2025-08-25
All’indomani della morte di Camilla, drammatica seduta del Cts: zuffe e scaricabarili. La registrazione coglie anche la telefonata del presidente Aifa che racconta di pressioni politiche per autorizzare Astrazenaca sotto i 60 anni. Posizione ribadita davanti ai pm.Ordini del giorno modificati all’ultimo secondo, zuffe da osteria, scaricabarili in serie. Tutto questo è accaduto nella drammatica riunione dell’11 giugno 2021 del Comitato tecnico scientifico, che si era svolta il giorno dopo la morte di Camilla Canepa, diciotto anni appena. La ragazza di Sestri Levante aveva ricevuto il vaccino Astrazeneca durante uno degli open day autorizzati proprio da una pilatesca decisione del comitato. La notizia rimbalza sui giornali, sulle tv, nelle case. Dentro il Cts rimbomba come un colpo di pistola. I video delle riunioni, che all’epoca erano blindati e che La Verità offre ai propri lettori sul suo sito Web, ora mostrano, parola per parola, le contraddizioni, i dubbi, i litigi dei professoroni chiamati a orientare il Paese nella pandemia. Quell’11 giugno nessuno vuole restare con il cerino in mano. Parte della riunione ruota attorno agli Astra day, proprio gli eventi che hanno portato Camilla davanti a una siringa carica di rischio. Un mese prima, il 12 maggio, il Cts aveva deciso di non raccomandare Astrazeneca e Johnson&Johnson, i due vaccini vettoriali (utilizzano un virus innocuo per trasportare il materiale genetico di un patogeno nelle cellule del corpo), agli under 60. Eppure nel verbale compare un’aggiunta che nessuno ricorda di aver discusso: «Il Cts non rileva motivi ostativi a che vengano organizzate… iniziative, quali i vaccination day… per tutti i soggetti di età superiore ai 18 anni». Una frase che diventa un lasciapassare. È con quelle parole che le Regioni autorizzano la somministrazione a tappeto. È a causa di quelle parole che Camilla si presenta il 25 maggio in un hub vaccinale della Liguria, convinta di fare la cosa giusta. Solo che la formula dell’adesione «volontaria» era un inganno: come poteva una diciottenne conoscere i rischi di trombosi cerebrali legati a quel siero? Quei rischi erano noti ai tecnici, come dimostrano i video delle riunioni del Cts, non a chi si metteva in fila. Ecco perché l’11 giugno la discussione esplode. Giorgio Palù, presidente dell’Aifa, il custode della sicurezza dei farmaci, viene registrato mentre è impegnato in una telefonata privata. Non si accorge che il microfono è aperto. Tutti lo ascoltano. «Era una decisione presa in linea con gli altri Paesi europei: Astrazeneca e Johnson&Johnson, per analogia, non si facevano sotto i 60 anni. Ci sono pressioni che non capisco sia per portarla più bassa Astrazeneca che Johnson&Johnson. Le dico la verità, glielo dico perché, uno per la responsabilità, perché il Cts in questo momento dà un parere e credo che ho espresso il mio parere anche come virologo e non mi sento di tornare indietro ecco, per qualche insistenza o desiderata ministeriale, ecco, volevo dirglielo questo…». La frase gela i colleghi. Franco Locatelli lo richiama: «Giorgio hai il microfono aperto, ti stiamo ascoltando, per cortesia, chiudi il microfono». Cinzia Caporale si infastidisce: «Potete staccare l’audio dalla regia per favore? Non capisco perché la regia non riesca a chiudere il microfono». Ma Palù va a ruota libera: «Ma sa, in Francia, in Germania 60… Johnson&Johnson». Poi ancora: «È questa che stiamo prendendo sia come Aifa, l’abbiamo presa, e devo dire che anche Magrini… anche come ente regolatorio, l’ho portata io in Cts... questa sicuramente siamo tutti d’accordo, il problema è quell’altro che…». Una conversazione a cuore aperto, davanti a tutti, che rivela ciò che nessuno voleva ammettere: le pressioni per allargare la platea dei vaccinati, anche ai giovani. La morte di Camilla diventa un macigno che fa archiviare i toni diplomatici. Gianni Rezza, direttore della Prevenzione del ministero della Salute, scoppia: «Io non ho l’anello al naso». Poi si scaglia contro gli open day: «Per quanto riguarda gli Astra day, noi come direzione generale non ci siamo mai espressi a favore». Fabio Ciciliano prova a replicare. Rezza lo inchioda: «Evidentemente, non so da chi, è stato chiesto un parere a questo consesso, di cui fai parte anche tu, e anche tu evidentemente devi rispondere di un undicesimo della responsabilità». Il clima diventa tesissimo, come da oggi potranno verificare personalmente i lettori sul sito. Rezza alza ancora la voce: «C’è una ragazza che è morta e tu stai bloccando tutto ciò per una frase». Ciciliano s’inalbera: «Gianni non