2022-05-15
Il Dragone arruola infiltrati italiani per papparsi il Paese
Col premier distratto da guerra e Pnrr, la Cina rilancia progetti tipo Via della seta: stessa tecnica con cui ha colonizzato l’Africa.La guerra in Ucraina ha spaccato l’opinione pubblica italiana e sta polarizzando numerosi politici e opinionisti contro le scelte di una Nato molto vicina alla Casa Bianca. Tra i critici più aspri sta nascendo un pericoloso percorso che con il passare del tempo cela sempre meno l’inganno sottostante. In molti parlano russo o di Russia ma in realtà bramerebbero un passaporto cinese o, peggio, entrare nel circuito dei finanziamenti cinesi. Ci sono ex sottosegretari o dirigenti politici che palesemente fanno gli interessi di Shanghai e quindi della finanza cinese, i quali ora come ai «bei» tempi del memorandum Italia-Cina provano a infiltrare il centrodestra e altri partiti. Il motivo è molto semplice. Il governo di Mario Draghi è in difficoltà, impegnato a non farsi travolgere dalla guerra in Ucraina e dalle spaccature interne sui temi fiscali e delle riforme correlate al Pnrr. Pechino sa che è il momento migliore per riavviare la Via della seta. Chi oggi sostiene i russi, apre le porte ai cinesi. Questo è bene saperlo. Per l’Italia l’influenza cinese sarebbe deleteria e pericolosa: perderemmo le ultime peculiarità che danno senso al made in Italy. Purtroppo non è un discorso teorico, ma pratico. In ballo ci sono le conoscenze dell’ambito agricolo, tecnologico e della Difesa. Basti pensare alle sementi. Lo scorso ottobre il cdm mise il veto all’acquisto di Verisem da parte della svizzera Syngenta, a sua volta controllata da Pechino. L’operazione avrebbe avuto un valore di pochi milioni di euro, ma i cinesi sarebbero entrati in possesso di una quarantina di semi autoctoni di ortaggi ed erbe. La notizia arrivò come un fulmine a ciel sereno, perché poco prima il ministero dell’Agricoltura, guidato dal grillino Stefano Patunaelli, aveva addirittura escluso che l’operazione potesse meritare il cappello protettivo del golden power. Una posizione grave per un ministro che dovrebbe tutelare il futuro dell’Italia. L’obiettivo di Pechino è chiaro. Impossessarsi della nostra tradizione e «trapiantarla» in altri continenti. Non è fantascienza; è semplicemente una strategia, che si basa sull’ingolosire politici e Paesi con un po’ di ricchezza nel breve termine, per poi spogliare la nazione inglobata. L’Africa ne è un esempio. Non a caso, a gennaio, Syngenta ha fatto ricorso e per il momento (notizia del mese scorso) il Tar ha confermato il veto del golden power. È chiaro, e i cinesi lo sanno bene, che nel momento in cui non ci fosse più Draghi l’operazione si ripresenterebbe. Certo, la decisione di ridisegnare un golden power allargato e di coinvolgere nell’operazione di riscrittura anche la Guardia di finanza indica che il pericolo di ritorno della Via della seta è elevato. Indica anche che il nostro Paese e una fetta di classe dirigente non ha gli anticorpi. Così si stanno affacciando fondi di Shanghai interessati alle nostre strutture universitarie e soprattutto di piccole aziende nel settore della Difesa. Il caso Alpi Aviation è stato emblematico. Ma i cinesi sono alla ricerca di brevetti di aerei ultraleggeri e di ogni sorta di droni. Inoltre, approfittando del periodo pandemico, numerose corporation hanno deciso di sottoporre all’ufficio europeo dei brevetti, con sede a Monaco di Baviera, centinaia di file con l’obiettivo di registrare sotto bandiera europea invenzioni nel settore del 5G. Sanno bene che con un patentino Ue gli Stati membri faranno fatica a scartare in fase di costruzione dell’infrastruttura operatori come Huawei o Zte. Infine, la pace sul porto di Trieste potrebbe durare poco e al tempo stesso l’operatore turco che adesso gestisce la parte principale del porto di Taranto potrebbe decidere di cedere e passare la mano. La Via della seta marittima è diventata sempre più importante, da che gli Usa hanno abbandonato l’Afghanistan, lasciando un percorso di destabilizzazione per l’Iran, la Russia e la stessa Cina. Da allora i Paesi del Golfo sono diventati più centrali. E su questo la scelta dei grillini di rompere i rapporti con gli Emirati, in termini militari e di industria della Difesa, ha nettamente favorito Pechino, che da qualche mese lavora al fianco gli sceicchi per costruire un grosso cantiere navale al largo di Abu Dhabi. Per la Via della seta marittima, in ogni caso, i due punti strategici sono lo Sri Lanka, Gibuti e l’Italia. L’isola dell’Oceano indiano è ora nel caos, travolta dal caro materie prime. Gibuti è stabile grazie a un accordo con i turchi. Resta il nostro Paese. Il quale va verso la tempesta perfetta. Le elezioni, l’inflazione galoppante e un debito pubblico sempre meno sostenibile. Il rischio è che vengano meno le rate di un Pnrr sempre più traballante, il che trasformerebbe l’investimento in mero debito. Lì si romperebbe l’equilibrio e Pechino potrebbe offrirsi di collaborare a certi progetti. È esattamente lo schema che grandi aziende come Cccc sperimentano da anni nel terzo mondo. Come è andata a finire è sotto gli occhi di tutti.