2022-04-30
Il funerale del risotto è a un passo. In pericolo pure il prossimo raccolto
Guerra, costi folli e siccità affossano il settore. I produttori: «Tra un mese niente riso sugli scaffali». L’attacco con prodotti di pessima qualità dall’Estremo Oriente è già partito. E c’è chi si rassegna e si converte al mais.Celebreremo anche il funerale del risotto. Sarà il segnale che la carestia è arrivata sul serio se il primo produttore in Europa dei preziosi chicchi, cioè l’Italia, deve arrendersi a siccità, costi impazziti e dumping forsennato favorito dall’Unione europea, che di proteggere le nostre coltivazioni dall’invasione vietnamita e cambogiana non ha nessuna intenzione. L’allarme è stato dato qualche giorno fa da Mario Francese, che presiede l’associazione delle industrie risiere italiane (Airi). Francese ha annunciato: «Tra un mese sugli scaffali dei supermercati non ci sarà più riso italiano; faccio appello ai risicoltori perché diano fondo alle riserve». Le scorte di riso in Italia non sono mai state così basse. Alla fine di aprile è già stato collocato oltre l’81% del raccolto (1.465.000 tonnellate); significa che per sei mesi avremo il fiato corto. Ma il punto è: ci sarà un prossimo raccolto? La siccità sta compromettendo le semine e potrebbe ridimensionare di molto la produzione futura. Gli industriali del riso avevano chiesto una significativa espansione delle coltivazioni: almeno 10.000 ettari in più per fare fronte a una domanda cresciuta del 25% sul mercato nazionale e di oltre il 10% su quello europeo. In realtà le risaie sono aumentate di solo 2.000 ettari. Alla mancanza di prodotto si è assommato l’incremento folle dei costi. Sulla spinta del boom dei prezzi agricoli generato dagli aumenti energetici e acuito dal conflitto ucraino, alla Borsa di Pavia a fine marzo il Carnaroli quotava 825 euro a tonnellata, il Vialone nano 1.020, l’Arborio 600. A Milano il riso lavorato spuntava questi prezzi: Carnaroli 1.905 a tonnellata, Vialone nano 2.350, Arborio 1.445, il Parboiled ribe 1.515 euro a tonnellata. Mario Francese ha spiegato: «Sono tre le cause che stanno minando l’offerta di riso: i costi della materia prima, quelli energetici e quelli del confezionamento». Per le industrie risicole il costo dell’energia è aumentato del 150%, quello degli imballaggi del 40%, quello dei trasporti è lievitato del 35% e l’aumento medio del risone è del 20%. A conti fatti, oggi produrre riso costa circa due volte e mezzo più di un anno fa. Il che significherebbe portare a scaffale un Vialone nano a più di 6 euro al chilo. A fronte dell’inflazione che viaggia ufficialmente oltre al 6%, si rischia di mandare questo prodotto, tra i più appetiti degli italiani, fuori mercato. Il paradosso è che l’Italia è il maggior produttore di riso japonica, quello con cui si fa il piatto nazionale: il risotto. C’è in agguato una possibile invasione di riso che viene dall’Estremo Oriente della specie indica, di qualità inferiore e inadatto alle nostre ricette tradizionali. Per questo si guarda con apprensione ai campi. La semina del riso si fa tra fine aprile e metà maggio, ma la siccità che ha gravato sulle zone risicole di maggior produzione del Nord Italia mette a rischio la coltivazione. Va un po’ meglio in Sardegna. Molti produttori si stanno convertendo alla cosiddetta semina in asciutta per cercare di ovviare parzialmente alla carenza di acqua, ma la situazione non migliora molto. Anche perché ormai da anni si pratica la falsa semina. Le risaie vengono allagate con un velo d’acqua per ingannare il Crodo (è un simil riso infestante) che viene fatto germogliare, poi viene rimosso e successivamente si semina il vero riso di varietà tardive. Questa pratica però porta in avanti i tempi di messa a dimora delle piantine. Chi invece coltiva in asciutta deve comunque irrigare. La risaia allagata serve per mantenere costante la temperatura tra i 30 gradi di giorno e i 12 gradi di notte e migliorare la produzione. Quest’anno c’è chi sta rinunciando al riso e lo ha sostituito con il mais e con semi oleaginosi che oggi vengono pagati molto a causa della crisi ucraina e hanno minori costi di coltivazione, anche se la carenza e il rincaro dei fertilizzanti (la Russia è il primo produttore) rende complicatissima questa primavera agricola. Nel Veronese (è la patria del Vialone nano) c’è una riduzione di superfici risicole del 3%. Nel Vercellese il 65% dei coltivatori ha scelto l’asciutta e la Coldiretti di Novara ha fatto sapere che soia e girasole rimpiazzano il riso. Il blocco delle coltivazioni ucraine (da sola produce il 50% di olio di girasole) fa venire meno il mangime per il bestiame e i prezzi di queste produzioni si avvicinano a quelle del riso. Che peraltro a livello mondiale ora viene usato per alimentazione animale. Così Cambogia, Vietnam e Myammar ne approfittano per aumentare l’export e le produzioni di Filippine e Thailandia diventano competitive per l’impennata globale dei prezzi. Con l’Europa che non si preoccupa minimamente di proteggere le produzioni continentali e quella italiana, tant’è che la clausola di salvaguardia (scatta per evitare il dumping dei Paesi asiatici) di fatto è stata accantonata e a Cambogia e Vietnam saranno restituiti i dazi che erano stati imposti. Aggravando lo spread tra il nostro risotto e il loro chicchi.