2020-07-22
Il freno di emergenza è sul futuro. Così l’Ue ricatterà i governi sgraditi
L'agenda delle riforme dettata e il meccanismo di blocco all'erogazione dei fondi limitano lo spazio di manovra degli Stati. E per Bruxelles sono un'assicurazione contro maggioranze «ostili» che potrebbero uscire dalle urne.«Se dopo mezz'ora di una partita a poker non hai ancora capito chi è il pollo, significa che il pollo sei tu». Questa è la forte sensazione che deriva dalla lunga notte dei veti incrociati a Bruxelles, dove ciascuno aveva molto da perdere e qualcosa da guadagnare attorno al Recovery fund. E dove Giuseppe Conte ha barattato un'altra fetta di sovranità nazionale scambiandola con 81,4 miliardi, non certo in regalo come vorrebbe far credere. Dopo la notte dei tranelli è sorta l'alba dei vincitori, perché nella stucchevole stagione della politica degli annunci lo sono tutti. Lo è Emmanuel Macron che ha solo visto limare a 390 (miliardi) la soglia psicologica di 400 per le sovvenzioni a fondo perduto; lo è Angela Merkel nella versione papessa del bene; la vinto la Polonia che non voleva legare i fondi agli obiettivi climatici; ha vinto Viktor Orban che sperava di vedere allentate le condizioni relative ai diritti politici per accedere al bancomat europeo. Che qualcuno stia barando lo si intuisce quando, all'unisono, dicono di avere vinto anche i due principali rivali: l'olandese Mark Rutte e il premier italiano. Conte inneggia all'helicopter money come neanche Francesco Totti dopo il famoso cucchiaio mentre il tignoso primo ministro di Amsterdam sbandiera un nuovo, singolare strumento di tortura: il freno di emergenza. Con quello, lui e i cosiddetti Paesi frugali o parsimoniosi (Olanda, Austria, Danimarca, Svezia) si sono visti recapitare a casa un'arma per congelare i fondi verso un Paese membro «in caso di non rispetto della tabella di marcia delle riforme». L'armatura, costruita su misura sull'Italia, ha tutto per essere considerata una trappola ma nell'euforia del momento Pd e M5s preferiscono non enfatizzarne i mefistofelici poteri. Il freno di emergenza è in realtà un cappio al collo. Se un Paese non rispetta le condizioni del cadeau (concesso per progetti digitali, green o per riforme che non è detto debbano coincidere con le priorità della nazione proponente) ciascuno degli altri Paesi - anche uno solo dei 27 - può chiedere al presidente del Consiglio d'Europa di affrontare la questione per metterlo in mora. Il tema dovrà essere «discusso in maniera decisiva» nel giro di tre mesi e durante questo periodo la commissione avrà facoltà di congelare il pagamento delle rate. Come a dire: quei soldi li dovete usare per ciò che diciamo noi. Considerata la mediocrità strutturale della classe politica al governo non è detto che un commissariamento in piena regola sulle priorità sia una disgrazia, ma dietro le manovre economiche ci sono sempre forti interessi politici. Ed ecco che il freno di emergenza potrà sempre essere tirato alla bisogna o abbattuto come un crick sulla testa di chi devia dalla maggioranza più europeista del villaggio globale. Quello di aprire e chiudere i rubinetti a seconda delle maggioranze è un potere che l'Europa ha sempre preteso di far valere. Smascherata sul Mes, ecco pronto un altro strumento formale di pressione (perfino più chirurgico) nei confronti di un governo non allineato, come quelli che guardacaso escono da molti sondaggi italiani. «Per gli eurolirici tutto, per gli euroscettici la legge», si potrebbe perfino dire parafrasando Giovanni Giolitti.Il Conte canta vittoria con attorno i corifei in peplo e sandali: tutti da Recovery come scrive Dagospia. Sia perché gli 81,4 miliardi non sono gratis come abbiamo visto, sia perché non arriverà nulla fino alla primavera del 2021, sia perché dovranno essere spesi entro il 2023 presentando progetti consigliati da Bruxelles, che ha tagliato in modo consistente i fondi per la Sanità (le terapie intensive per la possibile seconda ondata di virus cinese le pagherà Roma), la ricerca e la transizione energetica verso le energie pulite. Questo solo per i denari cosiddetti regalati. Per quelli in prestito (127 miliardi) la faccenda è meno complicata: dovremo necessariamente restituirli con un programma di rientro dal 2026 al 2056. Poiché l'Italia è contributore netto della cassaforte europea, si tratta di soldi che il nostro Paese ha già anticipato; se li vede tornare in prestito e dovrà pagarci sopra gli interessi. Un exploit da campioni del mondo.Davanti a simili condizioni che hanno la forma inquietante di un capestro l'ultima reazione consigliata dovrebbe essere quella di giubilo, anche se in questa stagione da Covid economico vale il motto del «tanti, maledetti e subito» per pagare gli stipendi e le pensioni. Prima ancora di arrivare all'autunno la situazione è già drammatica. L'indicatore più concreto è il rifiuto del ministero delle Finanze di prorogare a settembre le scadenze Irpef e Iva, gettiti ritenuti indispensabili per la spesa corrente. Dopo la «potenza di fuoco mai vista» (proprio perché invisibile) evocata da Conte, ogni euro che rotola verso Sud è considerato il benvenuto. Il pollo del poker non ha capito che il freno d'emergenza è l'asso nella manica. Degli altri.