
Il progenitore del nostro grano era alla base dell’alimentazione nell’antica Roma. Ora è stato riscoperto con successo perché ha un glutine più digeribile e abbassa il colesterolo «cattivo».Tanti lo scambiano per un’alternativa al grano pensando che con esso non abbia niente a che fare. E invece il farro non solo è una graminacea come il grano, ma è un protograno o se preferite il genitore del grano odierno. La parola farro viene dal latino far, nome col quale si identificano tre tipi di farro, bella pianta appunto graminacea che è il più antico tipo di frumento coltivato, già dal Neolitico. Esistono tante specie di grano. Il nome botanico del genere è Triticum e le principali specie, riguardo alla nostra precisa tavola, sono cinque: il grano tenero cioè il Triticum aestivum, il grano duro cioè il Triticum durum, il farro piccolo cioè il Triticum monococcum, il farro medio cioè il Triticum dicoccum e il farro grande cioè il Triticum spelta. Per la nostra legge, gli unici due grani che in sede merceologica si possono chiamare frumento sono il grano tenero e il grano duro. Il farro è il primo cereale «addomesticato» dall’uomo intorno al 7500 avanti Cristo. Abbandonato con il tempo per dedicarsi a grani di maggior resa, il farro è risalito in auge dalla fine degli anni Settanta in poi, quando, in risposta all’industrializzazione della produzione alimentare e alla rivoluzione verde, si è ricominciato a mappare e poi ripristinare nella terra le colture che erano state abbandonate, come il farro, molto resistente a condizioni di coltivazione non gentili e agli attacchi di parassiti e simili ma di resa poco industriale e poco «rivoluzionaria». Tra i grani che oggi chiamiamo antichi, il farro è uno dei più gettonati e sicuramente il più antico. Il più antico farro è il farro piccolo anche detto monococco, sono stati addirittura ritrovati reperti del suo predecessore selvatico Triticum boeticum risalenti al X-IX millennio a.C., mentre i primi reperti di coltivazione sono del VIII-VII millennio a.C. Il farro piccolo, anche chiamato enkorn, ha una singola cariosside, raramente due, per ogni spighetta disposta sul rachide della spiga: un chicco a spighetta e le spighe pure piccine è un rendimento che fa considerare il monococco ancora oggi, pur nella rinascita del farro, poco economico da coltivare, così come fu in passato, quando fu soppiantato dal farro medio, il dicocco. cocco, dicocco e speltaUna spighetta del dicocco, addomesticazione della specie selvatica Triticum dicoccoides, contiene due cariossidi, talvolta tre. Il dicocco, anche detto emmer, è più prolifico del monococco e meno dello spelta, ma si adatta perfettamente al clima italiano e perciò divenne presto il più coltivato in epoca antica e tale è anche oggi. L’area tricolore più nota per il farro è certamente la Garfagnana, nella Toscana del Nord: il farro della Garfagnana ha avuto il riconoscimento europeo dell’Igp da molto tempo e tra le ricette classiche ci sono la minestra di farro, il farro e fagioli e la torta di farro, una torta salata di cui vi diamo la ricetta. Vantiamo poi un farro Dop, quello di Monteleone di Spoleto, e, in generale, tante aree italiane coltivano o hanno ripreso a coltivare farro. le spighe del caspioDue millenni dopo monococco e dicocco, si addomestica lo spelta o farro grande, in un’area più orientale rispetto al nostro Mediterraneo, il Caspio: anch’esso ha spighette con due, tre cariossidi e richiedendo climi più freddi sono perfetti quelli del Nord ed Est Europa. Raramente si trova un farro spelta italiano in vendita in Italia, avendone a coltura circa 500 ettari. Tutti e tre questi farri hanno il «vestito»: dopo la trebbiatura, il chicco rimane rivestito dalle glume e glumelle, che vengono rimosse tramite le decortatrici, macchine apposite anche dette svestitrici. Non decorticato è il farro integrale, a un livello medio di decorticatura c’è il farro decorticato, a un livello massimo il farro perlato, così detto perché la rimozione degli strati più esterni e scuri lo rende brillante come una perla. Si cucina senza ammollo, ma avendo perso sia crusca sia germe si tratta di un endosperma molto ricco di amidi, mentre il decorticato e ancora meglio l’integrale posseggono più fibre e un più basso indice glicemico (il decorticato va ammollato almeno un’ora prima di cuocere, l’integrale almeno 24, considerate quest’ultimo alla stregua di un cece). Man mano che il farro si raffina di più, perde fibre. Dal farro medio discende il grano duro e dal farro grande il grano tenero. La caratteristica fondamentale del farro è che presenta un glutine più digeribile rispetto alle sue parenti graminacee grano tenero e grano duro, perciò paste e pani di farro riscuotono grande successo presso alcuni consumatori. D’altronde, il farro era alla base dell’alimentazione anche dei legionari dell’antica Roma, quindi non poteva essere qualcosa che si piantava sullo stomaco. Con il farro i Romani facevano pani, focacce come il libum e tanti tipi di polenta (puls). Il farro è, insomma, un cereale dall’ottima performance nutrizionale che andrebbe consumato più spesso. Come spiega I cibi della salute. Mangiare sano per stare bene (Lswr editore), la farina di farro contiene più fibra solubile di quella di grano tenero e duro: questa fibra abbassa il colesterolo Ldl, cosiddetto cattivo, e regola i livelli di glucosio nel sangue. Il farro ha anche più niacina, vitamina B3, del frumento. Essa aiuta a produrre energia, fortifica il sistema immunitario e migliora la circolazione sanguigna. Il farro ha più proteine del frumento e tuttavia assorbe meno acqua.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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