
Uno dei più provvidenziali frutti della terra, oggi chiuso in tristi scatolette, racconta l'evoluzione del Belpaese. Lamon (Belluno) ne è un simbolo grazie al dono di Clemente VI. Sugli abbinamenti si scatenò il duello a colpi di penna tra Massimo Alberini e Indro MontanelliÈ un frutto della terra che non si può banalizzare alla dimensione da scatoletta, quella che si pesca nei bancali della grande distribuzione per aprirla al volo quando la pigrizia ai fornelli non suggerisce nient'altro di meglio. Lo testimonia questo viaggio lungo una penisola che, per varietà, storie e tradizioni cade a fagiolo con autentiche sorprese, dietro ogni angolo. Una sintesi ce la offre Davide Paolini, il Gastronauta in servizio permanente effettivo. «Il fagiolo, nel corso del tempo, si è trasformato da pane per i poveri a companatico dei ricchi». Tanto per sottolineare il concetto aggiunge la nota personale. «I fagioli li ho amati sin da bambino. Quelli in umido li riducevo a purea schiacciandoli con la forchetta. Una passione innata, tanto che me li andavo a cercare dalla mia tata Regina e sfuggivo alla carne che mia nonna mi costringeva a mangiare per diventare grande». Ipse dixit. Proseguendo un viaggio partito dalla lontana Sicilia in Friuli l'atterraggio goloso vede meta curiosa Pesariis, dove l'abbinamento è originale, «arlois e fasois», con sagra dedicata. Un abbinamento da gustare non al piatto, ma per le vie di un borgo dove gli orologi (arlois) rintoccano il tempo fuggente a ogni angolo, con l'occhio a scoprirne le svariate architetture frutto di tempi e tradizioni diverse. Al piatto, invece, non c'è storia. Minestra di orzo e fagioli. Si prosegue lungo la dorsale alpina e si arriva, con vista Monte Grappa, a Lamon, una delle valli bellunesi che ha fatto la storia. Di queste parti era originario Giovan Pietro Dalle Fosse, noto ai più come Pietro Valeriano, uno dei più stimati accademici vaticani. Al momento di congedarsi dalle sacre rive del Tevere, nel 1532, papa Clemente VI nel ringraziarlo gli affidò una missione. Un sacchetto di alcuni baccelli ricevuti in dono da Carlo V di Spagna. «Ne faccia tesoro, e diffonda la coltivazione tra la sua gente». Alfredo Pelle, storico accademico della cucina, testimonia che padre Valeriano prese talmente a cuore questa missione che iniziò a coltivarli con cura su vasi al pari di gerani e orchidee. L'esplosione vegetale alla prima fioritura li portò in breve tempo a essere il motore dell'economia locale, tanto da soppiantare i più radicati piselli e portare il nome di Lamon in giro per il mondo. In pieno boom economico un'azienda olandese li taroccò come propri ma, per fortuna, il nome e l'origine sono tutelati dal marchio Igp assegnato nel 1996. Chissà se i commissari europei sono stati motivati da un'ode alla pasta e fagioli di autore anonimo di fine Ottocento. «O regina de tute le minestre, che a qualchedun te pari volgarota, parché te movi un poco le balestre («latinismo» per descrivere le flatulenze), lassa che te saludi e te proclama senza petulansa la gran regina de la nostra pansa». La responsabilità, in tutto questo, del fagiolo di Lamon è palese. Un piatto che è giunto a noi dalle cucine della memoria è il pendolon, una sorta di pagnotta fatta con patate, fagioli e pancetta. La fantasia tristellata di Massimiliano Alajmo nobilita con un tocco inedito il fagiolo a ingrediente strategico di una originale meringata, peccato goloso che segue a una più dietetica insalata di fagioli e banane, uniti da una cremosità da gemelli diversi, cui fa schioccare le papille un mix di pepi dell'indimenticato Gianni Frasi. Nel vicino Alpago troviamo invece le mame, fagiolini bianchi, privilegio delle scorte vaticane che fanno il paio con i fagioli del diavolo della vicentina Posina. La storia ce la racconta bene Toni Di Lorenzo. Un tempo le piante di questi fagioli, dal colore nero misto a fiammate rosse, avevano come tutori per la loro crescita le piante di mais e così potevano arrivare anche a quattro metri di altezza, una autentica barriera che, forse anche per il loro colore acceso, teneva lontano dagli orti palati malintenzionati, quali affamati cervi o innocenti pecorelle. Una volta sgranati venivano conservati in un doppio sacchetto, di tela internamente e di carta da pane all'esterno. I più avveduti ponevano all'interno una forchetta che, così, teneva lontane le muffe del tonchio, un tarlo che poteva aggredire il seme riducendolo