2019-09-13
Il fantasma di Obama sulle primarie americane
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Dopo la clamorosa sconfitta alle presidenziali di tre anni fa, l'Asinello si è trovato sempre più smarrito e preda delle lotte intestine tra il centro e la sinistra. Joe Biden sta cercando di intestarsi il ruolo di unico e legittimo erede dell'ex inquilino della Casa Bianca.Houston, abbiamo un problema. Il fantasma politico di Barack Obama continua ad aleggiare sul Partito Democratico. Una situazione, testimoniata anche dal terzo dibattito televisivo tra i candidati alla nomination democratica del 2020, tenutosi questa notte Houston (in Texas). Dopo la clamorosa sconfitta alle presidenziali di tre anni fa, l'Asinello si è trovato sempre più smarrito e preda delle lotte intestine tra il centro e la sinistra. In questo caos, il rifarsi all'eredità di Obama ha sempre rappresentato una sorta di bussola: un punto di riferimento su cui fare affidamento per tenere compatto il partito, in attesa di tempi migliori. Sembra tuttavia che le cose stiano progressivamente cambiando. E che, quella che un tempo appariva come un'eredità condivisa, stia man mano diventando un fattore di (ulteriore) divisione.Come già nei dibattiti di giugno e luglio, anche nel confronto di Houston la figura di Obama è stata spesso evocata, soprattutto sui temi di sanità e immigrazione. Non è del resto un mistero che, da quando è iniziata questa campagna elettorale, Joe Biden – che di Obama è stato vicepresidente per otto anni – stia cercando di intestarsi il ruolo di unico e legittimo erede dell'ex inquilino della Casa Bianca. Non a caso, nel pieno dello scontro sulla questione sanitaria, Biden questa notte ha affermato: «Lo so che la senatrice [Warren] dice che è per Bernie, beh, io sono per Barack. Penso che l'Obamacare abbia funzionato». L'ex vicepresidente sostiene che la proposta sanitaria avanzata da Bernie Sanders e da Elizabeth Warren (volta a creare un sistema sanitario universale) risulti troppo onerosa. In questo senso, Biden ripete da tempo la necessità di migliorare la riforma obamiana del 2010, senza tuttavia stravolgerne i fondamenti. Sotto questo aspetto, l'ex vicepresidente propone la cosiddetta public option: la creazione, cioè, di un sistema di copertura sanitaria pubblico a fianco di quello privato. Peccato si dimentichi spesso di dire che Obama – favorevole a questa soluzione – non fosse riuscito a farla approvare dal Congresso. Biden non è d'altronde il solo a pensarla così. Sul palco di Houston, anche la senatrice del Minnesota, Amy Klobuchar, ha difeso la linea della public option, citando esplicitamente Barack Obama. Tutto questo, anche perché Sanders non ha mai nascosto di considerare l'Obamacare un provvedimento troppo timido, che dovrebbe essere superato in vista di una svolta più energica (e dispendiosa). Insomma, la strategia di molti centristi nell'Asinello sembra quella di voler arruolare – per così dire – l'ex presidente alla "causa moderata" contro la sinistra di Sanders e della Warren. Un'operazione dal dubbio valore storico, visto che – quando si candidò alle primarie democratiche del 2008 – Obama era percepito come una figura piuttosto radicale dall'establishment del suo stesso partito (anche in materia sanitaria).Il punto è che l'eredità dell'ex presidente non sempre sembra prestarsi alle mire politiche degli attuali candidati. Nell'ambito di un partito – quello democratico – che veleggia verso posizioni sempre più lassiste in tema di immigrazione clandestina, la linea dura adottata sui rimpatri dallo stesso Obama nel corso del suo primo mandato diventa automaticamente fonte di imbarazzo. Non a caso, nel corso del dibattito, il moderatore si è rivolto a Biden, chiedendogli se considerasse quella politica un errore, soprattutto nella prospettiva di conquistare il voto degli elettori ispanici. L'ex vicepresidente ha cercato di svicolare, sottolineando la differenza tra Obama e Donald Trump e prodigandosi a enumerare le misure che adotterebbe in materia, una volta arrivato allo studio ovale. Peccato per lui che il moderatore abbia continuato ad incalzarlo. Biden ha tentato allora di cavarsela limitandosi a dire; "ero il vicepresidente" e attribuendo così tutta le responsabilità all'ex inquilino della Casa Bianca. La cosa non è andata giù all'ex ministro, Julian Castro, che ha fulminato il front runner democratico. "Il mio problema con il vicepresidente Biden", ha detto, "è che ogni volta che emerge qualcosa di buono su Barack Obama, dice, oh, ero lì, ero lì, ero lì, anche io, e poi ogni volta che qualcuno mette in discussione parte dell'amministrazione a cui partecipavamo entrambi, dice, beh, quello era il presidente. Voglio dire, vuole prendersi il merito per il lavoro di Obama, ma non deve dare conto di nulla." Già il senatore del New Jersey, Cory Booker, aveva in passato lanciato una simile accusa di incoerenza all'ex vicepresidente.Un'altra area in cui si è avvertita una certa tensione rispetto all'eredità dell'ex presidente democratico è stata poi quella della politica commerciale, con particolare riferimento ai trattati internazionali di libero scambio (come la Trans Pacific Partnership, siglata dallo stesso Obama nel 2016). La Warren ha sostenuto che queste intese abbiano in passato avvantaggiato solo le grandi corporation, danneggiando i piccoli lavoratori e gli agricoltori. Ancora più duro si è rivelato Sanders. "Devo dire al mio buon amico, Joe Biden, Joe e io non siamo assolutamente d'accordo sul commercio", ha dichiarato, dicendosi quindi favorevole a una politica commerciale in grado di rappresentare operai e agricoltori, contro i grandi interessi. Il tutto, in difesa dei posti di lavoro americani.Insomma, il dibattito di Houston ha ulteriormente dimostrato che, anziché una risorsa, l'eredità di Barack Obama si stia sempre più rivelando un problema. Un fattore divisivo, che sta contribuendo a spaccare un partito già abbastanza caotico al suo interno. E questo per i democratici non è affatto una buona notizia.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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