con Samuel Eto'o e con un giovane Lionel Messi formò un tridente destinato a passare alla storia, sotto la guida dell'allenatore Frank Rijkaard, prima dell'avvento del tiki taka. Silvio Berlusconi, che si spellava le mani per gli artefici di un bel «giuoco», lo corteggiò senza sosta. Nel luglio 2008 lo portò al Milan, per la gioia, tra i tanti, dei super tifosi Roberto Maroni e Matteo Salvini, tra i primi a essere informati del colpo di mercato costato 22 milioni di euro. Erano i rossoneri dell'ultimo spicchio dell'era Ancelotti, Ronaldinho già aveva iniziato a preferire la notte al giorno e la mondanità alla dedizione negli allenamenti. Ma anche giocando da fermo, dispensava perle funamboliche per la felicità della Curva Sud. «Ronaldinho è stato in discoteca fino alle 4? Gli avevo dato il permesso di stare fino alle 5», disse di lui un giorno Carlo Ancelotti, consapevole di come le stilettate ironiche non fossero sufficienti a nascondere un'evidenza urticante: il brasiliano cominciava a sacrificare il suo talento sull'altare dell'indolenza. Nel 2011 salutò Milano per tornare verso lidi carioca. Flamengo, Atletico Mineiro. Un'infausta parentesi messicana con la maglia del Querétaro. L'ultima apparizione da calciatore professionista è stata nella Fluminense, con cui ha riempito con maggior gusto le pagine di cronaca mondana rispetto a quelle di cronaca sportiva. È il destino dei re Mida per benedizione genetica e con troppa consapevolezza delle loro virtù. Arriva sempre il diavoletto tentatore disposto a trasformarle in peccati di vanità. E talvolta il conto è salato come quello di una cauzione.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?