a polvere immangiabile. Piatto cult il minestrone con la scodega, ovvero la cotica suina. In terra lombarda, invece, non perdetevi la buseca, una lambada golosa a base di trippa e fagioli. La differenza con la cassouela è che non si usano carni di maiale. Talmente radicata nella tradizione meneghina che i milanesi recidivi alle gioie golose venivano bollati come «busecconi», anche se l'assoluzione arriva da Pellegrino Artusi. «La trippa è cibo poco confacente agli stomaci deboli e delicati, meno forse quella milanese, dove hanno trovato il modo di renderla tenera e leggera». Era il cibo dei mercanti in giro per i paesi, ma era anche tradizione consumarla la notte della vigilia di Natale, al ritorno dalla messa di mezzanotte. Fagiolo oggetto di accese dispute laiche, tra penne di vaglia, quali il nordista Massimo Alberini e Indro Montanelli, Fucecchio genere natu. Nelle trattorie di sosta tra un controcorrente e un elzeviro non c'era tregua. «Caro Montanelli, lei si vanta di essere insorto onde evitare un delitto gastronomico proibendo al suo collaboratore di cospargere con il parmigiano la pasta e fagioli, versandoci sopra una C di olio di frantoio e pepe macinato. Un tipico esempio di prepotenza toscana!». A stretto giro di piatto. «Caro Alberini, ogni tanto di notte mi sveglio di soprassalto sognando di essere diventato dittatore, ma così non è, altrimenti lei ora penzolerebbe da qualche lampione per truffa concettuale e oltraggio al pudore. Quando sento che la pasta e fagioli si mangia con il formaggio e che - reggetemi, reggetemi! - il nostro olio è roba da vergognarsi, la mano corre alla fondina, dove la pistola non c'è…». È tempo di uscire da questo western padano e approdare nel Piemonte sabaudo. Si viaggia su altri mondi, tanto che la piattella canavesana è stata companatico che ha accompagnato nello spazio l'astronauta Samantha Cristoforetti. Se siete rimasti invece con i piedi ben saldi sulla terra provate la tofeja, fagioli e cotiche di maiale ben arrotolate, passate al forno sfruttando il calore residuo dei panetterieri tanto che, nelle dispense delle nonne, era risorsa per tutta la settimana. Nell'economia del tempo la piattella era merce di scambio con l'uva. Fagiolo a prova di speculazione finanziaria, come quello di Cuneo. Nel 1916, in piena grande guerra, le autorità locali ne proibirono l'esportazione sui mercati affamati del lombardo veneto, più utili in loco, ad esempio per preparare la ola al forno, una minestra di carne e verdure che, lasciata a tiro di camino, era calamita che attraeva la befana, piatto principe dell'epifania. Festa per i bambini anche dopo, con la torta dolce di fagioli alle nocciole e per gli adulti, con la pera cotta ai fagioli in salsa d'uva. Con i fagioli di Saluggia, nel Vercellese, è tradizione la panissa, una sorta di risotto con fagioli, lardo e salsiccia. Protagonisti del carnevale di Santhìà, il più antico del Piemonte, con la più grande fagiolata d'Italia. Venti quintali di fagioli che, assieme alle carni dei maiali allevati in loco, allietano 20.000 partecipanti, a patto che ognuno si porti da casa le scodelle. Fagioli testimoni gaudenti, golosi, ma anche altruisti, come a Castiglione d'Asti. Qui la fagiolata del 2 gennaio affonda le sue radici nel 1208. La Chiesa locale distribuiva una emina (circa 15 chili) di ceci e fagioli ai poveri del paese, quale risposta agli esosi affitti pretesi dai feudatari locali per la coltivazione delle loro proprietà. Ancora oggi la tradizione vede una ventina di «caudere» (pentoloni) distribuire diversi quintali di fagioli e ceci conditi con cotiche di maiale.
Attilio Fontana e Maurizio Belpietro
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Lombardia avverte: «Non possiamo coprire 20 mila ettari di campi con pannelli solari. Dall’idroelettrico al geotermico fino ai piccoli reattori: la transizione va fatta con pragmatismo, non con imposizioni».
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana affronta il tema dell’energia partendo dalle concessioni idroelettriche. «Abbiamo posto fin da subito una condizione: una quota di energia deve essere destinata ai territori. Chi ospita dighe e centrali subisce disturbi e vincoli, è giusto che in cambio riceva benefici. Per questo prevediamo che una parte della produzione venga consegnata agli enti pubblici, da utilizzare per case di riposo, scuole, edifici comunali. È un modo per restituire qualcosa alle comunità».
