2021-08-04
Il duo della Nacra 17 regala all’Italia il primo oro «misto»
A Ruggero Tita e Caterina Banti è bastato un sesto posto alla regata finale per stravincere nella specialità della velaBella sorpresa, riscoprire quel pezzo di verità nascosto nelle pieghe dei detti popolari. «Italiani popolo di santi, poeti e navigatori», per esempio. Di santi ne sono rimasti pochi, di poeti qualcuno - ma la poesia non sempre dà pane -, restano i navigatori, una schiatta di individui che conserva pure qualcosa di poetico nell'animo e la pazienza, se non di un santo, almeno di un aspirante certosino. Lo hanno ben dimostrato a Tokyo Ruggero Tita e Caterina Banti, dominatori incontrastati della vela mista sui loro catamarani volanti classe Nacra 17. L'oro dei due campioni delle onde è un balsamo per il medagliere azzurro: dopo aver collezionato bronzo e argento, la bacheca si sta rimpinguando anche col metallo più prezioso. L'Italia della vela attendeva un podio da 13 anni, l'ultima medaglia risaliva al bronzo conquistato da Diego Romero nella classe Laser, correva l'anno 2008, le Olimpiadi si svolgevano a Pechino. E però il sapore di quest'impresa è inebriante, non c'è confronto con il passato. La coppia Tita-Banti ha affrontato l'ultima tappa della Medal race con la consapevolezza di chi sa di amministrare un cospicuo vantaggio - 12 punti sulla coppia britannica e 24 su quella tedesca - facendo della razionalità senza strappi un privilegio stilistico. Ieri sarebbe stato sufficiente un sesto posto per portare a casa l'oro, tallonando gli inglesi John Gimson e Anna Burnet, imitandone le virate, rimanendo loro attaccati come era solito fare Il colombre raccontato da Dino Buzzati, il pesce messaggero destinato a rincorrere i marinai di ogni tempo e ogni mare. Così è accaduto. La regata dall'approccio conservativo vedeva nelle battute iniziali i britannici al settimo posto, gli italiani ottavi. Poi la flotta anglosassone ha allungato la marcia, piazzandosi quinta, senza sconvolgere gli orizzonti del duo nostrano, collocatosi in sesta piazza, l'obiettivo minimo per chiudere in bellezza la gara.Il traguardo veniva tagliato dagli argentini Santiago Raul Lange e Cecilia Carranza Saroli, campioni olimpici a Rio 2016, che hanno preceduto i danesi di 19 secondi e gli americani. A virate concluse, la classifica emetteva un verdetto trionfale: italiani primi nel computo generale con 35 punti, scartando come peggior risultato un ottavo posto in una tappa precedente. Significa oro, seguito dall'argento per Gimson e Burnet e dal bronzo per i tedeschi Paul Kohlhoff e Alica Stuhlemmer. Pallottolliere alla mano, è la medaglia olimpica numero 16 nella storia della vela nazionale, e il quarto primo posto dopo Sensini nel 2000, Strulino-Rode nel 1952 e Leone Reggio nel 1936. Ma è anche la prima appannaggio di una flotta mista, un successo arrivato a corredo di un periodo esplosivo per il duo, che ha già arraffato un bronzo ai Mondiali 2017 e un oro nel 2018, oltre a essersi affermati due volte come campioni europei. Il loro affiatamento ha radici lontane. Ruggero Tita da Rovereto, terra che la vulgata vorrebbe come generatrice di provetti sciatori più che di timonieri come lui, nasce nel 1992, si appassiona allo sport da subito e, come da copione, alle scuole elementari indossa per la prima volta un paio di sci. Ma il fuoco sacro - anzi, l'acqua sacra - della passione per la vela lo conquista poco dopo, quando si trova con la famiglia presso l'Associazione velica trentina. Il resto lo fa il talento, capace di condurlo verso precoci soddisfazioni agonistiche. Laureato in ingegneria informatica, abbraccia con passione ogni genere di sport estremo. Caterina Banti nasce invece a Roma 34 primavere fa, sale per la prima volta su una barca all'età di 13 anni, il fratello è già un esperto navigatore. Il colpo di fulmine non giunge immediato. Si dedica alla scherma, all'equitazione, alla danza, si iscrive all'università, facoltà di Studi orientali, si laureerà col massimo dei voti in Studi islamici. Siccome però i grandi amori, cantava Antonello Venditti, «fanno grandi giri e poi ritornano», verso i 20 anni rimette piede su una barca a vela. Individuato in Ruggero il suo alter ego agonistico perfetto, non ha più smesso. Basta guardarli all'opera, per cogliere in loro quel genere di sintonia che offre allo spettatore, magari a chi di imbarcazioni e vento non ne capisce niente, la bellezza dello straordinario nel gesto ordinario. Lo diceva il grande velista dei record Giovanni Soldini: «La barca a vela riproduce in piccolo tutti i problemi e le peculiarità del mondo». E le soluzioni soddisfacenti, ovviamente.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
Francesca Albanese (Ansa)