te lo consento, non mi fare alzare la voce, non te lo consento perché se si fosse lavorato in maniera diversa questa ragazza non sarebbe morta, Gianni. E non te lo consento». L’audio registra urla, accuse. Una scena che sembra più un processo che una riunione tecnica. Rezza non si ferma: «Io non firmerò mai quel verbale». Poi minaccia di lasciare: «Io chiedo oggi al ministero, perché non posso dimettermi io, chiedo al ministro di uscire fuori dal Cts e faccio il mio dovere di direttore generale della direzione di Prevenzione. Resteranno gli esperti all’interno del Cts». Sergio Abrignani prova a riportare un po’ d’ordine: «Dobbiamo mettere nel verbale, secondo me, chi ha posto il quesito anzitutto, se è stato il ministro, se è stata la direzione, se è stata la Presidenza del Consiglio e questo taglia la testa al toro». Ma nessuno vuole assumersi la paternità di quella decisione. Silvio Brusaferro domanda: «Non possiamo mettere il nome, cioè chi ha fatto la richiesta? Scusate io non ho contezza». Alla fine, quando la riunione rischia di diventare incontrollabile, Locatelli tira fuori la formula salva coscienze: «Allora provo a proporvi una versione. Il Cts raccomanda che le Regioni quando promuovono eventi open day a favore delle vaccinazioni rispettino le indicazioni per fasce d’età. Va bene?». Tutti annuiscono, esausti. Giuseppe Ippolito cerca di smorzare con una battuta: «Oggi hai bisogno di una dose di omeprazolo». Ma non ride nessuno. Quella sera il verbale segna la marcia indietro del Cts. Una retromarcia che arriva solo dopo la morte di Camilla, sacrificata su un altare di pressioni politiche e verbali col trucco. Perché, lo spiegherà Palù ai magistrati e ai carabinieri, in quella riunione la questione degli Astra day non era all’ordine del giorno. Era arrivata dall’esterno. E che non figurava ufficialmente. L’aveva introdotta Locatelli. «Io il quesito sui vaccination day non l'ho mai visto formalmente», dice in modo fermo Palù agli inquirenti. Il pm Francesca Rombolà lo incalza: «Sì, ma nel momento che le arriva un verbale e vede che c'è questa decisione… allora lei dice… quasi non ha partecipato poi alla fine». Palù risponde: «No, ho partecipato e ricordo che alla fine ho detto: “Volete farli, fateli, le Regioni li facciano”». E spiega il motivo: «Quando la legge te lo consente, l'Ema (l’Agenzia europea per i medicinali, ndr) te lo consente, Fda (l’Agenzia statunitense per gli alimenti e i medicinali, ndr) te lo autorizza dai 18 anni in su, le Regioni hanno autonomia decisionale, cosa vuole che dica io?». Poi il passaggio da brividi: «E c’è una insistenza perché questa cosa venga fatta… questo dicono. Non è da un punto di vista scientifico, il punto di vista scientifico rimane la fascia di età. Quello è il vero punto e rimane che gli adenovirus sono autoinfiammatori, sia per la fibra, sia per la loro struttura che attivano una cascata infiammatoria e questo io l'ho ricordato e credo anche di aver citato che avevo studiato il problema. Quindi ero contrario». Il pm non si accontenta: «Sì, però, il verbale lo ha approvato anche lei». Palù risponde: «Vabbè l'ho approvato per forza, perché a un certo momento l'ho accettato. Signori, è libero, lo fate, la responsabilità è degli altri… se le Regioni lo fanno che se lo facciano». Dalla polizia giudiziaria devono aver storto il naso. Nella trascrizione integrale della deposizione attribuiscono agli investigatori solo un «sì, però…». Che è bastato a far sbottare Palù: «Io non ho il potere di veto su una decisione. Il Cts aveva tra i suoi membri persone che erano già inclinate a dire sì». Confermando così l’esistenza di una tesi già precostituita, che nel Cts andava solo approvata. Anche se la scienza diceva altro. E Palù lo spiega nitidamente: «Senta, io le dico onestamente, in scienza e coscienza ho sempre insistito che non si poteva fare. Quanto al quesito, io non l’ho visto. È chiaro che i vaccination day… io non l'ho visto il quesito… è arrivato all’ultimo momento». Ma il suo punto di vista era fermo: «Se vogliono farlo (le Regioni, ndr) che lo facciano. Questo è il concetto. E quindi che poi tradotto nel verbale, “non ostativo”, cosa dovevo fare? Dire che ero contrario al “non ostativo”? In realtà avevo detto: “Se proprio insistete…”». I video oggi visibili raccontano il resto: non un Comitato che difendeva la scienza, ma un organo che cercava di difendere sé stesso. E che, davanti alla morte di una ragazza, non seppe fare altro che infilare in un verbale la solita toppa burocratica.
Federico Fubini (Ansa)
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