Investimenti e controlli sulle concessioni. Belpietro incalza: quali investimenti saranno richiesti ai gestori? Fontana risponde: «Non solo manutenzione ordinaria, ma anche efficientamento. Oggi è possibile aumentare la produzione del 10-15% con nuove tecnologie. Dobbiamo evitare che si ripeta quello che è successo con le autostrade: concessioni date senza controlli e manutenzioni non rispettate. Per l’idroelettrico serve invece una vigilanza serrata, con obblighi precisi e verifiche puntuali. La gestione è più territoriale e diretta, ed è più semplice accorgersi se qualcosa non funziona».
Microcentrali e ostacoli ambientali. Sulla possibilità di nuove centrali idroelettriche, anche di piccola scala, il governatore è scettico: «In Svizzera realizzano microcentrali grandi come un container, che garantiscono energia a interi paesi. In Italia, invece, ogni progetto incontra l’opposizione degli ambientalisti. Anche piccole opere, che non avrebbero impatto significativo, vengono bloccate con motivazioni paradossali. Mi è capitato di vedere un’azienda agricola che voleva sfruttare un torrente: le è stato negato il permesso perché avrebbe potuto alterare di pochi gradi la temperatura dell’acqua. Così diventa impossibile innovare».
Fotovoltaico: rischi per l’agricoltura. Il presidente spiega poi i limiti del fotovoltaico in Lombardia: «Noi dobbiamo produrre una quota di energia pulita, ma qui le ore di sole sono meno che al Sud. Per rispettare i target europei dovremmo coprire 20 mila ettari di territorio con pannelli solari: un rischio enorme per l’agricoltura. Già si diffonde la voce che convenga affittare i terreni per il fotovoltaico invece che coltivarli. Ma così perdiamo produzione agricola e mettiamo a rischio interi settori».
Fontana racconta anche un episodio recente: «In provincia di Varese è stata presentata una richiesta per coprire 150 ettari di terreno agricolo con pannelli. Eppure noi avevamo chiesto che fossero privilegiate aree marginali: a ridosso delle autostrade, terreni abbandonati, non le campagne. Un magistrato ha stabilito che tutte le aree sono idonee, e questo rischia di creare un problema ambientale e sociale enorme». Mix energetico e nuove soluzioni. Per Fontana, la chiave è il mix: «Abbiamo chiesto al Politecnico di Milano di studiare un modello che non si basi solo sul fotovoltaico. Bisogna integrare geotermico, biomasse, biocarburanti, cippato. Ci sono molte fonti alternative che possono contribuire alla produzione pulita. E dobbiamo avere il coraggio di investire anche in quello che in Italia è stato troppo a lungo trascurato: il geotermico».
Il governatore cita una testimonianza ricevuta da un docente universitario: «Negli Stati Uniti interi quartieri sono riscaldati col geotermico. In Italia, invece, non si sviluppa perché – mi è stato detto – ci sono altri interessi che lo frenano. Io credo che il geotermico sia una risorsa pulita e inesauribile. In Lombardia siamo pronti a promuoverne l’uso, se il governo nazionale ci darà spazio».
Il nodo nucleare. Fontana non nasconde la sua posizione favorevole: «Credo nel nuovo nucleare. Certo, servono anni e investimenti, ma la tecnologia è molto diversa da quella del passato. Le paure di Chernobyl e Fukushima non sono più attuali: i piccoli reattori modulari sono più sicuri e sostenibili. In Lombardia abbiamo già firmato con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica un accordo per sviluppare Dal confronto con Belpietro emerge un filo conduttore: Attilio Fontana chiede di mettere da parte l’ideologia e di affrontare la transizione energetica con pragmatismo. «Idroelettrico, fotovoltaico, geotermico, nucleare: non c’è una sola strada, serve un mix. Ma soprattutto servono regole chiare, benefici per i territori e scelte che non mettano a rischio la nostra agricoltura e la nostra economia. Solo così la transizione sarà sostenibile».
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Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Il panel dell’evento de La Verità, moderato dal vicedirettore Giuliano Zulin, ha affrontato il tema cruciale della finanza sostenibile con Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi.
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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2025-09-15
Pichetto Fratin: «Auto elettriche, l’Ue sbaglia. Così scarica i costi sugli europei»
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Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il ministro dell’Ambiente attacca Bruxelles: «Il vincolo del 2035 è una scelta ideologica, non scientifica». Sul tema bollette, precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti».
Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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La dodicenne abusata per mesi, poi gli aguzzini hanno cominciato a far girare i suoi video su Whatsapp. Uno degli stupratori è maggiorenne, l’altro ha la stessa età della vittima, ricattata per provare a zittirla.